alessandro balocco

IL LEADER DOLCE – LA TRAGEDIA DI ALBERTO BALOCCO, 56 ANNI E AD DELL’OMONIMA AZIENDA DOLCIARIA, E DELL’AMICO 55ENNE DAVIDE VIGO, UCCISI DA UN FULMINE CHE LI HA SORPRESI MENTRE ANDAVANO IN MOUNTAIN BIKE SULLA STRADA DELL’ASSIETTA, IN VAL SUSA: I DUE SONO STATI SORPRESI DAL TEMPORALE E NON AVEVA TROVATO RIPARO QUANDO UNA SAETTA LI HA COLPITI – QUANDO A 16 ANNI CONVINSE, INSIEME ALLA SORELLA, IL PADRE A NON VENDERE L’AZIENDA E LE PAROLE CHE RIPETEVA AI DIPENDENTI: “QUI NON CI SONO PADRONI, SIAMO UGUALI…”

1. ALBERTO BALOCCO UCCISO IN BICI DA UN FULMINE

Antonio Giaimo Francescco Falcone per "La Stampa"

 

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Nubi scure premevano sulle cime delle montagne dell'alta Val Susa, mentre insieme pedalavano sulla strada dell'Assietta. Il temporale li ha colti di sorpresa in un punto dove non potevano ripararsi. Amici da sempre, appassionati di mountain bike, di cime. I fulmini in quota si sono abbattuti sul crinale e sulla strada sterrata, in uno dei tratti più belli delle Alpi del Parco dell'Orsiera Rocciavrè. Sono morti folgorati: Alberto Balocco, 56 anni, amministratore delegato dell'omonima azienda dolciaria e un suo amico torinese, ma residente da alcuni anni in Lussemburgo, Davide Vigo, di 55 anni.

 

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La disgrazia è avvenuta poco lontano dal Col Blegire a 2. 381 metri quota, a due passi dal Faro degli Alpini. «Lassù si è esposti al pericolo. Non ci sono ripari né alberi di alto fusto sui quali si sarebbe potuta scaricare l'energia elettrica di un fulmine - spiega Simone Bobbio, del Soccorso Alpino - i due escursionisti stavano percorrendo un tratto di strada sterrata in sella a due mountain bike elettriche, quando sulla zona si è abbattuto il temporale».

 

È stato un altro escursionista a dare l'allarme. Percorrendo in auto la stessa strada, ha notato i due corpi riversi tra le pietre, con le due bici vicino. Ha avvertito il 112.

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Tra i primi ad arrivare i tecnici del soccorso alpino e i carabinieri di Fenestrelle e di Sestriere. In quota è arrivato anche un elicottero del 118, con le ambulanze di Pinerolo e dalla val Chisone. Un intervento non facile in mezzo al temporale. Nonostante le condizioni meteo avverse, il pilota dell'eliambulanza è riuscito a raggiungere il luogo sfruttando uno squarcio di sereno. L'equipe medica ha raggiunto il colle ma non c'era più niente da fare. La procura di Torino ha aperto un'inchiesta: le indagini sono coordinate dal pm Francesco La Rosa.

 

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Neppure due mesi fa era morto all'età di 91 anni il papà di Alberto, Aldo Balocco, inventore del celebre panettone «Mandorlato» protagonista del successo dell'azienda dolciaria fondata da suo padre Francesco nel 1927 a Fossano, in provincia di Cuneo, partendo da una pasticceria. «Fate i buoni» è lo slogan che ha accompagnato la crescita del marchio. Oggi l'azienda fattura oltre 180 milioni di euro. Ad Alberto si deve l'ingresso della Balocco nel mercato dei frollini da prima colazione, raggiungendo una produzione di oltre 41mila tonnellate all'anno. In azienda professava tecnologia e sostenibilità ambientale.

