IL FATTORE DRAGHI – VERDELLI: "L'ESITO DELLE AMMINISTRATIVE DI INIZIO OTTOBRE NON AVRÀ LA MINIMA INCIDENZA SULLA MARCIA DEL GOVERNO. SU DRAGHI POGGIA L'INTERO PIANO DI FINANZIAMENTI EUROPEI, CHE PORTERÀ ALL'ITALIA  PIÙ DI 200 MILIARDI DA INVESTIRE ENTRO LA FINE DEL 2026. SENZA DI LUI, LA POSSIBILITÀ CHE IL FLUSSO DI AIUTI FRENI O SI INTERROMPA È PIÙ DI UN'IPOTESI MINACCIOSA. IL CASO DELLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA E LA PARTITA PER IL QUIRINALE: MATTARELLA..."

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Carlo Verdelli per il "Corriere della Sera"

draghi osho draghi osho

 

A sentire le promesse dei leader, sembra che tutto sia come sempre. Letta che garantisce ius soli e legge Zan entro questa legislatura. Salvini che esclude entrambe le ipotesi con uno sbuffo, rilanciando sul repertorio ritrito del pericolo migranti e promettendo barricate su Quota 100. Grillo che inserisce il reddito di base universale. Temi identitari, a ciascuno il proprio, e vinca chi può.

 

La volata è lanciata, a meno di venti giorni c'è un traguardo di un certo rilievo (più di mille Comuni, tra cui Roma, Milano, Napoli, Bologna e Torino), i partiti si alzano sui pedali a chiamare il sostegno di tifosi un po' distratti. Eppure stavolta c'è qualcosa che stona, come se stessimo assistendo a un falso movimento. Una gara il cui esito non cambierà poi tanto il corso delle cose: sì, certo, qualche sindaco di peso, qualche percentuale di equilibrio nella maggioranza, qualcosa nei rapporti nella destra separata in Parlamento, con la Meloni sola all'opposizione.

 

DANIELE FRANCO E MARIO DRAGHI DANIELE FRANCO E MARIO DRAGHI

Quello che è sicuro, e anche i singoli partiti lo sanno, è che l'esito delle Amministrative di inizio ottobre non avrà la minima incidenza sulla marcia del governo. Ed è forse la prima volta che succede nella storia della nostra Repubblica. Perché è la prima volta che a guidarla c'è un governo come quello di Mario Draghi. Che non è un governo di unità nazionale, perché con tutta evidenza, a 7 mesi dall'insediamento, le forze disomogenee che lo compongono niente fanno, se non obbligate, per trovare punti necessari di convergenza. E non è neanche un governo di scopo, perché prevederebbe una durata stabilita, e comunque non indefinita, mentre l'orizzonte sembra spingersi verso il 2023, fine della legislatura, e magari anche oltre.

 

mario draghi con emmanuel macron 6 mario draghi con emmanuel macron 6

È piuttosto un governo di affidamento personale, cioè legato al prestigio internazionale di chi lo guida, Mario Draghi, appunto. Su di lui, sulla fiducia nella sua capacità di gestione, poggia l'intero piano di finanziamenti europei, che porterà all'Italia sfibrata dal Covid più di 200 miliardi da investire entro la fine del 2026. Senza di lui, la possibilità che il flusso di aiuti freni o si interrompa è più di un'ipotesi minacciosa.

 

Un meccanismo già approvato prevede verifiche puntuali dell'avanzamento dei piani concordati, e solo in caso di luce verde si procederà all'ulteriore stanziamento. E chi può garantire il rispetto di promesse e scadenze meglio, o al posto, di un premier abituato a dare del tu all'Europa? Enrico Letta auspica che da questo dramma collettivo ne usciremo a sinistra. Matteo Salvini l'opposto. La verità è che ne usciremo in una direzione imprevista da ciascuna delle forze politiche, almeno come le abbiamo conosciute fino al febbraio scorso, all'insediamento del nuovo esecutivo.

 

MARIO DRAGHI AL TELEFONO MARIO DRAGHI AL TELEFONO

Su questo giornale, l'8 settembre, Ernesto Galli della Loggia ha scritto che Draghi si sta trasformando in una sorta di De Gaulle italiano, e di conseguenza l'Italia va evolvendosi in una Repubblica semipresidenziale, dove il governo resta nominalmente parlamentare ma il cui mandato all'azione è di fatto staccato dall'effettiva volontà dei partiti che compongono la maggioranza. Perché questo percorso prosegua e si evolva, in quali forme costituzionali si vedrà, i partiti devono continuare «ad accettare volontariamente l'ininfluenza del loro eventuale dissenso».

