fabio de pasquale vincenzo armanna piero amara isaac eke

IL MARCIO DEL PROCESSO ENI-NIGERIA – SPUNTA UNA NUOVA BUFALA: ISAAC EKE, IL TERZO TESTIMONE NIGERIANO CHIAMATO DA DE PASQUALE A CONFERMARE LE ACCUSE DI VINCENZO ARMANNA CONTRO IL CANE A SEI ZAMPE, NON ERA UN AGENTE SEGRETO DELL’INTELLIGENCE DI ABUJA – ALLA FINE ANCHE LUI SMENTÌ ARMANNA E ENI DECISE DI FAR PREPARARE UN DOSSIER DALLA PROPRIA SECURITY PER DIMOSTRARE L'INATTENDIBILITÀ DEL GRANDE ACCUSATORE…

Giacomo Amadori Alessandro Da Rold per “La Verità”

 

il poliziotto nigeriano Isaac Eke

Il terzo testimone nigeriano portato dal procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale al processo Opl 245 non era la persona descritta dal grande accusatore Vincenzo Armanna.

 

Isaac Eke, infatti - il fantomatico terzo Victor che avrebbe dovuto confermare il pagamento di tangenti intorno alla licenza di esplorazione per il giacimento petrolifero in Nigeria -, non aveva alcun incarico nell'intelligence di Abuja, né rapporti con il presidente Goodluck Jonathan.

 

FABIO DE PASQUALE

Si tratta di un signore che con il Nigeriagate non c'entra nulla. È quanto emerge tra i documenti depositati la scorsa settimana nel procedimento sul falso complotto, appena chiuso dal procuratore aggiunto Laura Pedio, con la contestazione di reati che vanno dall'associazione per delinquere all'intralcio alla giustizia, dalla truffa alla calunnia, dalla frode in commercio al reimpiego di denaro di provenienza illecita, dalla corruzione tra privati al favoreggiamento.

 

Contestazioni a carico, tra gli altri, del faccendiere Piero Amara, dello stesso Armanna, dell'ex capo dei legali di Eni Massimo Mantovani, dell'ex numero 2 della compagnia petrolifera Antonio Vella, dell'ex manager Alessandro Des Dorides. Coinvolte anche per reati societari l'Eni trading & shipping in liquidazione, la Napag e la Oando.

vincenzo armanna

 

In questo filone di indagine l'amministratore delegato Claudio Descalzi e il capo del personale Claudio Granata sono considerate «persone offese». Tra gli atti spunta così un report molto dettagliato, commissionato da Eni alla propria security nigeriana, su Isaac Chnononyerem Eke, quello che fu chiamato da Armanna dopo che De Pasquale aveva già interrogato un altro Victor Nwafor, anche questo presunta fonte della mazzetta da 1 miliardo di dollari.

 

Va infatti ricordato che la Procura aveva già interrogato un Victor che, secondo Armanna, avrebbe dovuto confermare il passaggio delle tangenti. Ma l'uomo, durante il processo, aveva negato di «aver mai conosciuto Armanna o altri manager dell'Eni». Così era spuntato un secondo testimone che, però, era stato rigettato da tribunale.

 

PIERO AMARA

A questo punto Armanna aveva proposto di portare Eke (sostenendo avesse il soprannome di Victor) che, citato da De Pasquale, era stato ammesso in aula. Fu portato a Milano con tanto di scorta e pernottamento in un albergo del centro, dove gli furono sequestrati quattro telefoni, poi spariti dall'indagine. Il giudice Marco Tremolada protestò perché la foto del documento esibito era coperta da una pecetta e De Pasquale aveva chiesto di farlo deporre protetto da un paravento.

 

Alla fine anche Eke smentì Armanna e Eni decise di far preparare un dossier dalla propria security per dimostrare l'inattendibilità del grande accusatore. Nel report depositato viene evidenziato come Eke non avesse alcun rapporto con i servizi segreti nigeriani al contrario di quanto sostenuto dall'ex manager Eni.

