REMEMBERING MOBY PRINCE - IL RICORDO DEL FOTOGRAFO MASSIMO SESTINI: “ARRIVAI PER PRIMO DI FRONTE A QUELL'INFERNO. MI IMBUCAI SU UN GOMMONE DEI VIGILI DEL FUOCO CI AVVICINAMMO ALLA NAVE, FU UNA COSA CHE NON DIMENTICHERÒ MAI. I CORPI E LE FIAMME, UNO SGOMENTO SENZA FINE. DOPO TANTI ANNI DI CARRIERA CI SI ABITUA AL DOLORE, PERÒ QUELLA SCENA MI È RIMASTA DENTRO. CHE COSA RICORDO DI QUELLA NOTTE? IL GRANDE FREDDO, IN QUELL’INCENDIO” - GALLERY

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Roberta Scorranese per www.corriere.it

 

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Quella notte del 10 aprile di trent’anni fa, sulla banchina del porto di Livorno c’erano solo lui e i Vigili del Fuoco. Non era un caso. «Lui» è Massimo Sestini, fotografo e giornalista, ma soprattutto un testimone della nostra storia recente. Sestini, un pratese di 58 anni, ha raccontato l’arresto di Licio Gelli e gli scontri del G8, per fare due esempi. E quella notte venne svegliato da un alto funzionario della Polizia che gli disse, in sostanza: c’è una nave in fiamme al porto di Livorno. «Non ci pensai due volte. Mi vestii e andai lì», racconta.

 

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Sono nate così le foto esclusive che vedete in questa pagina, foto che all’epoca dell’incidente del Moby Prince (quando un traghetto con 140 persone a bordo entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, nella rada del porto toscano) fecero il giro del mondo.

 

«Arrivai che era notte fonda – continua il fotoreporter – e le navi erano a sei o sette miglia di distanza. Non si vedeva nulla, come avrei fatto a riprendere la scena con la mia macchina fotografica?». Così come ha fatto tante altre volte Sestini si è «imbucato». Su un gommone dei Vigili del Fuoco, con uno stratagemma. «Arrivammo vicinissimi alla nave in fiamme, una cosa che non dimenticherò mai. E sì che nella vita ho raccontato di tutto, dalle tragedie aeree al dramma dei profughi. Ma non riuscivo a smettere di pensare che su quella nave c’erano più di cento persone carbonizzate».

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I soccorsi fervevano al largo, mentre negli scatti di Massimo Sestini l’alba toscana si annerisce di colonne di fumo provenienti dalle navi, scure come in certi dipinti di Turner. «Riuscii per primo – continua il fotografo – a procurarmi anche le immagini a bordo della nave. La mia sensazione? Di sgomento fortissimo, perché quel rogo in mezzo al mare mi sembrava assurdo. Tutto aveva un sapore irreale.

 

Dopo tanti anni di carriera ci si abitua, purtroppo, al dolore, però quella scena mi è rimasta dentro. E penso di sapere anche perché. Perché all’epoca non eravamo inondati di immagini come avviene oggi, ma una foto aveva un impatto diverso, un peso molto maggiore. Era un documento fortissimo che raccontava, documentava qualcosa, non era solo un’immagine che ti colpisce».

 

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E queste immagini sono testimonianze dense, dolorose. Ci sono i corpi a terra che Sestini ha sfocato (una tecnica che si chiama sfocamento radiale) per rispetto delle vittime, ci sono i getti d’acqua dei soccorsi, c’è la veduta dall’alto che sentenzia la tragedia. Nelle parole del fotoreporter però c’è un senso di annichilimento, come avviene in quelle persone che hanno visto cose sovrumane. «Che cosa ricordo maggiormente di quella notte? – conclude – Forse il grande freddo. Faceva freddo, in quell’incendio».

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