DAL CORPO DEL DUCE A QUELLO DEL "TRUCE" - FENOMENOLOGIA DI SALVINI NEL LIBRO "IL CORPO DEL CAPITANO" DI LUCA SANTESE E MARCO VALLI - LA PREFAZIONE DI FILIPPO CECCARELLI: "DA QUANDO LA POLITICA, ASTRATTA CHE ERA, È TORNATA FIGURATIVA, I SUOI CAPI SONO OBBLIGATI A ESIBIRE LA LORO FISICITÀ PER INNESCARE MECCANISMI DI IDENTIFICAZIONE. SALVINI È IL MIGLIOR FABBRO DELLA SUA IMMAGINE. LO FA, A SECONDA DEL PUBBLICO, UOMO FORTE, ORSACCHIOTTO O PIETRO GAMBADILEGNO"

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La prefazione di Filippo Ceccarelli al libro "Il corpo del Capitano" di Luca Santese e Marco P. Valli

 

matteo salvini foto dal libro il corpo del capitano matteo salvini foto dal libro il corpo del capitano

A chi appartiene dunque il corpo del Capitano? A Matteo Salvini, a tutti, a nessuno. Alla “Bestia” di Luca Morisi, al mostro collettivo dei social, al sistema disintermediato della resurrezione della carne. A ciascuno di noi, che ci arriva addosso, questo corpo, anche quando non ce lo aspettiamo o vorremmo guardare da un’altra parte. Invasivo, strabordante, ipnotico.

 

Da quando la politica, astratta che era, e tornata figurativa, i suoi capi sono obbligati a esibire la loro fisicita per innescare meccanismi di identificazione. Al culmine di questo processo, il corpo di Salvini non e altro che la sua politica, e viceversa. Qui di seguito lo si puo scrutare davanti, di lato, alle spalle, da vicino e da lontano, nudo e vestito, intero e a brandelli. Sfogliare, vedere, forse capire - e vabbe. Ma tale carne ostentata e ambivalente, nel senso che attira anche uno sguardo anatomico perturbante e disincantato che la profana – e nessuno, in democrazia come nei proverbi, chi la fa l’aspetti, dovrebbe sentirsene offeso.

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Fra i legittimi titolari di questo corpo politico e mediale e percio sacrosanto rendere grazie a Luca Santese e Marco P. Valli, che vivono di immagini, ma soprattutto ne creano come gli pare e piace. Fra parentesi: in un tempo di individualismi verticali il fatto che lavorino in coppia e un messaggio prezioso, per cui dinanzi a ogni foto non ha importanza chi l’abbia scattata. Cio che importa e che da anni stanno dietro al Capitano avendone intuito per tempo le risorse sceniche e i potenziali pericoli.

 

La premessa da cui partono e che Salvini e il miglior fabbro della sua immagine. Non gli interessa quella prodigiosa empatia auto-marketizzante che lo fa, a seconda del pubblico, Uomo Forte, Orsacchiotto o Pietro Gambadilegno. Non si lasciano incantare dal leader che si denuda sui rotocalchi, ne dal rumoroso trasformista passato dalla Padania a “prima gli italiani”.

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E pazienza se indossa felpe con i nomi delle citta come targhe automobilistiche, o si traveste da poliziotto, pompiere, guardiamarina, turista al Gran Premio con i pinocchietti e il berretto alla Trump. E’ scontato che egli abbia sul viso una maschera, come quella che si staglia sulla copertina di questo volume: ora buon papa, ora simpatico assaggiatore, ora divoratore seriale, suonatore securitario di citofoni, bagnante festoso, lettore di Diabolik, innamorato romanticone, acceso cristianista prodigo di baci al crocifisso.

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Per questo teatro di eterno guittismo italiano, in bilico fra commedia e melodramma, bastano e avanzano le migliaia di post accattivanti, le foto sgranate, i video mossi che la portentosa macchina della comunicazione salviniana diffonde giorno dopo giorno per raccogliere contatti, like, cuoricini, curiosita e magari voti.

 

L’intento di Santese e Valli, simboleggiato dall’uso distopico del bianco e nero, e di abbagliare le malie del consenso e oscurare le insegne del comando; quindi sovvertire, dirottare, fagocitare, ribaltare proprio l’immagine che il Capitano offre di se stesso. E in tal modo disvelare che quel corpo e tutt’altro che una scena sontuosa, tantomeno una superficie fiabesca di sogni e divinita. Perche in verita tutto finisce e tutto e destinato a inesorabile consumazione. Amen.

 

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Si avverte in questo l’ombra di Guy Debord. Al netto da ogni finalita documentaria o di reportage, le immagini si collocano piuttosto nel filone delle avanguardie artistiche del secolo scorso. Procedono per invasioni, rifrazioni, combinazioni, deformazioni, contaminazioni; ma anche si nutrono di sequenze, caleidoscopi, avvistamenti, bio- ingrandimenti. A un certo punto compare addirittura una zanzara; come pure si scopre che Salvini porta al collo una medaglietta che su una faccia ha impresso Gesu e dall’altra il marchietto del Papeete con il motto “Non siamo soli”. Piu si procede nell’analisi fisionomica, piu si ridimensiona qualsiasi pretesa super-umana di quel corpo.

