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“MI SENTIVO COME UN PESCE APPENA PESCATO, BOCCHEGGIAVO” – IL RACCONTO DI LORENZO STOCCHI, 35ENNE ARETINO CONTAGIATO IN OSPEDALE E POI FINITO IN TERAPIA INTENSIVA: “IL POLMONE DESTRO ERA COLLASSATO E ANCHE IL SINISTRO ERA MESSO MALE. MI HANNO INFILATO IL CASCO PER RESPIRARE, NON POTEVO ESPRIMERMI CHE A GESTI PERCHÉ NON AVEVO FIATO, L' ARIA NON MI BASTAVA. POI IL MIO COMPAGNO DI STANZA È MORTO E A QUEL PUNTO…”

LORENZO STOCCHI

Marco Gasperetti per il “Corriere della Sera”

 

Lorenzo è giovane e forte. Gli amici dicono che non si arrende mai. Ama lo sport, è sano e guarda alla vita con entusiasmo. Insomma, uno di «quelli» che il coronavirus non dovrebbe neppure sfiorare. E invece il Covid-19 è arrivato, nel modo più terribile, subdolo e imprevisto (una visita nel reparto di oculistica dell' ospedale e una mano portata agli occhi) e adesso Lorenzo Stocchi, 35 anni, di Terranuova Bracciolini (Arezzo), una laurea in Economia, è ricoverato nel reparto di terapia intensiva. Ma anche stavolta non si è arreso e, quando si è ripreso da una crisi che sembrava irreversibile, ha avuto la forza dal letto dell' ospedale di raccontare su Facebook la sua odissea.

 

terapia intensiva coronavirus 1

Non lo ha fatto per pietismo, ma per far capire ai giovani che questo virus può colpire tutti, indistintamente. Un racconto che è anche un appello ad essere prudenti e a non sottovalutare il male. Dopo aver descritto i primi sintomi, il primo test sierologico negativo, nel lungo post Lorenzo racconta i giorni della febbre a casa, il primo tampone, la lunga attesa e poi la positività. Quando a casa di Lorenzo arriva l' unità speciale dell' Asl, lui non riesce neppure a parlare. «Dalla camera al bagno il fiatone si faceva sentire - ricorda il giovane -. Respirare era difficile e mi sentivo come un pesce appena pescato. Boccheggiavo».

 

coronavirus terapia intensiva icc casal palocco roma 1

Lorenzo viene trasportato all' ospedale San Donato di Arezzo: è grave, ma per quasi un' ora deve aspettare il suo turno al Pronto soccorso.

 

«Con la radiografia al torace si sono accorti che il polmone destro era collassato - continua Lorenzo - e anche il sinistro era messo male. Mi hanno infilato il casco per respirare (che ho tenuto per undici lunghissimi giorni), con l' ossigeno sparato a 60 litri al minuto.

 

Un rumore assordante e continuo che mi impediva persino di sentire quello che mi dicevano i medici. Ed io non potevo esprimermi che a gesti perché non avevo fiato e potevo solo concentrarmi sul respiro, l' aria non mi bastava. A quel punto mi hanno portato in terapia intensiva. Ed è cominciato l' incubo». Arrivano i primi cateteri, sonde, tubi.

 

 

terapia intensiva coronavirus 2

 

Quel ragazzone sembra uno spettro. «Ero nudo in un letto con medici e infermieri che si aggiravano per la stanza, somministrandomi terapie e azioni per far ripartire i polmoni... Poi il mio compagno di stanza è morto. Non lo conoscevo, ma era ricoverato lì accanto a me già da tre giorni. A quel punto sono crollato. Durante le notti infinite, ho avuto delle incontrollabili crisi di pianto».

 

coronavirus ospedale

Lacrime così disperate che, racconta Lorenzo, non aveva mai conosciuto da uomo «sempre cinico e razionale». I ricordi arrivano come incubi. Il quarto giorno di ricovero è il peggiore: i medici dicono ai suoi genitori che il figlio deve essere intubato e loro, ricorda ora Lorenzo, invecchiano all' improvviso.

 

«Quella notte, il medico della rianimazione ha provato a farmi stare a pancia sotto, che tra casco e tutto il resto era una situazione allucinante. Miracolosamente gli alveoli hanno cominciato a riaprirsi. Da lì è cominciata la lenta ripresa». Adesso Lorenzo Stocchi sta finalmente meglio.

terapia intensiva coronavirus 1

 

E lancia un appello: «Bisogna prevenire il virus a tutti i costi e convincere gli scettici. Perché anche loro se ne renderanno conto quando una persona vicina è in fin di vita, ma sarà già tardi».

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