PIJATE ‘NA PASTIGLIA – L’AFFASCINANTE STORIA DEI PLACEBO, L’“INCANTESIMO” CHE ESISTE DA MIGLIAIA DI ANNI: NONOSTANTE LA LORO IMPORTANZA, I DOTTORI NON POSSONO USARE I PLACEBO PER AIUTARE I PAZIENTI E SI DISCUTE SE NE ABBIAMO ANCORA BISOGNO NELLE SPERIMENTAZIONI CLINICHE - IL PRINCIPALE MECCANISMO TRAMITE I QUALI AGISCONO SONO ASPETTATIVA E CONDIZIONAMENTO: MA IN ALCUNI CASI FUNZIONANO ANCHE SE IL PAZIENTE SA DI ASSUMERE PLACEBO…

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Jeremy Howick per "it.businessinsider.com"

 

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Per curare il mal di testa Platone prescriveva:

una certa foglia, ma il rimedio doveva essere somministrato con un certo incantesimo; e se si pronunciava bene l’incantesimo al momento della somministrazione, la cura faceva guarire perfettamente; ma senza l’incantesimo la foglie non era efficace.

 

Oggi, definiremmo placebo l’“incantesimo” di Platone. I placebo esistono da migliaia di anni e sono i trattamenti più diffusamente studiati nella storia della medicina. Ogni volta che il dottore vi dice che l’efficacia del farmaco che state prendendo è dimostrata, intende che è stato dimostrato che funziona meglio di un placebo. Per ogni tassa o euro di assicurazione destinati a una cura, che è “dimostrato” che funziona, è dimostrato che funziona perché è (dovrebbe essere) migliore di un placebo.

 

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Nonostante la loro importanza, i dottori non possono usare i placebo per aiutare i pazienti (almeno ufficialmente), e si discute se ne abbiamo ancora bisogno nelle sperimentazioni cliniche. Tuttavia, la scienza dei placebo si è evoluta al punto che le nostre opinioni dovrebbero – ma non lo hanno fatto – cambiare il nostro pregiudizio sui placebo nella pratica e nel ruolo privilegiato dei controlli con placebo nei test clinici.

In questo rapido ripasso della storia dei placebo, mostrerò quali progressi sono stati compiuti e ipotizzo che passi potrebbe compiere nell’immediato futuro la scienza dei placebo.

 

Da preghiere di benevolenza a piacevoli trattamenti

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Il termine “placebo”, come viene impiegato in medicina, è stato introdotto nella traduzione della Bibbia in latino da parte di San Gerolamo nel quarto secolo. Il versetto 9 del Salmo 114 diventò: placebo Domino in regione vivorum. “Placebo” significa “Piacerò”, e il versetto: “Piacerò al Signore nella terra dei vivi”.

Gli storici tengono a precisare che la traduzione non è proprio corretta. La traslitterazione ebraica è iset’halekh liphnay Adonai b’artzot hakhayim, che significa, “Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi”. Ritengo che gli studiosi si stiano scaldando per poco: perché il Signore vorrebbe passeggiare con chiunque non gli sia gradito? E però, i dibattiti su cosa siano “davvero” i placebo continuano.

 

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All’epoca, e anche oggi, le famiglie in lutto organizzavano un ricevimento per chi partecipava al funerale. Grazie alla festa gratuita, i parenti lontani e – questo è il punto importante – persone che pretendevano di essere parenti partecipavano al funerale cantando “placebo”, solo per mangiare. Questa pratica ingannatrice ha portato Chaucer a scrivere, “Gli Adulatori sono i cappellani del Diavolo che cantano sempre Placebo”.

 

Inoltre, Chaucer chiamò Placebo uno dei personaggi de Il racconto del mercante. Il protagonista del racconto è Januarie. Januarie era un vecchio ricco soldato che desiderava fare sesso ricreativo con una giovane di nome May. Per legittimare il proprio desiderio, considera di sposarla. Prima di decidere, consulta i suoi due amici Placebo e Justinius.

