“PER MOLTI CONTINUO A ESSERE UNA POCO DI BUONO” – LA MAESTRA DI TORINO, VITTIMA DI REVENGE PORN, RACCOLTA IL SUO CALVARIO DOPO CHE IL TRIBUNALE HA CONDANNATO LA DIRIGENTE SCOLASTICA A 13 MESI DI RECLUSIONE, LA MAMMA DI UNA BIMBA A UN ANNO E UN'EX COLLEGA A OTTO MESI: “È MOLTO COMPLESSO RIPRENDERE IN MANO LA MIA VITA. È UN MARCHIO CON CUI DEVO CONVIVERE. MI SONO SENTITA UN OGGETTO. CONTINUAVO A CHIEDERE SCUSA A TUTTI, VIVEVO CON UN PERENNE SENSO DI COLPA, COME SE…”

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Irene Famà per "La Stampa"

 

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«Mi sono sentita un oggetto. Continuavo a chiedere scusa a tutti, vivevo con un perenne senso di colpa, come se fossi stata io ad aver sbagliato. Ora tiro un sospiro di sollievo, anche se con quel marchio ancora ci convivo. Non riesco a levarmelo di dosso».

 

La maestra del torinese vittima di un caso di revenge porn - perché non c'è altro modo di definirlo, anche se all'epoca il reato non era ancora stato inserito nella legislazione penale - racconta che malignità, pettegolezzi, e cattiverie lasciano ferite profonde. Che nemmeno una sentenza può rimarginare. Nel 2018, il suo ex fidanzato ha divulgato in una chat degli amici del calcetto delle sue foto intime. Rimbalzate in pochi minuti da un cellulare all'altro.

 

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L'hanno messa alla gogna e costretta a dimettersi dall'asilo in cui lavorava. Ieri, il Tribunale di Torino ha condannato la dirigente scolastica a 13 mesi di reclusione, la mamma di una bimba dell'asilo a un anno e un'ex collega della maestra a otto mesi. L'ex fidanzato ha ottenuto un anno di messa alla prova, mentre un suo amico, che aveva condiviso le foto con la moglie, è stato assolto.

 

Una vittoria?

«Non è ancora finita: un imputato è stato assolto. Ma gli altri sono stati condannati. E sì, io mi sento leggera. Anche se è molto complesso riprendere in mano la mia vita». Perché?

«Agli occhi dei più rimango una poco di buono. Sono in tanti a pensarla così. È un marchio con cui devo convivere, che non riesco a scacciare. E mi creda, ora è difficile fidarsi degli altri».

 

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Lei di quel ragazzo si fidava?

«Di più. L'avevo conosciuto tramite degli amici e mi era sembrato una persona rispettosa e galante. Delle donne parlava sempre con rispetto e mi riempiva di attenzioni. Mai avrei pensato che mandasse agli amici quelle foto che gli avevo donato. Glielo avevo specificato e mi aveva detto di stare tranquilla».

 

Poi l'ha tradita.

«Da lui non me lo sarei mai aspettato. Gli ho chiesto spiegazioni, mi ha risposto che era libero di fare ciò che voleva. Mi ha anche minacciata dicendo che se l'avessi denunciato avrebbe mandato quegli scatti a tutta la sua rubrica. Compresi i miei genitori. Poi quelle foto sono arrivate sino a scuola. Tutti sapevano e io mi sentivo un oggetto. Continuavo a chiedere scusa».

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Eppure non era lei ad aver sbagliato. Nessuno ha preso le sue difese?

«Nessuno, a parte la mia famiglia. E i miei avvocati, Domenico Fragapane e Dario Cutaia. Lui mi ha utilizzata come un trofeo, voleva farsi vedere dagli amici. Ma tutti, dalla preside alle colleghe, mi hanno girato le spalle. La dirigente aveva paura di finire nei pasticci, le maestre di mettersi contro di lei e per tanti ero una poco di buono. Ancora oggi è così».

 

Il giudice le ha dato ragione. Non crede basti?

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«Dopo la sentenza c'è chi ha esultato per l'unico assolto. Ha annunciato dei brindisi. Nessuno di loro ha capito dove ha sbagliato. Ancora oggi sono convinti di aver ragione».

 

Secondo lei perché?

«Sono una donna. Agli uomini è concesso tutto. Se al posto mio ci fosse stato un ragazzo, sarebbe stato considerato un figo».

 

Cosa consiglia a chi è vittima di una situazione simile alla sua?

«Di denunciare. Io avevo paura, sono stati i miei genitori a convincermi. C'è poi la questione social. Non c'è nulla di male nella sessualità, ma bisogna essere ben consci di chi si ha davanti. Io avevo diciannove anni ed ero convinta che quelle foto sarebbero rimaste tra me e il mio ex. Quando delle foto vengono divulgate, fermarle è impossibile. Se un domani diventerò mamma, darò a mio figlio tutti gli strumenti per comprendere i social. E gli racconterò la mia storia perché si pensa sempre che succederà a un altro. Ma quell'altro puoi essere tu. Credo che gli insegnerò anche un'altra cosa».

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Quale?

«A non giudicare. E avere rispetto per gli altri».

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