1- MISTERI E PIZZINI, MASSONI E PRETONI, CIMICI E VELENI: TRA DESTRA E SINISTRA, VINCE SEMPRE IL CENTRO (DI ASCOLTO) DEGLI SPIONI: SETTE MESI DI INTERCETTAZIONI AMBIENTALI DELLO STUDIO DI DON VERZÈ ZEPPE DI SPUTTANAMENTI (E RICATTI?) PER TUTTI 2- ECCO UN ASSAGGIO. POLLARI NEL 2006 SPIEGA A DON VERZÈ CHE CONTRO GERONZI E FAZIO LAVORA “UNA SQUADRA CHE FA CAPO A BERNHEIM, TREMONTI, ELIA VALORI, IL MAGISTRATO TORO”. ALTRO GIRO, ALTRA SECCHIATA: GERONZI CHE SPARLA DI BAZOLI E ARPE 3- STATERA: “GERONZI FA GIRARE VELENI CONTRO GOTTI TEDESCHI PERCHÉ VUOLE ANDARE ALLO IOR”. QUALCUNO RICORDA L’AMICIZIA DI FERRO TRA TREMONTI E LIN-GOTTI TEDESCHI? 4- LA PROFEZIA 2008 DI TAVAROLI A D’AVANZO: LA PIRAMIDE SOTTO BERLUSCONI È COMPOSTA DA LETTA, BISIGNANI, SCARONI, COSSIGA, POLLARI. SONO STATI TUTTI FATTI FUORI. RESTA SOLO PAOLETTO SCARONI (CI PENSA RIGOR MONTI CON LO SCORPORO ENI-SNAM)

1 - POLLARI A DON VERZE' (2006): CONTRO GERONZI CI SONO BERNHEIM, ELIA VALORI, TREMONTI, ACHILLE TORO...
Dall'articolo di Mario Gerevini e Simona Ravizza per il "Corriere della Sera"


I file audio delle microspie
Le «protezioni» di Pollari (non soltanto Geronzi era sotto tutela) e le lettere sono due notizie che emergono da carte e archivi che il Corriere ha consultato e «ascoltato» e che sono alla base del libro-inchiesta «I segreti di don Verzé», da domani in edicola con il Corriere della Sera. In primis l'archivio sterminato, e in gran parte vergine, di sette mesi di intercettazioni ambientali e telefoniche a partire dal dicembre 2005. Sono migliaia di file audio.

Le cimici sono state piazzate nell'ambito di un'inchiesta sulla maga Ester Barbaglia per presunto riciclaggio (accusa poi rivelatasi infondata) del denaro del clan calabrese dei Morabito. La Barbaglia alla fine del 2004 aveva creato, nello studio di Enrico Chiodi Daelli, notaio storico del San Raffaele, una Fondazione con un patrimonio di 28 milioni destinato alla Fondazione Monte Tabor di don Verzé, ovvero l'ente al vertice del gruppo ospedaliero. È il nesso, probabilmente, che ha fatto scattare le intercettazioni.

Le indagini, però, hanno subito escluso qualsiasi ipotesi a carico del fondatore del polo sanitario milanese. Tant'è che il fascicolo è rimasto sepolto e intatto per anni. Tra novembre e dicembre si era dato conto dei brogliacci, ovvero i riassunti scritti di alcune conversazioni ritenute rilevanti per le indagini.

Il Sismi e gli intrighi
L'audio «diretto», però, è un'altra cosa, riconsegna la totalità delle conversazioni. Si spalanca così una finestra sul sistema di relazioni e di potere che aveva al centro il San Raffaele. E l'orizzonte si allarga ben oltre i fatti interni dell'ospedale. È una stagione particolare, oltretutto, perché il governo Berlusconi è agli sgoccioli e ad aprile 2006 dovrà cedere il passo, per una manciata di voti, a Romano Prodi. E poi è caldissimo il fronte delle scalate bancarie, epoca «furbetti», con le inchieste, gli arresti di Gianpiero Fiorani & C., e il governatore Antonio Fazio costretto a licenziarsi dalla Banca d'Italia.

Pollari confida al prete seduto davanti a lui le informazioni di cui è in possesso. Delinea un quadro di intrighi, lotte di potere, amici, nemici, compresi quelli, secondo lui, che attaccavano Geronzi. Già ma perché un banchiere privato godeva della protezione di Pollari e quindi del Sismi, organismo deputato a tutelare la sicurezza nazionale?