FABIO DE PASQUALE SERGIO SPADARO

 

Anzi, l'unica vera vicinanza del terzo falso Victor era con la società Fenog, l'azienda nigeriana che aveva riconosciuto il pagamento di 6,6 milioni di dollari ad Armanna e 1 milione ad Amara. Ma nell'avviso di chiusura delle indagini c'è un altro colpo durissimo al castello accusatorio di De Pasquale e riguarda il cosiddetto «accordo della Rinascente», di cui hanno parlato ai pm Armanna, Amara e il suo sodale Giuseppe Calafiore.

 

claudio descalzi 3

I tre avrebbero inventato la storia del patto del centro commerciale sul quale La Verità aveva già scritto anticipando le conclusioni alle quali ora è giunta anche la Procura meneghina.Alla Rinascente di Roma Amara e Armanna avrebbero incontrato il manager Eni Granata per negoziare la ritrattazione delle accuse da parte dello stesso Armanna contro i vertici dell'Eni e per De Pasquale l'esistenza di quell'accordo era ulteriore prova della colpevolezza di Descalzi.

 

Infatti l'Ad, era questa l'ipotesi accusatoria, avrebbe cercato di «comprare il testimone» Armanna proprio per impedire che costui riferisse sulla corruzione dei pubblici ufficiali nigeriani da parte dell'Eni. Oggi ricostruzione ipotesi investigativa è stata minata alle fondamenta dalle risultanze del fascicolo parallelo sul presunto complotto.

 

LAURA PEDIO

L'inesistenza del patto, in realtà, doveva essere sembrato palese ai pm di questo secondo filone d'indagine già da almeno due anni, quando, nell'interrogatorio del 2 dicembre 2019, la Pedio e il collega Paolo Storari chiedono ad Amara di spiegare un improvviso affollarsi di testimonianze convergenti: «Le facciamo notare» dicono quel giorno, «che c'è una coincidenza temporale tra il momento in cui ha deciso di rendere dichiarazioni e il momento in cui Armanna ha deciso di raccontare il cosiddetto "accordo della Rinascente" nel corso del dibattimento []. La memoria che ha inviato all'Ufficio di Procura è di poco precedente alle dichiarazioni dibattimentali di Armanna. C'è stato un accordo tra di voi? O quantomeno lei ha avuto notizia da Armanna della sua decisione di rendere dichiarazioni raccontando come si sono effettivamente svolti i fatti?».

 

piero amara 3

Due anni dopo, concluso il processo Eni Nigeria che si reggeva anche sulle balle di Amara, arriva ora l'avviso di conclusione delle indagini firmato dalla stessa Pedio che smonta quella coincidenza.L'avviso di conclusione delle indagini presenta, però, anche dei lati oscuri. In particolare relativamente ai rapporti dell'Eni con la Napag, società calabrese di import-export di succhi di frutta riconvertita nel trading di prodotti petroliferi.

 

PAOLO STORARI

Per l'Eni e per l'ex pm di Roma Stefano Fava socio di fatto della Napag sarebbe stato Amara, ma gli inquirenti milanesi non si spingono ad affermarlo, limitandosi a contestare i reati commessi attraverso la Napag anche ad Amara senza specificarne il ruolo in commedia.

 

Ad Amara, F. M. e Giuseppe Cambareri, gli ultimi due soci effettivi di Napag, viene contestata una ipotesi di «riciclaggio-reimpiego di denaro di provenienza illecita per l'importo di quasi 26 milioni di euro» per avere costoro ricevuto il denaro dall'Eni quale profitto dei reati di intralcio alla giustizia e corruzione tra privati per poi utilizzarlo per l'acquisto di un impianto petrolchimico in Iran.

 

FABIO DE PASQUALE

Va detto che quei 26 milioni di euro erano già stati contestati ad Amara dall'ex pm Fava che nella sua richiesta cautelare dell'8 febbraio 2019, mai inoltrata dall'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e dai suoi aggiunti al Gip, in cui aveva scritto con quasi tre anni di anticipo che l'avvocato siracusano aveva commesso il reato di autoriciclaggio investendo denari nel petrolchimico iraniano, ma non direttamente, bensì attraverso l'acquisto del capitale sociale di una società di Singapore.

