invidia

CREPI L’INVIDIA! - LUCA VERDONE RACCONTAVA A ELVIRA SERRA CHE SUO FRATELLO CARLO TENTÒ DI SOFFOCARLO CON DELLE MOLLICHE DI PANE: “NON SOPPORTAVA DI DIVIDERE L'AFFETTO DELLA MAMMA” – CAMILLERI, CHE SUSCITAVA L’INVIDIA DEGLI STORICI, POI ERA UN PO' INVIDIOSO DI MONTALBANO CHE S'INGOZZAVA DI TRIGLIE FRITTE. FRANCA VALERI ROSICAVA PER NON ESSERE ALTA COME LA LOREN E…

Jessica D'Ercole per "la Verità"

 

invidia

Giotto dipinge l'invidia come una brutta donna col fuoco sotto i piedi, un serpente che le esce dalla bocca e la fissa negli occhi impedendole di vedere al d là del male. Ovidio nelle Metamorfosi l'ha fatta diventare una casa buia e fredda che puzza di marcio. Dante, nel Purgatorio, agli invidiosi cucì gli occhi con del fil di ferro per impedire loro di vedere. Eppure, Maurizio Milani, comico credente, non pensa che sia poi un gran peccato: «Il prete ti assolve, se invidi ma non fai del male a quello a cui invidi la Ferrari. Non è che metto in atto cose per tagliargli le gomme. Un po' di sana invidia... Mica siamo santi». Gli fa eco il teologo della Casa pontificia padre Wojciech Giertych, che sostiene che «le suore spesso vivono invidiandosi per piccole cose, ma al suono del campanello tutte vanno in cappella per cantare i vespri. I frati, invece, spesso non si interessano gli uni agli altri e dunque non sono gelosi, ma quando il campanello suona, in pochi partecipano alla preghiera comune».

 

luca e carlo verdone

Il decimo comandamento, «Non desiderare casa del tuo prossimo [...], né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo», nell'insegnamento della Chiesa viene esteso anche a beni non materiali come il successo o l'affetto. Luca Verdone raccontava a Elvira Serra che suo fratello Carlo tentò di soffocarlo con delle molliche di pane: «Forse voleva darmi da mangiare e basta. Ma è risaputo che soffrisse molto per la mia nascita, non sopportava di dividere l'affetto della mamma».

 

sguardo invidioso

 Anche Ermes Vassalli, figlio del Sebastiano de La Chimera bramava l'affetto del padre, che però passava molto del suo tempo a leggere: «Io ero un bambino invidioso di quei volumi; li trattava come figli, e io desideravo di essere trattato come uno dei libri che lui amava». Paradossale il sentimento che Cesare Lanza provava per Bud Spencer: «In definitiva, gli invidio il dono religioso che io non ho avuto: la fede. Era profondamente e sinceramente credente».

 

invidia

Più materialista era una giovane Laura Pausini invidiosa dei suoi compagni di scuola che avevano la felpa della Best company. I suoi però non potevano permettersela così la mamma trovò un pezzo di stoffa di quella marca e glielo cucì sui pantaloni per farla contenta. Voleva andare a tutti i costi allo Zecchino d'Oro Marco Carta: «Vedevo i bambini che cantavano e li invidiavo a morte, li avrei ammazzati, perché tanto sapevo che mia madre non mi ci avrebbe mai mandato».

 

umberto eco

Emma Camagna compagna di scuola di Umberto Eco avrebbe fatto di tutto per essere come lui: «Studiava poco e rendeva molto e io, che studiavo molto e rendevo poco, lo invidiavo alla grande. Avrei venduto l'anima al diavolo pur di assomigliargli, sapere, come lui, radunare i compagni attorno a me, tenere banco sotto i portici in piazza dove lui, con un savoir faire unito a quel briciolo di furbizia "mandrogna" spesso molto utile nella vita, sapeva concionare tanto bene». Ma Eco di invidia non ne voleva sapere anche dopo tutte le polemiche che scatenò Il Nome della Rosa: «Sono alieno dall'attribuire all'invidia ogni forma di dissenso, altrimenti sarei peggio degli invidiosi».

 

EDUARD LIMONOV

Lo scrittore russo Eduard Limonov, solito sparare giudizi duri e sprezzanti sui suoi colleghi, si adirò quando Nicola Lombardozzi su La Repubblica gli chiese se dietro non ci fosse un po' di invidia: «Ma figuratevi se invidio gente come Bulgakov, per esempio. Il Maestro e Margherita è un'operina banale infarcita di intellettualismi da quattro soldi. Ma il suo capolavoro è Cuore di Cane, zeppo di ripugnante razzismo sociale e di un disgustoso disprezzo per la classe operaia.