 

ciarlatano tratta un paziente con i tractors brevettati di perkins ciarlatano tratta un paziente con i tractors brevettati di perkins

Placebo, interessato a ottenere il favore del soldato, approva il progetto di Januarie di sposare May. Justinius è più cauto, e cita Seneca e Catone, che predicavano la virtù e la cautela nella scelta della moglie.

Ascoltatili entrambi, Januarie dice a Justinius che non gli importa niente di Seneca: sposerà May. Anche in questo caso si pone la tematica dell’inganno, dato che Januarie è cieco e non si accorge che May lo tradisce.

Nel XVIII secolo. Il temine “placebo” entrò nel campo della medicina quando fu usato per descrivere un dottore. Nel suo libro del 1763, il dottor Pierce descrive una visita a un’amica, una Lady a letto per malattia. Trova il “dottor Placebo” seduto al suo capezzale.

 

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Il dott. Placebo aveva capelli ricci straordinariamente lunghi, era elegante e preparava con cura la sua medicina al capezzale della paziente. Quando il dottor Pierce chiede alla sua amica come sta, lei risponde: “Pura e in forma. Il mio vecchio amico, il Dottore, mi sta curando con alcune delle sue buone gocce”. Pierce sembra alludere che al fatto che qualsiasi effetto positivo avuto dal dottor Placebo è dovuto più alle sue buone maniere al capezzale che al reale contenuto delle gocce.

 

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Alla fine, la parola “placebo” ha iniziato a essere impiegata per descrivere le cure. Che io sappia, l’ostetrico scozzese William Smellie (nel 1752) è stato il primo a usare il termine “placebo” per descrivere un trattamento medico. Scrisse: “converrà prescrivere qualche innocente placemus, che lei possa prendere tra gli intervalli, per ingannare il tempo e accontentare la sua immaginazione” (“placemus” è un’altra forma della parola “placebo”).

 

I placebo negli studi clinici

I placebo sono stati usati la prima volta negli studi clinici nel XVIII secolo per sfatare le cosiddette cure ciarlatane. Fatto paradossale dato che le cosiddette cure “non-ciarlatane” dell’epoca comprendevano i salassi e il nutrire i pazienti con sostanze non digerite provenienti degli intestini di una capra orientale, pratiche considerate così efficaci da non necessitare di test.

 

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Tra i primi esempi che conosco in cui è stato impiegato un controllo con placebo c’è la sperimentazione dei “tractors di Perkins”. Alla fine del XVIII secolo, un dottore statunitense di nome Elisha Perkins sviluppò due barrette di metallo che, affermava, conducevano quello che lui definiva fluido patogeno “elettrico” fuori dal corpo.

Ottenne nel 1796 il primo brevetto medico rilasciato secondo la Costituzione degli Stati Uniti. I ‘tractors’ erano molto diffusi, e pare che anche George Washington ne avesse comprato un set.

 

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Nel 1799 sbarcarono in Gran Bretagna e si diffusero a Bath, un centro di cura molto importante per le sue acque minerali naturali e le relative terme, usate già in epoca romana. Ma il dott. John Haygarth riteneva i tractors una presa in giro e propose di provare i loro effetti in una sperimentazione. Haygarth realizzò quindi dei tractors di legno colorati per farli sembrare identici a quelli metallici di Perkins. Essendo di legno, non potevano condurre elettricità.

 

In una serie di dieci pazienti (cinque trattati con i veri e cinque con i finti), i tractors “placebo” funzionarono altrettanto bene di quelli veri. Haygarth concluse che i tractors non funzionavano. Curiosamente, la sperimentazione non dimostrò che i tractors non portavano benefici ai pazienti, ma solo che non producevano il loro beneficio attraverso l’elettricità. Haygarth stesso ammise che i finti tractors funzionavano molto bene, attribuendone l’effetto alla fiducia.