 

Una specificazione che nell'avviso di chiusura delle indagini di Milano non compare. Anzi gli inquirenti restano vaghi e parlano addirittura di un «greggio di incerta origine» a proposito del carico acquistato dalla Napag e che sostò oltre un mese davanti alle coste italiane a bordo della petroliera White moon in attesa di un sequestro che non è mai stato effettuato, nonostante le denunce dell'Eni.

descalzi

 

Sarà per questa indeterminatezza che la Procura meneghina non ha chiesto l'arresto di Amara né, soprattutto, il sequestro dei 26 milioni di euro, al contrario di quanto fatto, senza fortuna, da Fava. Ma i codici insegnano che il sequestro del corpo del reato è obbligatorio, a maggior ragione nel caso di riciclaggio-reimpiego, delitto contestato, come detto, ad Amara, M. e Cambareri: di fronte a questa fattispecie di reato la legge lo impone anche nella forma «per equivalente», cioè attraverso il recupero di beni dello stesso valore.

PAOLO STORARI

 

Il codice prescrive anche che per certi reati, come il riciclaggio-reimpiego, in presenza di un'«incongruenza» tra redditi dichiarati e patrimonio posseduto, il giudice debba procedere alla cosiddetta «confisca allargata», non solo cioè del provento del reato, ma di tutto i beni dell'indagato.Invece Amara, durante le feste, per quanto sia costretto in cella, si potrà consolare contando, per addormentarsi, anziché le pecorelle, i milioni di euro che non gli sono mai stati sequestrati.

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ignazio la russa

DAGOREPORT - LA RISSA CONTINUA DI LA RUSSA - L’ORGOGLIOSA  CELEBRAZIONE DELL’ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DEL MOVIMENTO SOCIALE, NUME TUTELARE DEI DELLE RADICI POST-FASCISTE DEI FRATELLINI D'ITALIA, DI SICURO NON AVRÀ FATTO UN GRANCHÉ PIACERE A SUA ALTEZZA, LA REGINA GIORGIA, CHE SI SBATTE COME UN MOULINEX IN EUROPA PER ENTRARE UN SANTO GIORNO NELLE GRAZIE DEMOCRISTIANE DI MERZ E URSULA VON DER LEYEN - DA MESI 'GNAZIO INTIGNA A FAR DISPETTI ALLE SORELLE MELONI CHE NON VOGLIONO METTERSI IN TESTA CHE A MILANO NON COMANDANO I FRATELLI D'ITALIA BENSI' I FRATELLI ROMANO E IGNAZIO LA RUSSA – DALLA SCALATA A MEDIOBANCA ALLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA, DAL CASO GAROFANI-QUIRINALE ALLO SVUOTA-CARCERI NATALIZIO, FINO A PROPORSI COME INTERMEDIARIO TRA I GIORNALISTI DI ‘’REPUBBLICA’’ E ‘’STAMPA’’ E IL MAGNATE GRECO IN NOME DELLA LIBERTÀ D’INFORMAZIONE – L’ULTIMO DISPETTUCCIO DI ‘GNAZIO-STRAZIO ALLA LADY MACBETH DEL COLLE OPPIO… - VIDEO

brunello cucinelli giorgia meloni giuseppe tornatore

A PROPOSITO DI…. TORNATORE – CRISI DEL CINEMA? MA QUALE CRISI! E DA REGISTA TAUMATURGO, NOBILITATO DA UN PREMIO OSCAR, CIAK!, È PASSATO A PETTINARE IL CASHMERE DELLE PECORE DEL SARTO-CESAREO CUCINELLI - MICA UN CAROSELLO DA QUATTRO SOLDI IL SUO “BRUNELLO IL VISIONARIO GARBATO”. NO, MEGA PRODUZIONE CON UN BUDGET DI 10 MILIONI, DISTRIBUITO NELLE SALE DA RAI CINEMA, ALLIETATO DAL MINISTERO DELLA CULTURA CON TAX CREDIT DI 4 MILIONCINI (ALLA FINE PAGA SEMPRE PURE PANTALONE) E DA UN PARTY A CINECITTA' BENEDETTO DALLA PRESENZA DI GIORGIA MELONI E MARIO DRAGHI - ET VOILÀ, ECCO A VOI SUI GRANDI SCHERMI IL “QUO VADIS” DELLA PUBBLICITÀ (OCCULTA) SPACCIATO PER FILM D’AUTORE - DAL CINEPANETTONE AL CINESPOTTONE, NASCE UN NUOVO GENERE, E LA CRISI DELLA SETTIMA ARTE NON C’È PIÙ. PER PEPPUCCIO TORNATORE, VECCHIO O NUOVO, È SEMPRE CINEMA PARADISO…