E da chi doveva essere protetto? Sentiamolo direttamente dal numero uno del Sismi: «All'inizio era una truppa ... un'artiglieria a distruggere, a distruggere - dice Pollari captato dalla microspia ambientale - chiunque venisse indicato come amico di Geronzi era messo all'indice ... questa squadra che ti ho delineato ... fa capo a Bernheim (Antoine, ex presidente Generali, ndr ), Valori (Giancarlo Elia, dirigente d'azienda dalle fittissime relazioni, ndr) e Giulio Tremonti».

Ma non solo. Sempre secondo Pollari, nell'asse contro Geronzi e Fazio c'era anche il pm (oggi ex) della Procura di Roma Achille Toro che aveva perquisito e indagato il banchiere di Capitalia nell'ambito dell'inchiesta Cirio. «Questo - confida a don Verzé - lo dico solo a te: Toro faceva squadra con Tremonti e con Elia Valori».

2 - I VELENI DI GERONZI PER LIBERARE LA POLTRONA DELLO IOR
Alberto Statera per "La Repubblica - Affari & Finanza"


Cesare Geronzi ha compiuto due settimane fa 77 anni. Ma nonostante la venerabile età e i recenti rovesci giudiziari, non è nella sua villa di Marino a godersi la principesca liquidazione ottenuta graziosamente dalle "Generali". Volteggia imperioso tra i volatili, corvi e altre specie di stormi contrapposti, che da qualche tempo fanno ombra alla cupola di San Pietro. Tanto che molti all'interno delle mura leonine sono convinti che il suo prossimo "target" non sia una tranquilla senilità, ma la presidenza dello Ior, la banca del Vaticano al centro di una santa guerriglia senza quartiere.

Il sospetto era già nato qualche mese fa, quando l'ex banchiere "di sistema" un un'intervista al "Corriere della Sera" vergò una serie di "pizzini" ricchi di sottintesi. Uno era dedicato all'attuale presidente dell'Istituto per le Opere di Religione Ettore Gotti Tedeschi, professore di Etica della Finanza alla Cattolica di Milano e editorialista dell'"Osservatore Romano". "Gotti Tedeschi disse è un personaggio ritenuto preparato che si è particolarmente esercitato nella demografia".

Badate a quel "ritenuto", che presuppone un giudizio negativo sulle capacità professionali e all'ironia sulla "demografia", che si riferisce al fatto che il banchiere vaticano ha cinque figli.
Nel 2009 Gotti Tedeschi fu scelto da Tarcisio Bertone per fare pulizia allo Ior, sentina di molti scandali italici dai tempi di Sindona, Calvi e dell'arcivescovo Marcinkus, e per pilotare il Vaticano verso l'ingresso nella white list dei paesi virtuosi in materia di transazioni finanziarie.

Ma molte scelte del Segretario di Stato nel cambiare le vecchie gerarchie di Giovanni Paolo II sono state via via smentite da lui stesso in una girandola di nomine e di repentine sostituzioni anche di prelati a lui legati, generalmente non provenienti dalla diplomazia di Curia, una delle caste più potenti oltre il portone di bronzo. Il citato "pizzino" di Geronzi fu interpretato come il segnale che qualcosa era cambiato tra Bertone e Gotti, dal momento che l'ex presidente di Mediobanca e Generali ha un'antica e pare ferrea intimità con il Segretario di Stato, per il quale curò tra l'altro importanti affari quando era arcivescovo di Genova, e che celebrò le nozze di una delle figlie.

Geronzi sa meglio di chiunque altro che scoperchiare la sentina Ior significa farne uscire effluvi pestilenziali generati da quarant'anni di operazioni inconfessabili, non solo la tangente Enimont, ma il riciclaggio di soldi della mafia corleonese, i conti segreti della prima e della seconda Repubblica e le malefatte di intere generazioni di politici suoi sodali. Per questo occorre che la "trasparenza" voluta dal Papa sia ben pilotata.

