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"I PIÙ GIOVANI VOGLIONO LAVORARE QUATTRO O CINQUE GIORNI ALLA SETTIMANA, NON PIÙ SEI" - MOLTI GESTORI DI BAR E RISTORANTI SONO ENTRATI IN CRISI PER L'AUMENTO DI RICHIESTA DI LAVORI PART-TIME E LA MANCANZA DI STAFF DA SALA - NEGLI ULTIMI 2 ANNI CIRCA 8,000 CAMERIERI HANNO ABBANDONATO LA PROFESSIONE: "OGGI SI SENTE MOLTO L'IMPATTO DI ISTITUTI CHE FINO A QUALCHE ANNO FA NON ERANO COSÌ DIFFUSI, COME IL REDDITO DI CITTADINANZA O LA NASPI. PARACADUTI CHE POSSONO RENDERE MENO IMPELLENTE LA NECESSITÀ DI LAVORARE…"

1 - LOCALI, L'ALLARME DEI GESTORI: I BARISTI VOGLIONO TURNI SOFT, DOBBIAMO CHIUDERE PRIMA

G.Val. per “il Messaggero”

 

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Lavorare può stancare, e tanto. E così i lavoratori capitolini del settore ristorazione, soprattutto i più giovani, prima di accettare un contratto in pub, bar, ristoranti e pizzerie, sono diventati molto più esigenti rispetto a qualche tempo fa. Oggi puntano ai turni più brevi e chiedono, per quanto possibile, i fine settimana liberi. Le associazioni di categoria da tempo stanno monitorando questo cambiamento di abitudini che si tradurrà, a cascata, in probabili chiusure anticipate dei servizi.

 

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Quindi, potrebbe capitare più spesso di imbattersi in un locale con la serranda abbassata nel fine settimana oppure alle 2 di notte. Claudio Pica, presidente della Fiepet Confesercenti Roma fotografa una condizione in evoluzione e che sta portando gli stessi esercenti capitolini a rivedere molti dei propri ritmi. «C'è chi è costretto a rimodulare gli orari - spiega il responsabile dell'associazione - soprattutto i più giovani vogliono lavorare quattro o cinque giorni alla settimana, non più sei. Questo causa un aumento dei costi, perché per un imprenditore ciò significa fare turni in più e gestire una maggiore forza lavoro».

 

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La proiezione che fa Fiepet Confesercenti è di un settore che sarà costretto a cambiare le proprie aperture al pubblico in un futuro ormai non troppo lontano. «In passato orari più brevi venivano seguiti soprattutto da quelle attività che si trovano vicino agli uffici e che di fatto lavoravano dal lunedì al venerdì. Il sabato e la domenica rimanevano chiusi proprio perché non avevano clienti. Soprattutto in questa fase di ripresa economica c'è chi sta considerando di rimodulare gli orari di apertura anche nelle zone che tradizionalmente sono state meno toccate dalla presenza degli uffici e, più in generale, dei lavoratori».

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FINE DELLA GAVETTA

Per l'associazione di categoria già da qualche anno c'è stato un vero e proprio cambio di passo sul mercato del lavoro legato alla ristorazione. «Sempre più persone ci chiedono forme di lavoro part-time di 30 ore. In associazione, da marzo a oggi, abbiamo fatto circa 300 assunzioni. E il dato di queste figure più esigenti sugli orari è di circa il 30-40% in più rispetto a cinque anni fa», prosegue Pica.

 

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Per Fiepet-Confesercenti la gavetta che ha tradizionalmente contraddistinto il settore (con il garzone che poi diventa titolare dell'attività), «ormai non c'è più da un pezzo. E sono pochi i figli che continuano le attività del padre». Mancano professionisti: «Servono banconisti e camerieri. Fortunatamente negli ultimi dieci anni questa lacuna è stata colmata dalle comunità straniere. Da albanesi e ucraini, per esempio - dice Pica - c'è una tendenza, forse aggravata dalla pandemia, di personale più esigente. Viene richiesto qualificato e in grado di andare incontro alle esigenze del mercato».

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Per il presidente di Cna Confcommercio, Federico Mondello, la questione è particolarmente complessa. Lato dipendente, infatti, si attiva una sorta di processo comparativo tra l'offerta di lavoro e i sistemi di ammortizzazione sociale. «Oggi si sente molto l'impatto di istituti che fino a qualche anno fa non erano così diffusi, come il reddito di cittadinanza o la Naspi - spiega - Sono paracaduti che possono rendere meno impellente la necessità di lavorare. Così l'offerta deve essere necessariamente più competitiva».

