"SIAMO IN UNA FASE DI CHIARA DECRESCITA DELLA PANDEMIA" - SILVIO BRUSAFERRO, PRESIDENTE DELL'ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA': "LA VACCINAZIONE HA CAMBIATO LA STORIA DELL'EPIDEMIA, MA SE NON FOSSE STATA ACCOMPAGNATA DALLA FORTE ADESIONE NON SAREMMO ARRIVATI A QUESTI RISULTATI" - "E' FONDAMENTALE ORA INVESTIRE IN RICERCA SCIENTIFICA, TECNOLOGIA..."

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Margherita De Bac per il corriere.it

 

silvio brusaferro foto di bacco (3) silvio brusaferro foto di bacco (3)

Nessuno vuole illudersi che il conto con questa fase della pandemia sia definitivamente chiuso. Però tutti gli indicatori vanno da quella parte. Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità e portavoce del Comitato tecnici scientifico, li elenca con la prudenza del tecnico: «La discesa è chiara. L’indice Rt si conferma sotto la soglia epidemica. Si è abbassato a 0,85 rispetto allo 0,90 della settimana precedente e questo significa che il numero degli infetti tende a scendere. Si riducono i ricoveri in terapia intensiva e nei reparti di medicina rispettivamente dell’11% e del 7,7%. Lo scenario è un trend di decrescita importante».

 

vaccino 2 vaccino 2

Il numero dei nuovi casi positivi però non è insignificante. Sono ancora oltre 60mila.

«Noi dobbiamo valutare lo scenario complessivo pur se ci troviamo di fronte a una elevata circolazione. Le infezioni diminuiscono in ogni fascia d’età. Tra i 60 e gli 80 anni abbiamo una incidenza settimanale tra i 4-500 ogni 100 mila abitanti, mentre nei più giovani (under 19) superano i 1.500. Dal punto di vista della tenuta del sistema sanitario è un dato fondamentale».

 

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Rispetto alle ondate epidemiche precedenti è andata meglio?

«Sicuramente questa fase è stata caratterizzata da una popolazione in larghissima parte immunizzata e gestita in un contesto di attività diagnostica molto intensa. La copertura vaccinale, la capacità di aver garantito un milione di tamponi al giorno, hanno fatto la differenza così come i comportamenti degli italiani, consapevoli di dover collaborare».

 

Si tende a fare confronti con quanto è successo negli altri Paesi europei. Abbiamo fatto meglio o peggio?

«Sono valutazioni impossibili da fare a caldo. Sono troppe le variabili. A cominciare dal tipo di organizzazione sanitaria nelle diverse nazioni. Noi abbiamo potuto contare su un Servizio sanitario nazionale universalistico che probabilmente ha garantito a tutti risposte efficaci».

 

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I tre motivi che ci hanno aiutato a uscirne.

«La vaccinazione ha cambiato la storia dell’epidemia però se non fosse stata accompagnata dalla forte adesione e dal consenso generale dei cittadini forse non saremmo arrivati a questi risultati. E poi il valore aggiungo del Servizio sanitario che, tra gli altri, ha potuto fare leva sui dipartimenti di prevenzione».

 

Prima della pandemia l’opinione pubblica non ne conosceva l’esistenza.

«E invece sono stati determinanti. Sono i servizi delle Asl incaricati di tutelare la salute collettiva dove professionisti altamente qualificati che garantiscono una lunga serie di attività essenziali anche se poco note. La prevenzione delle malattie infettive attraverso vaccinazione e sorveglianza, monitoraggio e controllo di rischi ambientali, sicurezza dei luoghi di lavoro, salute animale, qualità di acque e alimenti. Una volta i professionisti della sanità pubblica si chiamavano ufficiali sanitari.In questa pandemia i dipartimenti si sono occupati del tracciamento dei casi, del contenimento dei focolai e di mandare avanti l’attività ordinaria come la profilassi delle altre malattie».

 

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Lei è professore di igiene all’università di Udine. Proviene da questa formazione?

«Sì, ho lavorato sul campo in un dipartimento dell’alto Friuli. Ne vado fiero. Sono specialisti che agiscono nell’ombra, senza che il loro ruolo venga conosciuto e apprezzato dal grande pubblico. L’Italia ha una grande tradizione nella prevenzione e mi auguro che questi dipartimenti vengano rafforzati, anche grazie al fatto che è diventata chiara la loro importanza quando si devono affrontare situazioni di emergenza».

 

terapia intensiva covid terapia intensiva covid

Cosa ci ha insegnato la pandemia?

«Che è fondamentale investire in ricerca scientifica, tecnologica ma anche nella capacità di traslare queste in prodotti e servizi fruibili. Il nostro Paese è ricco di competenze e di conoscenze e capacità imprenditoriali ed è importante valorizzarle ancor più. Quando le mascherine non si trovavano, in tempi rapidissimi le nostre industrie sono state capaci di riconvertirsi: oltre 640 aziende sono state in grado di produrre e commercializzare secondo gli standard richiesti questi strumenti così importanti».

 

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