Chi meglio di lui, privo del requisito "reputazionale", potrebbe farlo, garantendo, ad esempio, la non retroattività della legge antiriciclaggio di Benedetto XVI?
Si dice che il cardinal Bertone dopo gli ultimi eventi sia in disgrazia presso il Papa che lo volle Segretario di Stato. Alcune performance del suo giovane pupillo Marco Simeon, che egli propose a Mario Monti come sottosegretario, e che in un'intervista al "Fatto" ha finito per coprirlo di ridicolo persino smentendo in modo ambiguo di essere suo figlio, avrebbero completato l'opera.

Se Bertone salterà al compimento del settantottesimo anno di età, difficilmente l'aspirazione di Geronzi diventerà realtà. Ma la mitica trasparenza dello Ior, che va certificata dal Consiglio d'Europa in giugno, ha comunque un destino alquanto incerto.

3 - QUANDO TAVAROLI RACCONTO' A D'AVANZO LA "PIRAMIDE": BERLUSCONI AL VERTICE, A SEGUIRE LETTA, BISIGNANI, SCARONI, COSSIGA, POLLARI.
Dall'intervista di Giuseppe D'Avanzo a Giuliano Tavaroli per "La Repubblica" del 21 luglio 2008


"Il network eversivo" 
"La Porcu organizza un giro delle sette chiese, un'agenda di incontri con Nicolò Pollari, Francesco Cossiga, Paolo Scaroni (Eni), Enzo De Chiara (uno strano personaggio, finanziere italo-americano, vicino alle amministrazioni Usa, già finito in qualche inchiesta giudiziaria), Pippo Corigliano (Opus Dei) che a sua volta mi presenta Luigi Bisignani che già aveva chiesto di incontrarmi (se fosse stato siciliano, dopo averlo conosciuto, avrei pensato che fosse un mafioso) e la Margherita Fancello (moglie di Stefano Brusadelli, vicedirettore di Panorama), che a sua volta mi riportò da Cossiga, Massimo Sarmi (Poste), Giancarlo Elia Valori, il generale Roberto Speciale della Guardia di Finanza. Insomma, dai colloqui, capisco che questi qui sono in squadra.

(Tavaroli annuncia in settembre una memoria difensiva molto documentata e comunque va ricordato qui che la sua è la ricostruzione di un indagato). Mi immagino una piramide. Al vertice superiore Berlusconi. Dentro la piramide, l'uno stretto all'altro, a diversi livelli d'influenza, Gianni Letta, Luigi Bisignani, Scaroni, Cossiga, Pollari. E' il network che, per quel che so, accredita Berlusconi presso l'amministrazione americana. Io non esito a definire questa lobby un network eversivo che agisce senza alcuna trasparenza e controllo.

Mi resi conto subito che quella lobby di dinosauri custodiva segreti (gli illeciti del passato e del presente) e li creava. Che quei segreti potevano distruggere la reputazione di chiunque e la vera sicurezza è la reputazione. C'era insomma, tra la Telecom di Tronchetti e quell'area di potere, un disequilibrio informativo che andava affrontato subito e nel miglior modo da noi, riequilibrandolo o addirittura annullandolo con la creazione, a nostra volta, di altri segreti. C'era bisogno di coraggio.

Che è proprio la virtù che manca a Marco Tronchetti Provera. Ha il culto di se stesso. Non decide mai. Non se la sentiva di attaccare frontalmente, magari pubblicamente, quel network né voleva "sporcarsi le mani", cioè entrare nel club pagandone il prezzo in opacità, ma incassandone i vantaggi lobbistici. Non prende posizione. Non si "compromette" né in un senso né nell'altro.

Per questo quella "compagnia" lo scarica. Come, lo spiegherò presto. Il fatto è che quando Tronchetti si insedia in Telecom è debole. Debole non per l'indebitamento, come tutti pensano. Ma per il suo isolamento nel mondo politico, economico. Tronchetti non piace alla politica. Ne è distante e questo non è gradito. Non capisce la politica di Roma e questo è un problema. Non piace agli industriali.

La Confindustria è guidata da Antonio D'Amato, espressione della media industria, e questo è un altro problema. E' su questa zona di confine che mi dicono di "ballare". E io ballo. Me ne ha dato atto, quando mi ha liquidato, anche Tronchetti. Mi ha detto papale papale: "Forse le abbiamo chiesto troppo". E' vero, mi chiesero molto. Forse troppo".

 

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