 

“Gli allor ne sfronda”, d’accordo. A costo di caricare un ulteriore aggravio trombonesco sulle spalle del prefatore, si potrebbe aggiungere che Luca e Mar- co separano il significato dal significante. In realta, glielo strappano di dosso, e quel che resta lo squartano, lo smembrano, lo depezzano, lo sezionano; ma non per furia o per crudelta: solo per osservarlo meglio e trarne delle informazioni. Fin quando rimane integro, in effetti, il Corpaccione dell’IperLeader suscita in egual misura odio e selfie, paure ancestrali e stati estatico-fusionali. Una volta raffigurato “a tocchetti”, restituisce a chi guarda la gioia allegra della curiosita.

 

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Si troveranno percio in queste pagine tanti frammenti, brandelli, ritagli, schegge, pezzetti e pezzettini di corpo: le mani, la barba, la panza, i peli nel naso e nelle orecchie, la lingua porosa, i magri piedi sulla sabbia, l’occhio stanco e perduto, il cuoio capelluto, le labbra umide di schiuma, le macchie di sudore. E poi i prolungamenti nella loro autonomia funzionale: la camicia bianca, le mostrine della Ps, i molteplici braccialetti e i monili; e ancora gli oggetti di scena che animano il paesaggio salviniano: le scarpine da neonato, il bic- chierone di birra, il rosario attorno ai microfoni, gli ubiqui telefonini, gli ani- mali (comprese due mucche di proprieta).

 

Una specie di autopsia del vivente che in acrobatico slancio conferma quella specie di nemesi connaturata al comando per cui chi esagera nel fare appello ai visceri, ecco, stai sicuro che prima o poi verra sviscerato – ed eccotelo qui, il Capitano: prego, si accomodi sul bancone anatomico dell’ispezione ad alto contenuto vaticinante.

 

Cosi, osservando la cura, la passione e la libera creativita con cui Santese e Vali trattano i lacerti del Capitano senza nemmeno i guanti di lattice, sopraggiunge la classica ideaccia; una suggestione ribalda dinanzi alla quale, in nome di quarant’anni di osservazione militante della vita politica, si chiede qui un’indulgenza preventiva.

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Per cui nel quadro delle odierne riemersioni arcaiche – giuramenti, oracoli, troni, corone, duelli, roghi, ordalie, maledizioni, buffoni, predicatori - ecco che questi due giovani fotografi di successo finiscono per riattivare ed impersonare il ruolo sociale che in un tempo lontanissimo appartenenva agli aruspici, i sacerdoti dell’ars divinatoria etrusca, poi fatta propria dai romani, e basata sulle viscere – appunto - degli animali sacrificati per trarne segni da interpretare.

 

Ora, lungi dall’avvicinare Salvini a una vittima, per giunta immolata; e pero, diamine, questo fatto che ogni giorno egli offra il suo corpo in pasto alla Bestia un po’ fa anche pensare a un emblematico auto-sacrificio sull’altare dei crudeli numi della Prossimita e della Visibilita. Quanto ai vaticini, da Pontida al Papeete e oltre, la risposta potrebbe rivelarsi nelle foto finali del libro, allorche i lampi e i bagliori dell’estate accompagnano una sorta di metamorfosi cedendo prima alle ombre deformanti, poi alle tenebre e infine al nero terminale.

 

matteo salvini foto dal libro il corpo del capitano matteo salvini foto dal libro il corpo del capitano

Questo transito mette a nudo anche l’estrema trasfigurazione dell’iconografia politica, che di solito finisce per far coincidere la storia con la sua stessa apparenza. E quindi, se la Prima Repubblica prospero alternando una scena ufficiale a un opportuno retroscena; e se la Seconda, segnata dalla vicenda berlusconiana, prese la forma e la sostanza della messinscena, beh, l’odierna e Terza, come appare anche nelle precedenti raccolte di Santese e Valli, si presenta come una scena oscena.

 

La dove l’impegnativa qualifica non ha tanto a che fare con certa deriva semi porno della vita pubblica, quanto con l’ipervicinanza, l’iperesposizione, l’iperproduzione e l’iperconsumo di corpi politici sovrani. Misterioso d’altra parte e l’etimo di osceno, dal latino obscenus. Si sa che il ceppo appartiene al linguaggio – e ci risiamo – degli indovini. Tra i vari significati c’e quello di “cattivo auspicio”. Quanto basta per fare le corna, toccare legno, ferro, amuleti o quello che e. Oppure pregare, impegnarsi, interrogarsi, comunque scorrere questo volume come un necessario monito, un utile spasso, un manuale di educazione civica e visiva.

 

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