“HO RIFIUTATO UN MILIONE DAI BOSS” – LA DENUNCIA DI UN IMPRENDITORE EMILIANO: "LA 'NDRANGHETA VOLEVA LA MIA AZIENDA. CON L’EMERGENZA I CANTIERI SI SONO FERMATI E LO STATO NON MI HA SOSTENUTO” - LA NUOVA STRATEGIA MAFIOSA AL SUD CON IL WELFARE ILLEGALE, AL NORD CON INFILTRAZIONI SENZA SCRUPOLI. LE IMPRESE IN AGONIA RISCHIANO ORA DI DIVENTARE LA PORTA PRINCIPALE PER L'INGRESSO DEI CLAN NELL'ECONOMIA LEGALE...

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Nicola Pinna per “la Stampa”

 

Giovanni ne aveva parlato solo con il segretario dell' associazione locale degli imprenditori edili. «Gli avevo raccontato che nel giro di due mesi sarei stato costretto a licenziare tutti i miei 44 dipendenti. A marzo ho pagato loro uno stipendio regolare, ho fatto come se niente fosse successo, perché volevo essere ottimista. Per aprile e maggio, invece, ho anticipato a tutti la cassa integrazione. Dopo tre mesi senza incassi ho dato fondo a tutti i risparmi della mia azienda».

 

Quattro cantieri fermati all' improvviso, un progetto bloccato prima di mettere la prima pietra e tre mutui da pagare. «L' ultimo lo avevo fatto a novembre, per acquistare nuove impalcature e rinnovare alcuni macchinari. Il coronavirus ha mandato all' aria tutti i miei piani. Rischio davvero di fallire e non lo dico perché sono uno di quelli che non perdono nessuna occasione per lamentarsi. Al segretario dell' associazione avevo chiesto un consiglio per provare a non precipitare».

 

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La dritta giusta non è arrivata e in compenso l' uomo che doveva suggerire la strategia migliore per affrontare la crisi ha fatto da tramite con le cosche. E una settimana dopo Giovanni ha ricevuto la telefonata più strana della sua vita: «Uno che si è presentato come amico del sindacalista, mi ha proposto un incontro in autostrada, alle porte di Bologna, e senza giri di parole mi ha proposto di diventare mio il socio occulto. Credo che fosse un commercialista. Aveva già i soldi pronti, almeno così mi ha detto».

 

Il piano d' attacco La strategia mafiosa che procure e investigatori stanno studiando e provando a prevenire avanza in tutta Italia silenziosamente. Al Sud con il welfare illegale, al Nord con infiltrazioni senza scrupoli. Le imprese in agonia, quelle che ancora non hanno ricevuto la cassa integrazione promessa dal governo e quelle che non riescono a ottenere i prestiti garantiti dallo Stato, rischiano ora di diventare la porta principale per l' ingresso dei clan nell' economia legale.

 

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Le difficoltà di una Fase 2 zoppicante sono il concime migliore per far attecchire l' erba infestante della criminalità. Specie nelle zone in cui il coronavirus ha fatto più vittime e terrorizzato anche chi è scampato al contagio. Giovanni (59 anni compiuti a marzo, di cui 40 passati in cantiere) ha ereditato l' impresa dal padre e dalla provincia di Piacenza si sposta in tutta la regione per partecipare a bandi pubblici, realizzare capannoni industriali e realizzare ristrutturazioni. «Ho superato anni di crisi con molti sacrifici: dal 2015 sembrava che tutto stesse girando per il verso giusto. E per questo avevo deciso di affrontare qualche nuovo investimento. La pandemia e il lockdown sono stati una pioggia fredda. Ma io voglio reggermi in piedi con le mie gambe, non con il bastone dei mafiosi».

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Un affare con trappola Eppure, la proposta pareva molto allettante: un milione di euro subito per far ripartire la corsa di Giovanni e della sua azienda. «Me li avrebbe fatti avere nel giro di una settimana e in cambio avrei dovuto accettare di avere quell' uomo come socio occulto. Il suo nome, ovviamente, non sarebbe dovuto comparire in nessun documento ufficiale, ma avrebbe partecipato a ogni decisione futura. E chissà cosa sarebbe successo.

 

Ovviamente nella nostra lunga discussione non mi ha detto da dove sarebbero arrivati tutti quei soldi».

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La voce dei clan questa volta ha un accento del Nord, perché la regia della strategia mafiosa si svolge a distanza. Nell' ombra, senza che i burattinai vengano mai allo scoperto. «Mi ha detto che se avessimo iniziato quest' avventura insieme avremmo potuto fare altri affari con dei suoi amici calabresi.

 

il procuratore federico cafiero de raho intervistato foto di bacco il procuratore federico cafiero de raho intervistato foto di bacco

Il piano era quello di far ripartire la mia azienda e poi di rilevarne altre insieme. Il messaggio d' altronde è stato chiaro: "Noi i soldi li abbiamo e possiamo farli fruttare, soprattutto ora che in tanti ne hanno bisogno. Se vogliamo diventiamo i re della zona"».

Il no e la denuncia Giovanni ha declinato l' invito a nozze della 'ndrangheta e ha raccontato tutto ai carabinieri del paese.

 

E da lì il caso è passato nelle mani della procura antimafia. «Spero che ora mi proteggano: non presentare la denuncia sarebbe stato un modo per assecondare la strategia dei boss. E io questo non lo voglio fare, perché sono convinto che ognuno deve fare la sua parte per fermare le mafie. Ma anche perché nella mia terra, dove i morti sono stati troppi, è ancora più grave lasciare la porta aperta chi vuole distruggere il territorio già messo in ginocchio dal dolore».

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