 

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Altri esempi iniziali di controllo con placebo valutarono gli effetti delle pillole omeopatiche rispetto a pillole di pane. Uno di questi primi esperimenti rivelò che l’inazione era meglio sia della medicina omeopatica sia di quella allopatica (standard).

Verso la metà del XX secolo, gli studi clinici controllati con placebo erano tanto prevalenti da permettere a Henry Knowles Beecher di svolgere uno dei primi esempi di una “revisione sistematica” che stimava la potenza dei placebo. Beecher prestò servizio nell’esercito statunitense durante la Seconda Guerra Mondiale. Mentre lavorava sul fronte nell’Italia meridionale, le riserve di morfina iniziarono a scarseggiare, e pare che Beecher avesse visto qualcosa che lo sorprese. Prima di un’operazione, un’infermiera iniettava a un soldato acqua salata invece di morfina. Il soldato, pensando si trattasse di morfina, sembrava non provare alcun dolore.

 

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Dopo la guerra, fu revisore di studi controllati con placebo sui trattamenti del dolore e su una serie di altri disturbi. Gli studi erano effettuati su 1.082 partecipanti e rivelarono che, nel complesso, il 35% dei sintomi dei pazienti venivano alleviati solo dal placebo. Nel 1955, pubblicò il suo studio nel famoso articolo The Powerful Placebo.

Negli anni Novanta, alcuni ricercatori misero in dubbio le stime di Beecher, in base al fatto che le persone che miglioravano dopo avere assunto il placebo avrebbero potuto guarire anche senza assumerlo. Nel linguaggio filosofico, la possibile deduzione errata per cui il placebo provoca la cura è definita sofisma post hoc ergo propter hoc (dopo di ciò, e quindi a causa di ciò).

 

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Per controllare se i placebo fanno davvero stare meglio le persone, dobbiamo fare un confronto con persone che non seguono nessuna cura. I ricercatori medici danesi Asbjørn Hróbjartsson e Peter Gøtzsche hanno fatto proprio questo. Hanno osservato sperimentazioni in tre gruppi che prevedevano il trattamento attivo, il controllo con placebo e nessun trattamento. Hanno poi verificato se il placebo era meglio rispetto al non fare niente e hanno scoperto un minimo effetto placebo generato secondo loro dal pregiudizio. Hanno concluso che “sussistono poche prove in generale circa i potenti effetti clinici dei placebo”, e hanno pubblicato i loro risultati in un articolo dal titolo Is the placebo powerless?, in contrasto diretto con il titolo dell’articolo di Beecher.

 

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Tuttavia, Hróbjartsson e Gøtzsche hanno corretto l’errore di Beecher solo per presentarne uno loro. Inclusero qualsiasi cosa fosse stata etichettata come placebo in una sperimentazione su qualsiasi patologia. Un tale paragone tra cose completamente diverse non è legittimo. Se osserviamo gli effetti di qualsiasi trattamento per qualsiasi patologia e scopriamo un lieve effetto medio, non possiamo concludere che le cure non erano efficaci. Ho esposto questo errore in una revisione sistematica, e ora è ampiamente accettato che, proprio come alcune cure hanno effetto per alcune cose ma non per tutto, alcuni placebo hanno effetto per alcune cose – soprattutto il dolore.

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Chirurgia placebo

Recentemente si sono effettuate sperimentazioni cliniche controllate con placebo. In quella che è forse la più famosa, il chirurgo statunitense Bruce Moseley ha rintracciato 180 pazienti affetti da dolori al ginocchio tanto gravi al punto che addirittura i migliori farmaci avevano fallito. Eseguì su metà di loro delle artroscopie reali e sull’altra metà delle artroscopie placebo.

 

Ai pazienti del gruppo dell’artroscopia placebo fu somministrata un’anestesia e praticato un leggero taglio sulle ginocchia, ma senza nessuna artroscopia, nessuna riparazione della cartilagine danneggiata e nessuna pulizia dei frammenti ossei.

