giuseppe conte enrico letta

IL CAMPO LARGO AL CAMPO SANTO - “MA DOVE VUOLE ANDARE A PARARE IL ‘POCHETTARO’?”, "NON È L'UOMO PIÙ GETTONATO IN QUESTE ORE". È QUESTO IL TONO DEI MESSAGGI NELLE CHAT DEL PD SU CONTE. I DEM NON POSSONO PIÙ SOFFRIRE L’EX “PUNTO FORTISSIMO DI RIFERIMENTO DEI PROGRESSISTI”, CHE HA MINACCIATO DI FAR CADERE IL GOVERNO SULLE SPESE MILITARI. TRA I PIDDINI E I GRILLINI VOLANO SCHIAFFI. L’ALLEANZA È FINITA PRIMA ANCORA DI COMINCIARE?

Carlo Bertini per “la Stampa”

 

GIUSEPPE CONTE

«Conte? Non è certo l'uomo più gettonato da noi in queste ore», si sfoga uno dei big del Pd. Ora, a due mesi dalle elezioni comunali, è la sinistra a vagare tormentata, mentre i leader di destra si sono inabissati.

 

E queste fibrillazioni hanno un solo autore, il leader M5S. Ma dove vuole andare a parare il "pochettaro?» - così lo chiamano ormai i vertici dem - è la domanda che rimbalza in ogni dove.

 

«È alla ricerca del consenso perduto», butta lì proustianamente un ministro che preferisce restare anonimo. Questa l'aria. In un partito costretto a sopportare che l'alleato provi a lucrare voti anche nel suo terreno più scoperto, quello di una sinistra pacifista sempre scontenta quando si parla di guerra.

 

GIUSEPPE CONTE CON ENRICO LETTA

Per questo Letta martedì convocherà una riunione di segreteria tutta dedicata all'inflazione e al potere di acquisto delle famiglie: per lanciare nuove proposte sociali.

«Competition is competition», diceva Romano Prodi.

 

«Lo so che il momento è difficile, ma alla fine questa nettezza pro Ucraina vedrete che pagherà anche in termini di consenso», dice il segretario ai suoi dirigenti.

 

Il nodo armi nella manovra

GIUSEPPE CONTE DOPO L INCONTRO CON MARIO DRAGHI A PALAZZO CHIGI

Dall'altra parte del campo, in casa Conte, non è che il clima sia diverso: «Se il governo fosse stato intenzionato a raggiungere questo obiettivo del 2 per cento al 2028, perché non ci hanno detto subito che lo prevedevano?». Come a dire, allora qualcosa lo abbiamo ottenuto, a dispetto del mainstream secondo cui era tutto già previsto.

 

Del resto, dicono i contiani, se c'è stata una mediazione di Letta per mettere nero su bianco il 2028, allora c'è stato un cambio di linea rispetto al 2024: delle due l'una. Conte lo dice in chiaro, «se non avessimo fatto questa battaglia per superare il tabù del 2024 oggi ci ritroveremmo con 6 miliardi di spese militari da trovare».

guerini draghi

 

E neanche si depongono le armi, se il refrain che risuona nelle sue stanze è: bene che non vi sia nulla nel Def, ma da qui alla legge di bilancio il tema delle spese militari resta.

Come a dire, tregua armata.

 

L'ira dei democratici

L'allarme rosso suona quindi al secondo piano del Nazareno, nello studio di Letta, quando su Instagram Conte usa toni sprezzanti alla Di Battista contro il Pd, battendo i pugni sul tavolo per «esigere rispetto»: giusto due ore dopo che in Senato si è risolta una partita infuocata «grazie a noi», si indigna Matteo Orfini. «Abbiamo avuto fin troppa pazienza, il Pd ha creato una soluzione e lui ci parla di rispetto?».

GIUSEPPE CONTE DOPO L INCONTRO CON MARIO DRAGHI A PALAZZO CHIGI

 

Fa nulla che il segretario dica «punto a capo e andiamo avanti». Perfino un personaggio cauto come Lorenzo Guerini si pronuncia da «membro del Pd», per dire che «un'alleanza per funzionare deve essere credibile e coesa. Mi auguro si vada avanti in questa direzione». Scettico a dir poco, visto l'andazzo.

 

giuseppe conte enrico letta

Lo stato maggiore del Pd sa che anche Letta è «molto preoccupato: perché se continua questo logoramento, se il governo non dispiega le vele, magari il premier tra due mesi molla e poi pure l'alleanza implode», ragiona uno dei parlamentari che gli sono vicini.

 

Il timore è che Draghi, dopo aver pure subito lo smacco del Colle negato, non accetti più di andare avanti logorato da risse continue. E per chi lo ha più sostenuto, sarebbe un disastro.

 

Pressing sul sistema di voto

luigi di maio lorenzo guerini

Ci sono dunque tutte le ragioni perché Orfini, l'ex presidente del partito, sia iscritto alla categoria dei «furiosi», insieme ai renziani, che battono sulla spalla del segretario per andare alle urne con le mani libere cambiando il sistema di voto con un bel proporzionale.

 

Che ora tutti invocano nel Pd. E anche nei 5 stelle, non a caso. Un pressing a cui Letta non è insensibile: pur pensando che non possa essere lui a chiedere un altro sistema di voto - «sembrerebbe che abbiamo paura di perdere», notano i suoi - si sta convincendo che magari ora qualche spiraglio si trova, con Salvini e Berlusconi in rotta con la Meloni...

GIUSEPPE CONTE

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