 

Davide Vigo aveva lavorato nel settore commerciale degli elettrodomestici quando viveva a Torino. «Un uomo sportivo, pieno di vitalità» dice un amico. Sposato, due figli. Da alcuni anni si era trasferito in Lussemburgo per seguire la moglie, manager legale della Ferrero International di Alba. Davide e Alberto erano amici dall'infanzia e condividevano la passione per la montagna. Legatissimi alle vette della Val di Susa: entrambe le famiglie hanno case di villeggiatura a Sauze d'Oulx. Da lì, ieri, sono partiti per raggiungere il Col Blegire in mountain bike. L'altra sera i due amici si erano trovati con le famiglie al rifugio Ciao Pais di Sauze, luogo amato per pranzi e cene, a festeggiare i 56 anni di Balocco.

alBERTO balocco 1

 

«Davide e Alberto si conoscevano da una vita. Erano spesso insieme: le loro famiglie trascorrevano insieme anche le vacanze», racconta un conoscente. Traditi dal maltempo, durante quella gita in quota. Andrea Ferretti, il sindaco di Usseax, Comune che confina con Pragelato dove è avvenuta la disgrazia, ha visto le condizioni cambiare velocemente: «Da noi non è piovuto molto, ma in quota verso l'Assietta il cielo era scuro e in lontananza sentivo i tuoni. Erano le 13 quando è arrivato il temporale che non era stato segnalato dai siti meteo, credo che si sia trattato di un fenomeno localizzato che si è verificato in quota provocato da correnti fredde».

 

Sconcertato anche il vice sindaco di Pragelato, Mauro Maurino: «Conosciamo bene il posto che richiama sempre migliaia di turisti, alcuni salgono con le mountain bike, altri con le moto, arrivano da tutta Europa per percorrere questa strada militare. Mai si era verificata una disgrazia di questa gravità, in passato si erano abbattuti dei fulmini, ma avevano colpito solo animali negli alpeggi». Aggiunge il presidente del Parco Alpi Cozie, Alberto Valfrè: «I nostri guardaparco erano a Pragelato hanno visto le condizioni meteo cambiare rapidamente. Hanno visto il cielo diventare scuro e hanno avvertito in lontananza il fragore di un paio di tuoni. Nessuno poteva immaginare una disgrazia del genere»

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UNA VITA IN AZIENDA

Paolo Griseri per "La Stampa"

Con il padre e la sorella Alessandra ha guidato l'azienda di famiglia tra "desideri e sacrifici" Ai 400 dipendenti degli stabilimenti nel Cuneese diceva: "Qui non ci sono padroni, siamo uguali"

Come sempre, soprattutto nella storia delle aziende familiari, la svolta avviene di domenica, all'ora di pranzo, quando la frenesia della produzione rallenta e c'è il tempo per le discussioni importanti. È il febbraio dell'82 quando nella nuova casa di Fossano, in via Marconi, fatta costruire al posto dell'antica pasticceria di famiglia, Aldo Balocco chiama i figli Alessandra e Alberto: «Venite con me nello studio». Alessandra ha 18 anni, Alberto, "Bebe", 16. La scelta è difficile. La Nabisco, colosso americano dei biscotti, aveva proposto di rilevare l'azienda.

 

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Nell'autobiografia ("Volevo fare il pasticcere", Rizzoli) scritta insieme al giornalista Adriano Moraglio, Alberto racconta lo stato d'animo di quel primo pomeriggio: «Siamo poco più che due ragazzi, viviamo nella "bambagia" come molti nostri coetanei, ma abbiamo capito bene, in tutti gli anni trascorsi vicino a nostro padre, quale dramma stia vivendo: un dramma di solitudine... un dramma carico di apprensione e di ragionevole realismo. Quante volte si è rigirato in testa quella frase: «Se venissi meno io, voi come fareste?». Quel pomeriggio, racconta il figlio, Aldo Balocco è «allettato dall'ipotesi di poter tirare il fiato e garantire un futuro alla sua azienda». La Nabisco, in quegli anni, è un acquirente solido. A Chicago ha il panificio industriale più grande del mondo, possiede marchi importanti come Saiwa.

 

All'improvviso Alberto e Alessandra prendono in mano la situazione e convincono il padre a non farlo: «Hai dato l'anima per costruire qualcosa di bello, papà. Perché noi non dovremmo impegnarci a fare altrettanto?».