 

charles michel mario draghi charles michel mario draghi

Le prove di questo mutamento in corso sono già piuttosto evidenti. Emblematica quella della riforma della giustizia, passata all'unanimità nonostante fosse tutt' altro che unanime l'accordo, perché rientrava nei patti sottoscritti con la Ue: una giustizia con tempi e processi più rapidi, sintetizziamola così, varrebbe un punto percentuale del Pil, con un risparmio per le imprese, nazionali e estere, calcolato intorno agli 8 miliardi. Stesso discorso per il green pass obbligatorio: ci siamo arrivati per gradi ma, con la destra che ha fatto muro per scongiurarlo, ci siamo arrivati lo stesso, rapidamente e per tutti, pubblico e privato, volenti, dubbiosi e nolenti.

 

Di fronte a una situazione eccezionale, la risposta italiana è stata una soluzione politica altrettanto eccezionale, ma che difficilmente, terminata questa stagione, tornerà al punto dove il sistema di partiti, alleanze, catene di responsabilità e comando, si trovava prima dell'era Draghi.

 

mario draghi in conferenza stampa mario draghi in conferenza stampa

A caratterizzare quest' era, oltre a una capacità di decisione-azione già diventata metodo e marchio, c'è anche una invisibile ma percepibile intercapedine tra esecutivo vero e proprio (con l'impressione di un vertice operativo ancora più ristretto intorno alla figura del premier) e la parte abbondante del Parlamento che lo sostiene. Come se le indicazioni di Camera e Senato non fossero vincolanti e quindi non determinassero un'automatica presa in carico da chi avrebbe il mandato di renderle in qualche modo operative. Il caso Zaki è emblematico: i due rami del Parlamento votano per concedergli la cittadinanza italiana, il premier declassa la cosa come se appartenesse alla sfera delle intenzioni e non degli obblighi.

 

draghi biden macron draghi biden macron

Proteste? Zero. È anche questo svincolarsi da temi non considerati prioritari, questa determinazione a fare l'indispensabile (o quello considerato tale) senza perdere tempo in mediazioni giudicate inutili, che rende questo governo diverso da tutti quelli che l'hanno preceduto. La sintesi più illuminante è nella coda di una frase del premier sulle misure contro la pandemia: «L'appello a non vaccinarsi è un appello a morire, oppure a far morire. E mi fermo qua». Mi fermo qua. Tre parole. Definitivo, inappellabile. Senza alternative, come infatti tutti sanno che è, senza più neanche bisogno di ricordarlo agli alleati, e nemmeno agli oppositori.

 

C'è un grande lambiccarsi su come affrontare la questione del prossimo presidente della Repubblica. Forse all'inizio dell'avventura del governo numero 77, il terzo di questa tribolata diciottesima legislatura, si pensava che Mario Draghi, impostato il lavoro di messa in sicurezza del Paese dal Covid e varato il grande Recovery, sarebbe passato in automatico al Quirinale, lasciando che altri completassero il lavoro, come il capo chirurgo demanda ai medici di staff la fase di stabilizzazione del paziente.

mario draghi mario draghi

 

Capito che non sarebbe stato così, che i tempi della cura sono più lunghi e richiedono una presenza più assidua, l'idea prevalente è sembrata quella di chiedere uno sforzo a Mattarella per allungare un po' la sua permanenza al Colle. Il fatto che l'attuale capo dello Stato abbia fissato per il prossimo 16 dicembre l'incontro in Vaticano con papa Francesco, udienza di congedo in vista della conclusione del settennato, è un'ulteriore indicazione dell'indisponibilità a concedere un bis, anche solo di qualche anno, in modo di arrivare senza troppi scossoni alle elezioni del 2023.

meme su draghi e green pass meme su draghi e green pass

 

La politica dunque dovrà tornare in campo presto, perché ci sarà da scegliere un presidente che sappia mantenere la fiducia degli italiani (e non solo la loro) conquistata dal suo predecessore.

 

La politica tornerà in campo anche prima, perché da metà ottobre ci saranno comunque 1.349 Comuni da amministrare al meglio, di cui 20 capoluoghi: quasi il 20 per cento delle nostre città, che sono le cellule connettive e il trampolino di lancio indispensabile per una vera ripartenza del Paese. Il problema è: quale politica.

mario draghi mario draghi

 

Nel Paese sottostante, c'è un fermento intorno a questioni come rendere legale eutanasia e cannabis, che sta traducendosi in centinaia di migliaia di firme per andare a referendum: un movimento dal basso, come quelli che dovrebbero essere rappresentati giusto dalla politica, declinata in partiti o movimenti o leghe o fratellanze. Nell'era Draghi, essendo un po' meno impegnati in reali funzioni di governo, avrebbero tutti il tempo per ripensarsi e attrezzarsi al meglio per intercettare l'Italia che da qui al 2023 verrà.

MARIO DRAGHI MARIO DRAGHI mario draghi marta cartabia mario draghi marta cartabia

 

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