PROFESSORI DE CHE? - IN ITALIA GLI UOMINI NON VOGLIONO FARE GLI INSEGNANTI PERCHÉ NON CONVIENE, SOPRATTUTTO SE SEI UN LAUREATO E PUOI SCEGLIERE UN’ALTRA PROFESSIONE PIÙ REMUNERATIVA - SONO I DATI DELL'ULTIMO RAPPORTO OCSE SULLO STATO DELL’ISTRUZIONE NEL MONDO: UN PROF GUADAGNA LA METÀ DI CHI, A PARITÀ DI TITOLO DI STUDIO, SCEGLIE UN ALTRO LAVORO (TRA IL 56 E IL 64% DELLO STIPENDIO DEL COLLEGA) - NON SORPRENDE CHE IN ITALIA L’83% DEI DOCENTI SIA FEMMINA...

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Gianna Fregonara e Orsola Riva per www.corriere.it

 

Professore Professore

Il rapporto sullo stato dell’istruzione nel mondo: a parità di titolo di laurea un docente di scuola guadagna la metà di un ex compagno di studi che ha scelto un’altra professione. Il primato delle ragazze nei licei, il boom degli universitari cinesi

 

Agli uomini non conviene fare il prof

Fare l’insegnante in Italia non conviene, soprattutto se sei un laureato maschio e puoi scegliere un’altra professione più remunerativa. Lo dice l’ultimo rapporto Ocse sullo stato dell’istruzione nel mondo intitolato «Education at a glance».

 

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Paragonando gli stipendi di due laureate, una prof guadagna tra l’80 e il 92 per cento di quanto prende di una ex compagna di studi che ha scelto un’altra professione. Ma per gli uomini è molto peggio. Un professore guadagna la metà di chi, a parità di titolo di studio, sceglie un’altra professione (tra il 56 e il 64 per cento dello stipendio del collega).

 

insegnanti precari insegnanti precari

Non sorprende che in Italia l’83 per cento degli insegnanti sia femmina. Negli altri Paesi Ocse lo svantaggio dei docenti è molto meno pronunciato. In media gli insegnanti maschi guadagnano tra il 75 e l’86 per cento dello stipendio offerto da altre professioni che richiedono lo stesso titolo di studio. Per le donne la situazione è addirittura rovesciata: le insegnanti possono arrivare a guadagnare il dieci per cento di più che in altre professioni simili.

 

La maglia rosa delle liceali italiane

La scuola italiana raramente primeggia nei confronti internazionali. Per questo fa una certa impressione leggere il nome dell’Italia in testa alla classifica dei Paesi con più ragazze in possesso di un diploma liceale. Non in termini assoluti, si badi, ma rispetto ai loro colleghi maschi che, in generale, un po’ ovunque sono più portati a scegliere un istituto tecnico o un professionale.

 

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Forse anche perché fin dalle medie faticano maggiormente a scuola. Non per nulla due bocciati su tre (il 65 per cento) sono ragazzi. Ma in nessun altro Paese lo sbilanciamento maschi-femmine è così netto. In Italia le ragazze rappresentano il 62 per cento dei diplomati liceali contro una media Ocse del 55 per cento.

 

E non parliamo solo dei licei classici o dei linguistici che sono un tradizionale feudo rosa, ma anche dello scientifico (almeno di quello tradizionale, con il latino) dove ormai le ragazze rappresentano quasi la metà degli iscritti. Il primato delle ragazze prosegue anche all’università, visto che nella fascia d’età fra i 25 e i 34 anni più di un terzo delle donne ottiene la laurea (35 per cento), contro meno di un quarto degli uomini (23 per cento).

 

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Ma le buone notizie finiscono qui, perché poi le donne tendono ad autoescludersi da quegli indirizzi scientifico-tecnologici, matematici e ingegneristici che sono più ricercati dal mercato del lavoro (27 per cento degli immatricolati a ingegneria, 20% di quelli a un corso di laurea tecnologico-informatico). Mentre negli indirizzi che abilitano all’insegnamento ottengono una maggioranza bulgara (93 per cento).

 

E quel che è peggio, quando poi cominciano a lavorare, hanno prospettive di carriera e guadagno molto più sfavorevoli dell’ex compagni di banco a cui passavano il compito o suggerivano le risposte. I loro stipendi in media sono pari al 71 per cento di quelli dei colleghi maschi. Paradossalmente sono meno svantaggiate le ragazze con un semplice diploma di scuola superiore in tasca, visto che il loro stipendio è pari al 79 per cento di quello dei loro colleghi.

 

Università, quanto mi costi

Se, come dice il rapporto Ocse, la spesa annuale per studente è indice di quanto un Paese investa sul proprio futuro, l’Italia non può certo dirsi lungimirante, visto che uno dei dieci Stati che in assoluto investono di meno nell’istruzione.

 

Green pass universita 3 Green pass universita 3

Nel 2018, il nostro Paese ha speso il 4,1 per cento del Pil sul sistema educativo, dalle scuole elementari all’università, contro una media Ocse che sfiora il 5 per cento. Se poi si va a guardare più nel dettaglio, si vede che i più svantaggiati rispetto ai loro colleghi di altre nazionalità sono gli studenti universitari, per i quali l’Italia (che - è bene ricordarlo - è penultima in Europa per numero di giovani laureati: peggio di noi solo la Romania...) spende 12.305 dollari all’anno contro i 17 mila e passa della media dei Paesi Ocse.

 

In proporzione a quanto poco spendiamo per loro, chiediamo invece decisamente troppo, visto che le nostre tasse universitarie sono perfettamente in linea con la media Ocse (circa 2.000 dollari l’anno). ma fra le più alte d’Europa (subito dopo inglesi e olandesi), mentre sul fronte del diritto allo studio, borse, alloggi e quant’altro, restiamo fanalino di coda.

 

Il boom degli studenti cinesi

Anche in Italia, come avviene da anni nel mondo anglosassone, gli studenti cinesi sono diventati gli stranieri più numerosi nelle università. Su 54.900 studenti non italiani che scelgono il nostro Paese non per un anno o un semestre ma come sede dei loro studi (sono il 3 per cento del totale degli studenti), ben 12 mila - oltre uno su cinque - vengono dalla Cina.

 

Sono seguiti dagli studenti indiani che sono circa 3.000. Il boom di arrivi da Pechino è dovuto anche ad una politica molto attiva di piani per attrarre gli studenti che possono ottenere il visto universitario anche se non conoscono la nostra lingua ma aderiscono ai progetti Marco Polo o Turandot.

 

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