imprese fallimento

"UN'ATTIVITÀ SU TRE POTREBBE NON APRIRE PIU’" - A MILANO ESPLODE LA RABBIA DEI COMMERCIANTI DI FRONTE ALL'INIZIATIVA DELLA REGIONE LOMBARDIA DI UN COPRIFUOCO ANTICIPATO ALLE 23 E ALLA PROPOSTA DI CHIUSURE NEL FINE SETTIMANA - IL FATTURATO TOTALE DEL PUBBLICO ESERCIZIO IN CITTA' (6 MILIONI AL GIORNO) RISCHIA DI SCENDERE SOTTO GLI 1,5 MILIONI AL GIORNO - VOGLIAMO RIPETERE IL FILM GIA' VISTO DI "MILANO NON SI FERMA"? 

Francesco Spini per “la Stampa”

 

MILANO PROTESTE COMMERCIANTI

«È una follia totale». Marco Barbieri, segretario generale della Confcommercio di Milano allarga le braccia di fronte all'iniziativa della Lombardia di un coprifuoco anticipato alle 23 e alla proposta di chiudere le attività commerciali medie e grandi il sabato e la domenica. «Forse intendevano chiudere i soli centri commerciali, magari non sanno che a Milano chiudere i negozi con una superficie maggiore di 250 metri quadrati equivale a serrare il 90% degli esercizi».

 

Il rappresentante dei commercianti fa due calcoli. Quella che tratteggia è una Milano del commercio già in ginocchio. «Con almeno 5 milioni di turisti in meno rispetto agli 11 milioni del 2019, senza universitari in presenza, con le fiere e i congressi in formato ridotto, e con la città svuotata di almeno 700 mila pendolari le nostre imprese si trovano non in ginocchio, di più...».

 

MILANO COPRIFUOCO

A dimostrarlo, spiega Barbieri, c'è una recente ricerca condotta su mille tra imprese trasversali tra tutti i settori tra commercio, turismo e altri servizi: una su tre chiuderà entro fine anno. «Questo giro di vite rischia di dare un'ulteriore bastonata alla media e grande distribuzione».

 

Anche qui, altri calcoli: «In media il fatturato totale del pubblico esercizio a Milano, in tempi normali, è di 6 milioni al giorno. Dopo la prima ondata di covid tale giro d'affari si è già dimezzato. Il coprifuoco e la chiusura nei fine settimana rischia di falciarlo di un altro 70%, facendolo scendere sotto gli 1,5 milioni al giorno». Mastica amaro Barbieri. Sa bene che «un settore come l'abbigliamento nel weekend fa anche oltre del 50% del proprio giro d'affari».

 

MILANO PROTESTE COMMERCIANTI

Conferma Gabriel Meghnagi, notissimo commerciante di Corso Buenos Aires ma che, tra i suoi negozi, ha anche un punto vendita anche in un centro commerciale di Rozzano, periferia Sud: «Una cosa del genere massacrerà il settore, significa togliere il 60% degli incassi, una follia pura». Meghnagi, che è pure presidente della rete associativa Vie della Confcommercio milanese conosce bene la situazione. «Avrei capito se la proposta fosse quella di anticipare la chiusura dei centri commerciali, dalle 22 alle 20». Un sacrificio, ma passabile.

 

«Così invece si rischiano effetti devastanti. Pensiamo ai dipendenti, lasciati a casa in giorni di stipendio maggiorato. Avranno tagli alla busta paga. Parliamo di molta gente, sa? Pensi anche solo a Corso Buenos Aires: su 280 negozi, 120-130 sono di grandi superfici. In ognuno lavorano almeno 10 persone. Si tratta, per una sola via, di 1300 persone. In Corso Vittorio Emanuele sono anche di più». Per non parlare delle grandi catene che pullulano ai bordi della città. «Vogliono creare un deserto che già c'è. Questo lunedì a Milano abbiamo registrato il 40% di fatturato in meno rispetto a una settimana fa».

milano vuota coronavirus

 

Una sorta di auto-lockdown, si direbbe. «La verità - dice Barbieri - è che sono richieste senza senso. Gli assembramenti non sono nei punti vendita dove i protocolli sono rispettatissimi, si misura la temperatura, si mantengono le distanze, si indossano e si fanno indossare le mascherine.

 

Gli assembramenti, i problemi sono fuori, dove nessuno fa rispettare le regole. Non si vuole l'esercito? Chiamiamo ausiliari per dare le multe a chi sgarra». «E invece colpiscono i ristoranti, che sono i luoghi più sicuri», attacca Michele Berteramo, proprietario del «Movida», ristorante-cocktail bar sui Navigli. È furibondo:

 

«Chiudere alle 23, cosa vuole che le dica? Assurdità da politici allo sbaraglio. Sono più preoccupato oggi di quanto non lo fossi a marzo». Nella prima ondata «quando non sapevamo a cosa saremmo andati incontro, paradossalmente era tutto più lineare. Ci avevano detto: vi chiudiamo ma poi vi aiuteremo».

 

fontana

Ora è peggio, assicura, «fanno i furbetti. Ci dicono: rimanete aperti e arrangiatevi in qualche modo. Ma non ci chiedete nulla...». Lavorare così, dice Berteramo, pure dirigente dell'associazione di categoria Epam, «è impossibile, già ora il locale è quasi vuoto. Sa che dico? Piuttosto chiudeteci e aiutateci. Ma avanti di questo passo ci faranno solo impazzire. Poco fa un collega mi ha mandato un messaggio. Sa cosa mi ha scritto? "Basta, da domani chiudo tutto"».

ATTILIO FONTANA

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