 

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Per Modello, Roma va verso un cambio degli orari di servizio delle attività di ristorazione. Non passando attraverso una divisione per quartieri, quanto per categorie delle attività commerciali. «Di sicuro ridurranno i loro orari tutte quelle tipologie di ristoranti che puntano sulla qualità e che sono meno di massa», sottolinea.

 

2 - COVID, CAMERIERI IN FUGA: IN DUE ANNI 8MILA IN MENO

Giampiero Valenza per “il Messaggero”

 

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Le riaperture post-Covid e le belle giornate di questa primavera stanno accelerando la ripresa. Almeno così a Roma sembra essere per il settore ristorazione. Nella Capitale, infatti, chi ha sofferto la crisi più nera sta lavorando sodo per risanare tutte quelle ferite avute durante la pandemia e che comunque, ancora oggi, si fanno sentire con forza.

 

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Secondo le stime di Fiepet-Confesercenti, l'intero mercato romano può contare oggi su circa 90.000 addetti, che in totale arrivano a 145.000 se si considera l'intero indotto, aggiungendo quindi altre professioni come gli addetti alle consegne, i rappresentanti o quelli che si occupano della filiera dei prodotti alimentari che si sono rimessi in moto proprio grazie alla maggiore clientela che sta riempiendo anche tanti dehors del centro di Roma. Tavolini pieni che si traducono, ovviamente, in condizioni migliori per l'economia capitolina.

 

IL MOMENTO NERO

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Il momento più nero del Covid, quello del lockdown duro che mise in ginocchio l'intero Paese nella primavera del 2020, portò anche a Roma alla riduzione dell'organico di bar, pizzerie, ristoranti e locali. Erano le settimane del take away, nel corso delle quali molti esercenti si sono reinventati un metodo di lavoro, puntando più sui piatti preparati a portar via. Era il periodo in cui anche nella Capitale c'è stato il boom delle consegne a domicilio e che ha aperto, di fatto, a un nuovo mercato nel settore della ristorazione.

 

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Allora in città si raggiunse quota 35.000 addetti: in pratica, meno della metà di quanti oggi si trovano tra tavoli e banconi che riempiono il Centro (meta soprattutto dei turisti a caccia di selfie e dei dipendenti delle istituzioni) e la periferia (che sono invece più gettonati dai residenti e dai lavoratori). I numeri dei posti di lavoro oggi, confermano dunque come la ripresa sia tangibile: oggi, stando a quanto sottolinea Fiepet-Confesercenti, mancano 8.000 persone per raggiungere quei livelli di personale che si avevano nel 2019, l'anno pre-pandemico.

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Una missione che non sembra impossibile visto il recupero di questi mesi, ma che comunque dovrà portare gli imprenditori capitolini a mettercela tutta per recuperare quel tempo speso tra chiusure e misure di contenimento. Nel solo periodo della settimana di Pasqua sono stati registrati incassi, nelle sole attività romane, di circa 22 milioni di euro, che arrivano a 27 milioni se si guarda, invece, a tutte le attività presenti nel la Regione Lazio.

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La festa, dunque, ha fatto bene anche all'economia. A far tirare un respiro di sollievo ai ristoratori c'è anche l'allentamento delle restrizioni causate dal Covid: dal primo maggio nessun controllo del green pass e nessuna mascherina viene imposta all'interno dei locali.

 

IL FATTURATO

Nell'anno dello scoppio dell'emergenza sanitaria, il 2020, «la flessione del fatturato è stata pari al 44,9%» rispetto al 2019, «cui si aggiunge un calo degli addetti del 12,5%» nel settore dei ristoranti e degli alberghi. Questa fotografia è stata scattata, su base nazionale, dall'Osservatorio sui bilanci 2020 delle Srl del Consiglio e della Fondazione nazionali dei commercialisti. Il comparto, «il cui campione analizzato riguarda 46.333 aziende, ha registrato un decremento dei ricavi più accentuato delle Srl in generale (-8,5%)», mentre «il valore della produzione, invece, si è ridotto del 40% e il valore aggiunto del 53,6%».

interno ristoranti covid 8

 

A livello geografico, invece, «le Srl del Centro registrano il calo maggiore (-48,7%) rispetto alle altre macroaree: in particolare, il Sud (-41,9%) e il Nord-est (-42,1%) presentano i decrementi più contenuti, mentre il Nord-ovest (-46,1%) mostra una flessione più ampia», nell'annualità della diffusione del Covid-19. Nel Lazio il decremento del fatturato registrato dai commercialisti è stato nel 2020 pari al 51,9%.

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