LEO LONGANESI

 

Vogliamo parlare di Venedikt Erofeev e del suo Mosca-Petitski? Una robetta presuntuosa senza alcun valore letterario». Qualche anno fa, sul Foglio, Camillo Langone scrisse che invidiava Leo Longanesi «non per il fatto che in motoscafo io vado con Tony Renis e lui invece con Italo Balbo: ma figuriamoci. Mi rende invidioso il fatto che io dal motoscafo al massimo mi tuffo mentre lui dal motoscafo sparava ai gabbiani, come racconta Francesco Giubilei nella biografia pubblicata da Odoya []. Longanesi per continuare a scrivere dovette umiliarsi per vent' anni con quell'idiota di Mussolini che si impicciava di ogni articolo [].

 

Invidio Longanesi non per Balbo e non per Mussolini, dunque, ma per la caccia (oggi stupidamente vietata) ai gabbiani, uccelli sporchi e cattivi e pullulanti nelle discariche e nelle brutte poesie: in quegli anni gli scrittori non erano liberi di fare gli scrittori però gli uomini erano liberi di fare gli uomini».

 

DAVERIO 13

Diceva Philippe Daverio che «oggi in Italia l'invidia è fondamentale, nel senso che è il fondamento della vita della popolazione. Logico, del resto, visto che non ce la fa nessuno in nessun campo, tranne quelli che ce l'hanno già fatta. Gli artisti nostrani, per esempio. Uno vede la robina del giapponese o del Jeff Koons e la vede passare a cifre incredibili all'asta, e io perché non riesco a vendere niente alla signora Brambilla, si chiede? Risultato: gli italiani si dividono in due, gli invidiosi e i rassegnati. [] Nessuno riesce a vendere niente alla signora Brambilla, che a sua volta è invidiosa o rassegnata. Se ha la villa a Viareggio sente parlare delle ville sarde vendute per 70 milioni ai russi ed è invidiosa. Ma se ce l'ha in Sardegna è rassegnata perché non è sul mare e non riesce a venderla ai russi».

andrea camilleri

 

Non si è mai rassegnato Andrea Camilleri che, disperato perché non riusciva a trovare documenti storici per il suo Il Re di Girgenti, «pazzescamente me li sono scritti tutti io, in parte in latino con l'aiuto di mia moglie Rosetta e in parte in spagnolo. Tutti falsi. A questo punto se ne viene lo storico Giovanni De Luna che mi dice: "Sono invidioso di quello che hai fatto perché è il sogno di noi storici..."». Ma anche Camilleri era un po' invidioso. Il suo Montalbano s' ingozzava di triglie fritte: «Io non riesco a mandarle giù e soffro. Quando vado in Sicilia, Enzo il trattore me le spina e m' imbocca. Papà andava a pescare con la "traffinera" a sei punte, prendeva le triglie di scoglio. Alle tre del mattino le cucinavamo: chi mi ridarà quel sapore?».

 

sophia loren franca valeri

Quando l'attore Alessandro Preziosi fu colto dall'invidia si sentì come pervaso da un intruso: «Tuttavia sono contento di averla incontrata: se la conosci la eviti e posso affermare di essere un grande sostenitore dei colleghi». A Franca Valeri non importava se le altre avessero più successo ma rosicava di non essere alta come Mina - «Vicine sembravamo Stanlio e Ollio» - e come Sophia Loren: «Nel film Il Segno di Venere di Dino Risi avremmo dovuto essere sorelle. Invece nel copione che scrissi con Dino Risi, Edoardo Anton ed Ennio Flaiano, Agnese Tirabassi e Cesira Colombo sono solo cugine. Sostenevano tutti che la sorellanza non fosse plausibile: "Franca, non c'è niente di personale, ma sorelle proprio non potete essere". E io, puntigliosa: "Scusate, ma nelle famiglie non succede mai che nasca prima un fratello alto e poi uno basso?"».

invidia

 

Finì per essere gelosa di sé stessa Tavi Gevinson, attrice e influencer americana, quando capì che la sua vita online non aveva nulla a che fare con quella reale. Disse che quando si rivedeva sul telefono si ritrovava «a invidiare la mia vita come se fosse quella di qualcun altro». Avrebbe fatto invidia anche Jacques de La Palice, il comandante che diede vita al termine lapalissiano grazie a una cattiva interpretazione dell'epitaffio che i suoi soldati gli dedicarono: «Ci-gît monsieur de La Palice. S' il n'était pas mort, il ferait encore envie» ovvero «qui giace il signor de La Palice, se non fosse morto farebbe ancora invidia». Spiega Alberto Mattioli: «Ma disgraziatamente all'epoca la "effe" si scriveva come la "esse", quindi "ferait" fu letto "serait"; ed "envie", invidia, fu spezzata diventando "en vie", in vita. Dunque il ricordo dell'eroe si trasformò in una sua clamorosa presa per il beep!: "Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita"». Come diceva Kahlil Gibran: «Il silenzio dell'invidioso fa molto rumore».

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