 

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In questo quadretto di inizio anni Ottanta in una cittadina della provincia cuneese ci sono molti caratteri di quel capitalismo familiare, locale e mondiale al tempo stesso, che ha saputo trovare nella dimensione glocal la chiave del suo successo. Alberto studia economia a Torino e Milano, governa un'azienda da quasi 200 milioni di fatturato, esporta dolci in tutto il mondo. Ma i 400 dipendenti sono concentrati nei due stabilimenti produttivi di Fossano e Trinità, nel cuneese. Un legame fortissimo con il territorio, come accade ad un altro colosso dolciario cuneese, la Ferrero di Alba. La Balocco cresce in dimensioni a metà degli anni Settanta e l'impresa comincia a fare fortuna grazie al successo del suo prodotto di punta, il panettone mandorlato.

 

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 La pubblicità su Carosello e, più recentemente, la sponsorizzazione della Juventus, rendono il marchio ancora più forte. Un amico di famiglia raccontava ieri un particolare sul carattere mite e riservato di Alberto: «Ai tempi della sponsorizzazione ci fece avere due biglietti per la partita della Juventus. Dovevamo andare tutti e tre allo stadio: io, mio padre e Alberto. Ma arrivati all'ingresso, per un disguido tecnico, non venne riconosciuto e i funzionari addetti all'ingresso non lo fecero entrare. Avrebbe potuto dire "Lei non sa chi sono io". Invece si girò e, senza dire una parola, tornò a casa».

 

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Alberto ha la stoffa dell'imprenditore proprio perché teme di sbagliare, studia ogni mossa, sa che una decisione avventata potrebbe avere conseguenze disastrose. Lui diventa amministratore delegato, la sorella Alessandra gestisce il delicato settore del marketing. Fin dal suo ingresso in azienda, nel dicembre del 1989, sente sulle spalle il peso della storia industriale della Balocco: «Ci sono dei fili invisibili che legano mia sorella Alessandra e me ai sacrifici e ai desideri, all'impegno e alle sconfitte di mio nonno, di mio papà e di quanti avevano lavorato con loro per tirare su la Balocco». Storia ormai quasi centenaria (l'azienda è stata fondata nel 1927) e avventurosa. Con il fondatore, Antonio, antifascista, costretto a fuggire in bicicletta insieme al figlio nei sentieri delle Langhe per sfuggire alle brigate nere che devastavano i loro negozi per rappresaglia.

 

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Anche se dice di vivere nella bambagia, il giovane Alberto non dimentica quella storia aziendale di famiglia. È un imprenditore moderno che sa ereditare dal padre Aldo un'azienda in crescita. Nel 2019 Forbes lo inserisce tra i 100 manager vincenti dell'anno. È un appassionato di sport: soprattutto bici e mountain bike, quello che ieri gli è stato fatale. Una tragedia che colpisce una dinastia industriale, come già era accaduto ai Ferrero con la scomparsa improvvisa di Pietro durante un'escursione in bicicletta in Sudafrica, nell'aprile del 2011. Alberto Balocco muore due mesi dopo il padre, Aldo, deceduto all'inizio di luglio. Lascia la moglie Susy Pinto, la ragazza di Napoli conosciuta a 21 anni. Andava a trovarla di nascosto ad Amalfi, dove poi si sarebbero sposati. Lascia tre figli: Diletta, la più grande, Matteo e Gabriele. Lascia un'azienda in salute. D

 

ALDO BALOCCO

ei suoi 400 collaboratori diceva: «Alla Balocco non ci sono mai stati padroni e dipendenti. Men che meno da quando siamo arrivati noi giovani. Siamo tutti insieme sotto quell'ombrello comune che si chiama lavoro». L'impresa è impresa comune, il rischio è il rischio di tutti. Sembrano drammaticamente profetiche le frasi che concludono l'autobiografia scritta nel 2016 con Moraglio: «Ce la farò? Ce la faremo anche oggi? Sono le domande che vivono dentro la coscienza di ogni imprenditore quando si trova di fronte a scelte difficili, consapevole che dietro l'angolo, anche quando tutto sembra andare bene, c'è sempre il rischio di un imprevisto, di un'emergenza che può mettere in pericolo tutto e tutti».

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