“MIA MADRE BIOLOGICA? DISUMANA” – LA NASCITA DOPO UNO STUPRO, L’ABBANDONO DEL PADRE ADOTTIVO, GLI ANNI TRA CASA E COMUNITÀ: LA DIFFICILE VITA DI DANIELA MOLINARI, LA 47ENNE DI COMO MALATA DI CANCRO CHE SI È VISTA SBATTERE LA PORTA IN FACCIA DALLA MADRE BIOLOGICA CHE POTREBBE SALVARLE LA VITA. “LA MALATTIA CORRE E IO NON HO TEMPO. ODIARLA? NOI ADOTTATI IMPARIAMO CHE…”

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Andrea Galli per il “Corriere della Sera”

 

Dove inizia la sua storia?

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«Il 1973, quarantotto anni fa, ospedale Sant' Anna di Como. Appena nata, mia mamma mi abbandona. Medici e infermieri mi danno nome e cognome: Daniela Simoni.

Dal punto di vista anagrafico, il cognome non ha validità in quanto sono un "omissis", nell' attesa del cognome di un eventuale padre adottivo, che sarà Molinari. In quelle stesse ore un' altra madre abbandona un neonato. Invertono nome e cognome e lui diventa Simone Danieli. Spediti in orfanotrofio, con le suore».

 

Fino a quando?

«A due anni, una coppia di Milano che non poteva avere figli mi adotta».

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Sono ancora vivi?

«La mamma sì. Il papà è morto. Ma in realtà l' avrò visto una ventina di volte».

Perché?

«Scappò appena arrivai».

 

Motivo?

«Forse non era pronto per l' adozione, non aveva la forza né la tenuta, forse voleva una figlia, diciamo, tutta sua. Forse semplicemente aveva un' altra donna, e lasciò perdere le proprie responsabilità».

 

Dove abitava, Daniela?

«Quartiere Corvetto. Adesso vivo qui, a San Vittore Olona. Sì, il Corvetto, zona non facile, ma la famiglia adottiva era benestante. Anche se, in conseguenza della sparizione di papà, qualche problema aggiuntivo l' ho avuto».

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Quale?

«Ho fatto avanti e indietro tra casa e comunità, poiché la coppia dei genitori si era dissolta e di fatto c' era soltanto la mamma... Ho avuto un' esistenza sfigata. No, sbagliato: abbastanza incasinata...».

 

Alla fine?

«Sono rimasta in pianta stabile con la mia nuova mamma, anche se sono cresciuta soprattutto con la nonna. Ho studiato. Ho fatto il liceo Berchet e l' università».

Che mestiere sognava?

«Medico».

 

Ci è riuscita?

«Eh, le dicevo della vita incasinata... A diciotto anni rimasi incinta. Mi iscrissi sì a Medicina, ma siccome dovevo fare il tirocinio, io avevo la piccola...».

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E il padre?

«Eravamo ragazzi...».

Quindi niente Medicina?

«Poi ho ripiegato su Psicologia. Mi sono laureata. Un aiuto enorme, nel percorso dell' adozione».

 

In che senso?

«Ho avuto un' infanzia e un' adolescenza tutto sommato serene. L' adozione l' ho metabolizzata. Semmai il tema è tornato con prepotenza più avanti, in coincidenza di periodi di solitudine, di riflessioni... È un tema che non ti molla mai. Mai. Con Psicologia dovevamo fare parecchia psicanalisi, per capire come funzionava la disciplina intendo... Pormi nelle esercitazioni sia dalla parte del medico sia da quella del paziente mi ha permesso di elaborare un bel po' di traumi».

 

Mi parli della malattia.

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«Tre anni fa. Scoprono un tumore al seno. Vede, all' inizio non c' è tutta questa enorme preoccupazione. Senonché la situazione si aggrava...

Morale: nell' ambito di una cura sperimentale americana, ho bisogno della mappatura del codice genetico e mi serve quello della mamma biologica... Basta un prelievo di sangue, un tampone salivare, nulla di che, nella massima garanzia totale e assoluta dell' anonimato».

 

Che cosa conosce della sua madre biologica?

«Ha settant' anni, abita in un piccolo paese in provincia di Como».

E non ne vuole sapere.

«Il Tribunale dei minori di Milano l' ha cercata e trovata. Le ha spiegato. Eppure niente di niente».

 

Qual è il suo sentimento?

«Lo trovo un comportamento disumano. Non ho tempo. Io ci corro, contro il tempo. Stiamo cercando di preservare la contaminazione degli organi vitali».

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La odia?

«Noi adottati, e insieme a noi i nostri genitori adottivi, impariamo una lezione: che non bisogna giudicare. Ho saputo che aveva vissuto una situazione di violenza...».

 

Una gravidanza conseguenza di uno stupro?

«Non ho idea di preciso. C' è stato un periodo, nella mia vita, in cui volevo a tutti i costi scoprire chi fosse quella donna... Ho lasciato perdere, nel timore di venire a sapere cose che mi avrebbero ancora più complicato l' esistenza... Mia mamma biologica avrebbe anche potuto abortire, invece mi ha fatta nascere. Sono stata fortunata. Quando il Tribunale dei minori si è presentato a casa sua, lei ha detto che se l' aspettava. Aveva letto la Provincia di Como , che mi segue dall' inizio».

 

Che lavoro fa, Daniela?

«Mi occupo di persone con disturbi psichici, per lo più ragazzi».

 

Le piace?

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«Li amo. Da un anno, a causa della pandemia, siamo a casa... I colleghi non si sono mai fatti sentire mentre i pazienti ogni giorno. Mi sono anche venuti a trovare. Forse solo chi ha sofferto e soffre, e non intendo unicamente di una malattia, ha la sensibilità per capire la sofferenza».

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