RUSSIA-UCRAINA: LA CRONACA DI CENTO GIORNI DI GUERRA BY DOMENICO QUIRICO - "IL 24 FEBBRAIO È LO SPARTIACQUE TRA IL BENE E IL MALE, LA FINE DELLE ILLUSIONI DELL'EUROPA – POI È VENUTA BUCHA E GLI ALTRI QUARTIERI DELL'ORRORE, CON I CADAVERI ABBANDONATI PER STRADA. LA GUERRA HA COMINCIATO A SFOGLIARE LE NOSTRE IPOCRITE ILLUSIONI: NON CE LA SAREMMO CAVATA CON LE SANZIONI E GLI EROICI SUDORI DI UNA ESTATE SENZA ARIA CONDIZIONATA. E ORA? ZELENSKY HA AMMESSO CHE I RUSSI CONTROLLANO ORMAI IL 20% DELL'UCRAINA. È QUESTA LA VITTORIA DI PUTIN?"

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Guerra in Ucraina 100 giorni mappa

Domenico Quirico per “la Stampa”

 

putin zelensky putin zelensky

Cento giorni: abbiamo vissuto prima del 24 febbraio sopra un vecchio fondo di illusioni e di leggende consolanti, l'Europa della pace, la legge delle armi relegata ai conflitti dei più poveri, fanatici e ignoranti, la luccicante concorrenza dei consumi delle nazioni... Esse hanno impregnato i nostri spiriti, ci hanno foggiati e hanno una grossa parte di responsabilità negli eventi crudeli che l'attacco di Putin all'Ucraina ha fatto svolgere davanti a noi. Quello che era prima è stato falciato dalle raffiche delle mitragliatrici e si è decomposto nei crateri dei missili. Non ha più corpo né credito se non in qualche fossile dell'ottimismo a ogni costo che pensa che, per miracolo, come è andato in pezzi un mattino il mondo possa tornare a quell'ordine, precario quanto precario ora lo sappiano!, che invece è definitivamente perduto.

 

Corpi in un supermercato a Mariupol con le etichette sul braccio Corpi in un supermercato a Mariupol con le etichette sul braccio

 

Cento giorni ed è già difficile ricordare cosa facevamo quel 23 febbraio, il giorno prima. E dire che era appena da qualche settimana che tutto di nuovo pareva facile, la vita favorevole piena di imprese rischiose e riuscite! La pandemia si stava trasformando in ricordo, qualche obbligo residuo, le mascherine! Aveva ancora diritto a una polemica, si parlava, che bella parola, di ripartenza. E invece, di nuovo, è il tempo delle idee tetre.

 

Perfino il primo mese di guerra oggi ci appare come spaesato, impalpabile, non riusciamo a ritrovarne il ritmo. Era il tempo in cui i russi, illudendosi pare della guerra lampo, si erano ingolfati nella breccia verso Kiev. Gli eroici ucraini, incredibilmente, ci davano dentro, resistevano.

 

SEVERODONETSK GUERRA RUSSIA UCRAINA SEVERODONETSK GUERRA RUSSIA UCRAINA

Fu il tempo dei fotogrammi, ripetuti milioni di volte fino a dare una visione di perennità, dei carri armati impantanati nel terreno grasso d'Ucraina, delle colonne, di 60 chilometri! Che saltavano in aria sotto i colpi geniali, si diceva, dei droni fai da te. Donne e bambini nelle strade confezionavano inutili bottiglie molotov, non servivano militarmente a niente ma ci ricordavano che quando qualcuno è aggredito allora si diventa eroi: così, normalmente, con l'impegno che si mette a far bene il lavoro o a compilare il compito in classe.

 

 

GUERRA RUSSIA UCRAINA GUERRA RUSSIA UCRAINA

È vero. Le città come Kiev sotto i colpi di missili che sembravano gettati a casaccio, con schianti di rovina, erano come ammassate in un angolo fosco della nostra attenzione: sciupate, tarlate, annerite dagli incendi. E alle frontiere si ammassava la migrazione delle donne e dei bambini, portandosi dietro la memoria degli ordigni che passavano col rumore di una urlata, con un soffio di aspirazione nello spazio, e avevano l'aria di sospetto e di incerto destino di tutti gli emigranti: piccoli, silenziosi, denti stretti e cappotti abbottonati. Il destino. Guardarli dava forza e gioia alla nostra pietà, l'accoglienza, parola sempre così aspra e piena di sottintesi, allora ci usciva di bocca svelta, sonora. Ecco l'Europa: incontri e sedimenti di civiltà, amicizie che rimontano i secoli, popoli affacciati su questa vecchia terra che spettegolano l'un l'altro. Ucraini venite!

Siete nostri fratelli, noi siamo con le vittime. Quasi sempre.

Eppure tra noi e loro, in fondo ai treni e agli autobus che l'avevano portati via, c'era una distanza enorme, un abisso, tutti i mille chilometri che erano stati percorsi e i giorni che sarebbero venuti. Loro erano stati là, noi no.

