SMART WORKING SÌ MA NON COSÌ - L’84% DEGLI ITALIANI HA UN PARERE POSITIVO SUL LAVORO A DISTANZA, SOPRATTUTTO I GIOVANI CHE SONO PIÙ ABITUATI ALLA FLESSIBILITÀ. LA MAGGIOR PARTE ALLA FINE DELLA PANDEMIA VORREBBE MANTENERE UNA QUALCHE FORMA DI LAVORO SMART, MAGARI A GIORNI ALTERNI PER EVITARE IL BURNOUT - IL NODO DEL DIRITTO ALLA DISCONNESSIONE: STANDO A CASA L’EFFICIENZA AUMENTA MA C’È IL RISCHIO DI NON STACCARE MAI E ALLUNGARE TROPPO I TURNI…

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la ricerca sullo smart working di mckinsey la ricerca sullo smart working di mckinsey

Adriano Bonafede e Irene Maria Scalise per “la Repubblica - Affari & Finanza”

 

Gli italiani sembrano essersi innamorati dello smart working. Non solo, vorrebbero che diventasse parte integrante dell' organizzazione del lavoro nel dopo pandemia. E, secondo loro, si dovrebbe lavorare da casa almeno 2 o 3 giorni alla settimana. A fotografare l' improvvisa predilezione per il lavoro a distanza è una ricerca di McKinsey (Covid-19 smart working survey), effettuata tra la fine di settembre e ottobre, che è il seguito di una analoga svolta ad aprile scorso. Ebbene, ben l' 84 per cento di coloro che hanno risposto mantiene anche oggi un parere positivo sullo smart working anche a distanza di mesi. Segno che è un' opinione ben strutturata, non il risultato di un innamoramento momentaneo.

 

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Solo il 4 per cento, sia nella prima che nella seconda survey, considera invece questo modo di lavorare negativo. Sono i giovani i più entusiasti: ben l' 89 per cento di loro ha una visione positiva del lavoro a distanza, contro il 69 per cento degli over 60. Ciò che viene apprezzato di più dai giovani è la flessibilità, ovvero la possibilità di organizzare il proprio tempo di lavoro e di riposo nel modo ottimale, ad esempio smettendo di lavorare nel pomeriggio per fare altro e riprendendo a farlo dopo cena.

 

FEDERICO MARAFANTE FEDERICO MARAFANTE

C' è però, per tutti, giovani e meno giovani, un ostacolo alla completa felicità: con lo smart working vengono a mancare i rapporti sociali. Il 51 per cento del campione (rappresentativo della realtà italiana nel mondo del lavoro dipendente) individua una difficoltà di interazione con gli altri "per mancanza di confronto fisico- verbale".

 

Insomma, è bello lavorare da casa, ci si organizza meglio e si evita il tempo perso per gli spostamenti, ma il rovescio della medaglia è che si coltivano poco i rapporti con gli altri. Proprio per i giovani, all' inizio della loro carriera, questo potrebbe costituire uno svantaggio. Non è una contraddizione? «No - spiega Federico Marafante, partner di McKinsey responsabile della practice Organization per il Mediterraneo -perché anche ai giovani è chiaro che serve una parte di contatto fisico, infatti continuano a preferire al massimo due o tre giorni in smart working ».

 

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Come si spiega invece la relativa resistenza degli over 60? «C' è un tema di abitudini di tutta una vita a prevalere. Ma c' è anche un fatto più sostanziale: poiché tra gli over 60 ci sono anche i manager, questi hanno spesso più complessità da affrontare per cambiare il modo di lavorare in logica smart working, che implica tra le altre cose maggiori deleghe, un lavoro per obiettivi e una più elevata predisposizione per la tecnologia».

 

Pur di mantenere lo smart working, gli italiani sono anche disposti a perdere qualcosa dei loro attuali benefit, a cominciare dai buoni pasto (45% del totale) e dai servizi di trasporto (39%), per finire a straordinari (28%) e altri rimborsi (16%). Solo l' 8 per cento del campione preferirebbe non perdere alcuni di questi benefici, rinunciando piuttosto allo smart working.

