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IL GIARDINO DELLE GIAPPONESI SUICIDE - NELL'ULTIMO MESE NEL PAESE SONO MORTE PIÙ PERSONE SUICIDE CHE PER IL COVID IN TUTTO L'ANNO: 2153 CONTRO 2087 - A TOGLIERSI LA VITA SONO STATE SOPRATTUTTO DONNE: IN OTTOBRE IL TASSO DI SUICIDI FEMMINILI È AUMENTATO DELL'83% RISPETTO ALL'ANNO SCORSO, MENTRE GLI UOMINI SONO "SOLTANTO" IL 22% IN PIÙ – LA PANDEMIA HA INCISO POCO SULLE ABITUDINI DELLA POPOLAZIONE, NON C’È STATO UN VERO E PROPRIO LOCKDOWN, EPPURE…

Elena Loewenthal per “la Stampa”

 

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Sebbene il dolore non sia una questione di genere ma soltanto di anime, il fatto che siano soprattutto donne suscita sgomento: in Giappone solo nell' ultimo mese sono morte più persone suicide che per il Covid in tutto l' anno corrente, 2153 contro 2087. E a togliersi la vita sono state soprattutto donne, di età diverse. In ottobre il tasso di suicidi femminili in Giappone è aumentato dell' 83% in rapporto allo stesso mese dell' anno scorso, mentre gli uomini che hanno rinunciato volontariamente alla vita sono "soltanto" il 22% in più, nello stesso schema temporale.

 

Il Giappone, proprio uno fra i Paesi al mondo che ha retto meglio la tempesta della pandemia. «Non abbiamo neanche avuto un vero e proprio lockdown, l' impatto del Covid nella nostra vita è stato minimo, se paragonato a molte altre nazioni» spiega, anzi non si spiega Michiko Ueda, docente alla Waseda University di Tokyo, esperta di suicidi.

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È vero, questo Paese è da sempre funestato da un alto tasso di rinunce volontarie alla vita, ma è anche la nazione dove da tempo si fa più trasparenza statistica su questi dati.

Però osservare, calcolare, stimare non significa affatto capire. Meno che mai quando si tratta di ritenere la vita talmente dolorosa e difficile da non sopportarla più.

 

Che cosa passi nella testa e nel cuore di chi prende una decisione (decisione?) del genere è impossibile saperlo.

Ma questi dati giapponesi inquietano, sembrano quasi incredibili anche se sono reali come i numeri che esprimono. E il fatto che siano aumentati di così tanto i suicidi femminili dovrà, deve assolutamente dirci qualcosa. Non basta rifugiarsi nella (fittizia il più delle volte) convinzione che le donne siano più fragili.

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Anzi, forse c' è nel loro campo visivo emotivo una prospettiva più ampia, uno sguardo che si spinge un poco più in là, alla generazione futura cui poter dare o negare la vita. Forse, la depressione femminile ha sempre un che di esogeno, oltre che endogeno. È sempre anche un poco, come dire, transitiva: per questo, sotto la cappa della pandemia, in Giappone si è moltiplicata tanto di più.

 

Perché il Covid-19 ha scoperchiato tante cose. Quasi tutto, in fondo. Ha disorientato l' umanità ai quattro angoli del mondo, liberando dietro lo sciame virale un senso di incertezza così profondo che non si riesce neanche a dargli un nome. È una sensazione nuova per molti di noi, forse per quasi tutti. Se c' è un' unica cosa che sappiamo tutti molto meglio di prima, è il sapere di non sapere, come diceva Socrate millenni fa.

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Non sapere quello che ci può aspettare dietro l' angolo dello spazio e del tempo. Tutto il mondo è stato posto di fronte a questa abissale ignoranza che riguarda la vita - quella vita che prima ci pareva tutto sommato abbastanza saldamente incanalata in un futuro prevedibile. Il virus ci ha dimostrato che malgrado tutto non siamo troppo dissimili da quell' uomo delle caverne che al calar del buio si spaventava e sperava - solo sperava perché di certezza non ne aveva - che giungesse una nuova alba. Abbiamo sì il progresso dalla nostra, e la fiducia in una scienza che avanza giorno per giorno e che ci metterà al sicuro. Ma questa così nitida percezione della nostra incertezza ce la porteremo dietro, almeno per un bel pezzo di strada.

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E forse è proprio questa la falce che ha mietuto così tante vite femminili in Giappone, in quest' ultimo dannato mese malgrado il virus sia, almeno lì, sotto controllo.

Quella falce è la paura del tempo che verrà, la depressione abissale che viene quando tutto diventa nero, anzi grigio - dietro e davanti a sé. In Giappone è ancora un tabù parlare della propria solitudine, ammettere di non starci comodi.

 

«Non è cosa di cui si possa chiacchierare in pubblico, e nemmeno con gli amici o i parenti», racconta Koki Ozora, uno studente universitario che insieme a un gruppo di volontari a marzo scorso ha avviato una linea d' ascolto attiva 24 ore su 24 sul disagio mentale e in questo periodo riceve centinaia di chiamate al giorno.

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Migliaia di storie che raccontano di una sofferenza apparentemente inspiegabile, legata a stretto filo con la pandemia e i suoi effetti a larghissimo spettro.

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