Corpi in un supermercato a Mariupol con le etichette sul braccio Corpi in un supermercato a Mariupol con le etichette sul braccio

 

Avevamo forse scoperto il modo perfetto per essere in guerra e non esserci, sentirci eroici senza andare al di la del confine della Nato diventato di colpo la frontiera tra il bene e il male putiniano, dai contorni un po' mongoli, un po' staliniani.

 

Era il tempo in cui mandavamo agli ucraini aiuti militari difensivi, solo per «resistere». E ci si affannava a precisare che quella era la guerra contro Putin e non contro i russi, anche loro vittime del dispotismo. Si descriveva l'ex spione con cui convivevamo benissimo da venti anni come un enigma che aveva una caverna al posto del cuore, da cui uscivano progetti crudeli, insondabili.

 

Zelensky, il presidente un po' oligarca un po' attore, spuntava sugli schermi, assertivo, implacabile, sembrava che ci guardasse negli occhi ricordandoci che dovevano essere eroi, ci ingiungeva di scendere in guerra per non essere le prossime vittime. Correvano brividi: ma noi non eravamo in guerra, aiutavamo semplicemente la pace. E qualcuno che non aveva mai visto un carro armato se non al cinema e credeva di sapere che cosa è la guerra ci tranquillizzava spiegando che un anticarro portatile è una arma difensiva, uccide ma non impegna.

 

soldati ucraini al confine con la russia soldati ucraini al confine con la russia

Oggi, dopo appena cento giorni, siamo all'invio di missili e di obici che fanno vibrare lo spazio. Ma neanche questi basteranno tra qualche giorno e settimana. Perché è la guerra che detta le sue regole quando pianta gli artigli in un luogo e inizia a alzare, golosa, inesorabile, la posta.

I russi si ritiravano allora! Il miracolo era riuscito, l'esercito dell'Orco veniva descritto come una masnada di generali corrotti e incapaci e di soldati renitenti. Si tracciavano, troppo presto, i conti del dopo: le riparazioni da chiedere, le punizioni da esigere.

 

Guerra Russia Ucraina Guerra Russia Ucraina

Poi è venuta Bucha e gli altri quartieri dell'orrore, con i cadaveri abbandonati per strada, le tombe scavate in frettolosi strati di terra nei giardini delle case e dei parchi, i filmati con i civili in fila per l'esecuzione. Abbiamo scoperto che la guerra anche quella tra europei, non è un gioco di scacchi, non ha regole o linee che non si possono infrangere. I russi non erano soltanto aggressori che volevano imporre nel Palazzo di Kiev un suddito obbediente come un tempo, erano irrequieti avventurieri che cercavano la strage, il bottino e il disordine. La guerra ha cominciato a sfogliare le nostre educate, ipocrite illusioni: non ce la saremmo cavata con le sanzioni e gli eroici sudori di una estate senza aria condizionata.

È allora che la guerra è cambiata. Ed è stata la seconda frustata: Mariupol e l'acciaieria assediata con le latonie a difendere un cieco, inutile coraggio. La guerra è diventata un accatastamento di cose selvagge, livide che si mescolano, si confondono in cui i giorni si incidono con una brutalità da acquaforte.

 

guerra russia ucraina massacri guerra russia ucraina massacri

Da allora è tornata nella piana del Donbass, tra le montagne morte dei residui di carbone da dove era partita otto anni fa. E ora tutto odora acremente di polvere e i russi, per vincere, hanno stabilito che qui dopo non sussista più niente.

 

La battaglia divora vite nelle pianure di Severodonesk e di Lugansk, la morte sbriciolatrice dell'artiglieria si insinua, svela sua faccia primitiva e maledetta. Città e villaggi perdono la loro aria di balocco nelle pianure mosse da onde di inutile grano che non si può raccogliere. Alti camini di fumo salgono tra le case e le fabbriche. Ogni cosa muore in un grigio uniforme. I russi avanzano tra rovine che sembrano già vecchie, fatte di lembi di muri, aguzzi come denti cariati.

 

guerra russia ucraina forni crematori itineranti guerra russia ucraina forni crematori itineranti

Il Donbass sta per morire. Il Donbass muore. In un rombo cupo martellato dai colpi più forti come in un tappeto di incudini, soldati ucraini, lividi, con le divise di fango, si ritirano. Muoiono, ora si ammette, a centinaia ogni giorno. A mezza voce lanciano le prime accuse: a Kiev li hanno traditi, lasciati in balia del nemico senza munizioni, senza armi efficaci... I civili che non hanno potuto o voluto fuggire, una folla avida e magra, aspettano i russi che avanzano cauti. Nascondono le bandiere ucraine e li guardano passare con occhi già ostili.

 

Ci si prepara al dopo, bisogna sopravvivere, il destino sembra aver gettato i suoi dadi. Non c'è più niente della Ucraina qui, la terra a cannonate è stata fatta tornare al caos delle prime età sotto il suo cielo immenso come il dolore. Zelensky ha ammesso che i russi controllano ormai il venti per cento dell'Ucraina. È questa la vittoria di Putin? Qualche chilometro di pianura dove le vittime, la bocca spalancata, le braccia in croce, aspettano la loro seconda morte.

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