Per non svelare ai pazienti il gruppo in cui erano, i dottori e gli infermieri spiegavano passo per passo la vera procedura anche se stavano eseguendo quella placebo.

I finti interventi funzionarono altrettanto bene di quelli “veri”. Un esame di oltre 50 sperimentazioni chirurgiche controllate con placebo rivelò che la chirurgia placebo era buona quanto quella reale in più della metà delle sperimentazioni.

 

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Placebo onesti

Un placebo può funzionare anche se un paziente non crede si tratti di una cura “reale”.

Nel primo degli studi effettuati con placebo open-label (placebo che i pazienti sanno essere placebo) di cui sono a conoscenza, due dottori di Baltimore di nome Lee Park e Uno Covi hanno somministrato placebo open-label a 15 pazienti nevrotici. Hanno proposto le pillole placebo ai pazienti dicendo: “Molte persone in condizioni simili alle vostre sono state aiutate da quelle che a volte sono chiamate pastiglie di zucchero e noi crediamo che una cosiddetta pastiglia di zucchero possa aiutare anche voi”.

 

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I pazienti hanno preso i placebo, e molti di loro sono stati meglio dopo averli presi, anche se sapevano trattarsi solo di un placebo. Tuttavia, i pazienti erano nevrotici e leggermente paranoidi, per cui non credevano ai dottori. Una volta che i placebo li avevano fatti stare meglio, hanno pensato che i dottori gli avevano mentito dandogli in realtà delle medicine vere.

 

Più recentemente, molti studi di qualità superiore hanno confermato che gli open-label placebo possono funzionare. Questi placebo “onesti” potrebbero funzionare perché i pazienti hanno una reazione condizionata a un incontro con il proprio dottore. Proprio come l’organismo di un aracnofobo può reagire negativamente a un ragno anche sapendo che non è velenoso, qualcuno può reagire positivamente a una cura da parte di un dottore pur sapendo che gli sta somministrando una pastiglia di zucchero.

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La storia dell’apprendimento di come funzionano i placebo

Un primo studio che indagava la farmacologia interna dei meccanismi placebo è quello condotto da Jon Levine e Newton Gordon nel 1978 su 51 pazienti cui erano stati estratti molari danneggiati. Tutti e 51 i pazienti avevano ricevuto un analgesico chiamato mepivacaina per la procedura chirurgica. Quindi, dopo tre e quattro ore dall’intervento, ai pazienti fu somministrato o morfina, o un placebo, o naloxone. I pazienti non sapevano quali avevano ricevuto.

 

Il naloxone è un antagonista recettore degli oppioidi, cioè impedisce a sostanze quali morfina ed endorfine di produrre i propri effetti. Blocca letteralmente i recettori, quindi impedisce alla morfina (o alle endorfine) di ancorarsi ai recettori. È impiegato per trattare le overdose di morfina.

 

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I ricercatori hanno scoperto che il naloxone bloccava gli effetti analgesici del placebo. Ciò dimostra che i placebo provocano la liberazione di endorfine analgesiche. Da allora, questi risultati sono stati confermati da molti esperimenti. Centinai di altri hanno dimostrato che trattamenti con placebo influenzano il cervello e il corpo in molti modi.

Il principale meccanismo tramite i quali si ritiene che agiscano i placebo sono aspettativa e condizionamento.

 

In uno studio comprensivo pubblicato nel 1999 sui meccanismi di condizionamento e aspettativa, Martina Amanzio e Fabrizio Benedetti hanno diviso 229 partecipanti in 12 gruppi. I gruppi, cui erano stati somministrati farmaci diversi, erano stati condizionati in molti modi e avevano ricevuto messaggi diversi (per indurre maggiori o minori aspettative). Lo studio scoprì che gli effetti placebo erano provocati tanto dall’aspettativa quanto dal condizionamento.