theodore kyriakou la repubblica mario orfeo gedi

FLASH! – PROCEDE A PASSO SPEDITO L’OPERA DEI DUE EMISSARI DEL GRUPPO ANTENNA SPEDITI IN ITALIA A SPULCIARE I BILANCI DEI GIORNALI E RADIO DEL GRUPPO GEDI (IL CLOSING È PREVISTO PER FINE GENNAIO 2026) - INTANTO, CON UN PO’ DI RITARDO, IL MAGNATE GRECO KYRIAKOU HA COMMISSIONATO A UN ISTITUTO DEMOSCOPICO DI CONDURRE UN’INDAGINE SUL BUSINESS DELLA PUBBLICITÀ TRICOLORE E SULLO SPAZIO POLITICO LASCIATO ANCORA PRIVO DI COPERTURA DAI MEDIA ITALIANI – SONO ALTE LE PREVISIONI CHE DANNO, COME SEGNO DI CONTINUITÀ EDITORIALE, MARIO ORFEO SALDO SUL POSTO DI COMANDO DI ‘’REPUBBLICA’’. DEL RESTO, ALTRA VIA NON C’È PER CONTENERE IL MONTANTE ‘’NERVOSISMO’’ DEI GIORNALISTI…

john elkann lingotto fiat juventus gianni agnelli

A PROPOSITO DI… YAKI – CHI OGGI ACCUSA JOHN ELKANN DI ALTO TRADIMENTO NEL METTERE ALL’ASTA GLI ULTIMI TESORI DI FAMIGLIA (“LA STAMPA” E LA JUVENTUS), SONO GLI STESSI STRUZZI CHE, CON LA TESTA SOTTO LA SABBIA, IGNORARONO CHE NEL FEBBRAIO DEL 2019, SETTE MESI DOPO LA SCOMPARSA DI MARCHIONNE, IL NUMERO UNO DI EXOR E STELLANTIS ABBANDONÒ LA STORICA E SIMBOLICA “PALAZZINA FIAT”, LE CUI MURA RACCONTANO LA STORIA DEL GRUPPO AUTOMOBILISTICO. E SOTTO SILENZIO (O QUASI) L’ANNO DOPO C’ERA STATO LO SVUOTAMENTO DEL LINGOTTO, EX FABBRICA EMBLEMA DELLA FIAT – LA PRECISAZIONE: FONTI VICINE ALLA SOCIETÀ BIANCONERA SMENTISCONO QUALSIVOGLIA TRATTATIVA CON SAUDITI...

giorgia meloni matteo salvini

DAGOREPORT – ESSÌ, STAVOLTA BISOGNA AMMETTERLO: SULLA LEGGE DI BILANCIO MATTEO SALVINI HA PIÙ DI QUALCHE SACROSANTA RAGIONE PER IMPEGNARSI A MORTE NEL SUO RUOLO DI IRRIDUCIBILE SFASCIACARROZZE DELLA MARCHESINA DEL COLLE OPPIO (“IL GOVERNO SONO IO E VOI NON SIETE UN CAZZO!’’) - DIETRO UNA FINANZIARIA MAI COSÌ MICRAGNOSA DI 18 MILIARDI, CHE HA AFFOSSATO CONDONI E PENSIONI CARI A SALVINI, L’OBIETTIVO DELLA DUCETTA È DI USCIRE CON UN ANNO IN ANTICIPO DALLA PROCEDURA DI INFRAZIONE PER DEFICIT ECCESSIVO ATTIVATA DALL'EUROPA NEL 2024. COSÌ SARÀ LIBERA E BELLA PER TRAVESTIRSI DA BEFANA PER LA FINANZIARIA 2026 CHE SARÀ RICCA DI DEFICIT, SPESE E "MENO TASSE PER TUTTI!", PROPRIO IN PERFETTA COINCIDENZA CON LE ELEZIONI POLITICHE 2027 – OVVIAMENTE LA “BEFANA MELONI” SI PRENDERÀ TUTTO IL MERITO DELLA CUCCAGNA, ALLA FACCIA DI LEGA E FORZA ITALIA…