 

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«Tutto questo - chiarisce Marafante - ha importanti implicazioni per le aziende, queste dovranno offrire ai talenti più lavoro smart se vogliono attirarli e trattenerli, quindi dovranno investire, anche in tecnologia, per organizzare il lavoro nel nuovo mix richiesto. Ma le imprese avranno anche delle enormi possibilità di risparmiare sugli spazi».

 

Ma è sicuro che il "lavoro agile" renda le persone produttive come nella modalità tradizionale? «È la grande domanda che tutti si pongono - dice Marafante - però i lavoratori oggetto dell' indagine hanno fatto un' autovalutazione: nella seconda rilevazione la propria efficienza si ritiene migliorata del 7% e quella dei colleghi del 4%. Lavorare in smart working continua ad essere percepito come collegato ad un aumento di efficienza».

ARIANNA VISENTINI ARIANNA VISENTINI

 

Ma l' attrazione fatale per lo smart working non è uguale per tutte le categorie professionali e, soprattutto, c' è chi sostiene che in condizioni normali e non di lockdown dovrebbe essere "dosato" in intensità.

 

Lo spiega Arianna Visentini ideatrice della società di consulenza Variazioni: «Il limite delle indagini è che non tutte le categorie sono ugualmente compatibili con il lavoro agile ma in generale possiamo dire che il manifatturiero e il produttivo sono più arretrati, inoltre dobbiamo anche aggiungere che è fondamentale la cultura delle aziende e il loro modo di organizzarsi nell' impatto delle preferenze».

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E ancora: «Il 98% dei legali continuerebbero in smart working e così l' 81% di chi lavora nell' assicurativo bancario ma anche l' 86% nell' editoria e il 74% nel tessile e moda».

È poi fondamentale la quantità di giorni lavorati in modo agile: «Secondo il nostro osservatorio - - aggiunge Visentini - il 50% vorrebbe lavorare in smart working dai tre giorni in su alla settimana, il 25% per 2 o 3 giorni e un restante 25% per solo un giorno alla settimana».

 

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Insomma entusiasmo si ma con le dovute precisazioni: «Non tutti lo adorano in modo incondizionato e soprattutto non tutti lo vorrebbero ogni giorno e soprattutto è fondamentale il "poter scegliere"». E come la mettiamo con la sconsolante sensazione di isolamento? «È molto forte nella pubblica amministrazione dove un buon 35% denuncia una necessità di confronto e routine e se per esempio è vero che i giovani sono i meno nostalgici del lavoro in presenza anche loro risentono della mancanza di relazioni umane».

 

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C' è poi una dominante sensazione di "paura" che falsa molto il significato delle risposte date in questi giorni difficili: «Un 10% sceglie lo smart working semplicemente perché ha paura dei contagi nel raggiungere il luogo di lavoro - aggiunge Visentini - ma altrettanti hanno paura che il lavoro da casa li porti alla lunga a perdere i contatti con gli altri colleghi ». Distinzioni sostanziali nelle preferenze di manager e smart worker?

 

«Sono inevitabili - conclude l' ideatrice di Variazioni - l' 80% dei manager nel primo lockdown, come adesso, sono soddisfatti di un numero di giorni in smart working ma, contemporaneamente, denunciano di lavorare di più mentre il 45% dei lavoratori sono contenti e il 40% si trovano bene ma riscontrano anche parecchie criticità».

Altro elemento fondamentale è quello del poter scegliere quando e come e salvaguardare il diritto alla disconnessione: «la maggior parte dei lavoratori vorrebbe scegliere i giorni in cui lavorare da casa e vorrebbe un rapporto più flessibile tra lavoro in presenza e in remoto. Sono diversi i lavoratori che chiedono un diritto alla disconnessione ». In conclusione dichiara Visentini: «Non è tutto oro quel che luccica anche per chi lo smart working lo preferisce al lavoro in presenza, mentre gli stessi giovani che sembrano essere i più entusiasti soffrono per la mancanza di relazioni».

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