 

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Nonostante il progresso, alcuni ricercatori sostengono – e io tra loro – che ci sia un che di misterioso nel funzionamento dei placebo. In una comunicazione personale, Dan Moerman, un antropologo medico e un etnobotanico, lo ha spiegato meglio di me:

Sappiamo da tutte le persone che si sottopongono a risonanza magnetica che è abbastanza facile vedere cosa succede all’interno dell’amigdala, o in qualsiasi altra parte coinvolta, ma per sapere cosa muove l’amigdala, beh, ci vuole un po’ di lavoro.

 

Storia dell’etica del placebo

L’opinione accettata nella pratica clinica è che i placebo non sono etici perché necessitano dell’inganno. Questo punto di vista non tiene ancora del tutto conto della prova per cui non è necessario l’inganno affinché i placebo funzionino.

 

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La storia dell’etica del controllo con placebo è più complessa. Ora che esistono molte cure efficaci possiamo paragonare le nuove cure con le terapie dimostrate. Perché un paziente dovrebbe accettare di iscriversi a un nuovo trattamento con un placebo quando potrebbe iscriversi a un nuovo trattamento paragonato con uno dimostrato?

 

I dottori che partecipano a tali sperimentazioni potrebbero stare violando il loro dovere etico di soccorrere ed evitare danni. L’Associazione medica mondiale aveva inizialmente bandito le sperimentazioni controllate con placebo in presenza di una terapia dimostrata. Ma nel 2010, ha rovesciato la posizione dicendo che a volte avevamo bisogno di sperimentazioni controllate con placebo, anche in presenza di una terapia dimostrata. Affermava che c’erano ragioni “scientifiche” per farlo.

 

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Queste cosiddette ragioni scientifiche sono state presentate impiegando concetti (per la maggior parte delle persone) oscuri quali  “sensibilità dei test” e “dimensione assoluta dell’effetto”. In parole semplici, questi si riducono a due affermazioni (sbagliate):

1.    Dicono che possiamo fidarci solo di controlli con placebo. Il che era vero in passato. Storicamente, i trattamenti come i salassi e la cocaina erano usati per trattare molti disturbi, essendo tuttavia spesso dannosi. Mettiamo che avessimo compiuto una sperimentazione paragonando i salassi con la cocaina nella cura dell’ansia e ne fosse risultato che i salassi erano migliori della cocaina.

 

Non avremmo potuto dedurre che i salassi erano efficaci: sarebbero stati peggio di un placebo o di non fare niente. In questi casi storici, sarebbe stato meglio paragonare queste cure con un placebo. Ma adesso abbiamo trattamenti efficaci che possono essere usati come indicatori. Quindi, se esce un nuovo farmaco per la cura dell’ansia, lo potremmo paragonare con una cura efficace. Se la nuova cura si dimostra essere buona almeno quanto la vecchia, possiamo dire che è efficace.

 

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2.   Dicono che solo i controlli con placebo forniscono una linea di riferimento costante. E ciò in base all’opinione errata che i trattamenti con placebo siano “inerti” e abbiano quindi effetti costanti e invariabili. Anche questo è sbagliato. In una revisione sistematica di sperimentazioni con pillole placebo nella cura dell’ulcera, la reazione al placebo variava tra lo 0% (non avere alcun effetto) al 100% (cura completa).

 

Con la messa in discussione delle tesi a sostegno delle sperimentazioni controllate con placebo, si è ormai formato un nuovo movimento che spinge l’Associazione medica mondiale a compiere un’altra inversione a U per tornare alle sue posizioni originali.

 

Verso quale placebo?

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Per secoli, la parola “placebo” è stata strettamente legata a inganno e accondiscendenza. Studi recenti con placebo open-label dimostrano che non devono ingannare per funzionare. Dimostrano invece che non sono inerti o invariabili minando le basi dell’attuale posizione dell’Associazione medica mondiale. Sembra che la recente storia dei placebo apra la via a più trattamenti con placebo nella pratica clinica e meno trattamenti con placebo nelle sperimentazioni cliniche.

 

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