CON GIORGETTI È SEMPRE LA SOLITA STORIA: STREPITA, SCALPITA MA POI SE LA FA SOTTO E SI ALLINEA – L’ALA GOVERNISTA DELLA LEGA, CHE CI HA SBOMBALLATO PER MESI SBANDIERANDO AI QUATTRO VENTI IL DRAGHISMO SENZA LIMITISMO, È STATA PRATICAMENTE FATTI FUORI DALLE LISTE. SOLO I PESI MASSIMI, COME IL MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, AVRANNO UN POSTO SICURO. DOPO AVER BRIGATO CONTRO SALVINI PER MESI, COSA SI ASPETTAVANO CHE FACESSE?

-

Condividi questo articolo


Alessandro Barbera e Francesco Olivo per “la Stampa”

 

GIANCARLO GIORGETTI AL MEETING DI RIMINI GIANCARLO GIORGETTI AL MEETING DI RIMINI

Le sanzioni? «È stata una dichiarazione di guerra alla Russia, ma non potevamo non valutare le conseguenze sul nostro sistema economico di alcune regole che ci siamo dati. Sono alleate della guerra commerciale sul gas da parte di Putin».

 

Il tetto al prezzo del gas? «Se le regole non possono cambiare perché qualche grande Paese si oppone (la Germania, ndr), allora non possiamo non porre un tema di scostamento di bilancio».

 

GIANCARLO GIORGETTI E MATTEO SALVINI GIANCARLO GIORGETTI E MATTEO SALVINI

Dimenticate le voci di chi immaginava Giancarlo Giorgetti con un piede fuori della Lega, magari per avvicinarsi a Carlo Calenda e Matteo Renzi.

 

L'uomo apparso ieri all'ultimo giorno del Meeting di Rimini, il più governista dei ministri del Carroccio, l'ufficiale di collegamento fra Mario Draghi e il suo segretario, è tornato compiutamente fra le mura di via Bellerio.

 

Lo conferma una battuta di puro colore rubata poco prima di salire in auto per tornare a Varese. «Mariastella Gelmini dice di volermi nel Terzo polo? Ma lo sanno tutti che è innamorata di me...».

 

La storia ha un esito chiaro: Giancarlo Giorgetti tornerà in Parlamento come parlamentare di Sondrio, e c'è chi scommette verrà confermato come ministro dello Sviluppo economico.

 

Se Giorgetti, con la disciplina che nella Lega è costume, si è riallineato, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, i due governatori che hanno portato avanti, apertamente, una linea più moderata rispetto a quella di Matteo Salvini, si defilano. «Si sa che decide tutto Salvini - dice un ex ministro di area leghista -. Il Carroccio è l'ultimo partito leninista rimasto in Italia».

giorgetti fontana zaia giorgetti fontana zaia

 

Per queste elezioni si ripete lo schema già visto altre volte, per esempio nei giorni dell'elezione del Presidente della Repubblica, quando i governatori, sempre presenti a Montecitorio, esibivano la loro estraneità alle decisioni del segretario. Il fatto è che la Lega che vedremo nel prossimo parlamento sarà a quasi totale trazione salviniana e la prospettiva di una svolta moderata e atlantica, come l'approdo nel Ppe auspicato in passato da Giorgetti, è rimandata ancora una volta.

 

luca zaia e massimiliano fedriga 4 luca zaia e massimiliano fedriga 4

Solo un risultato molto pesante il 5 settembre potrà mettere in discussione il segretario federale, ma anche in quel caso gli avversari interni avranno molti argomenti per continuare a non scendere in campo in prima persona.

 

La linea ufficiale di Via Bellerio è: «Le esclusioni sono dovute soltanto al taglio dei parlamentari». Salvini, però, compilando le liste ha blindato praticamente solo i fedelissimi e ora deve gestire le conseguenze sui territori. Nessuno si aspettava cose diverse, la legge elettorale favorisce questo meccanismo e anche altri leader si sono comportati così. L'ala governista, però, crede che si sia andata oltre, «le esclusioni sono state mirate» si sfoga uno di quelli rimasti fuori.

 

luca zaia e massimiliano fedriga 3 luca zaia e massimiliano fedriga 3

Salvini ha chiesto più volte ai governatori di «metterci la faccia». Zaia ce l'ha messa, almeno fisicamente, visto che compare con il segretario nei cartelloni 6x3 che hanno riempito le strade del Veneto, ma per il resto la gestione resta poco condivisa.

 

Il governatore ha tenuto a farlo sapere a tutti che lui, con queste scelte, non c'entra nulla: «Io rispondo di quello che faccio e le liste non le ho fatte», il direttorio veneto di cui Zaia fa parte non è stato consultato. Risultato: dei fedelissimi del presidente entrerà in Parlamento solo Gianangelo Bof, sindaco di Tarzo (eletto a giugno con l'88%).

 

salvini giorgetti salvini giorgetti

Per gli altri niente. Il problema non è solo di equilibrio interno, ma è anche politico, a Montecitorio e Palazzo Madama non ci saranno esponenti che sposano la linea del governatore, diversa, anche sui diritti civili e immigrazione, da quella di Salvini. In Veneto quindi il malumore, mai davvero domato, continua. I più nervosi sono i trevigiani, pozzo senza fondo di consensi leghisti, che perderà molti dei i suoi esponenti a Roma, con il fantasma, persino qui, del sorpasso di Fratelli d'Italia.

 

UN SELFIE CON MATTEO SALVINI UN SELFIE CON MATTEO SALVINI

Anche più a est, nel Friuli Venezia Giulia non si respira un'aria serena. Il presidente Massimiliano Fedriga, dopo aver apertamente rimpianto Mario Draghi a cui Salvini ha tolto la fiducia, ora ha diradato le sue presenze pubbliche, almeno quelle dove si parla di politica nazionale, e in via Bellerio si teme che l'impegno in campagna elettorale non sarà così intenso.

 

Lo stesso Giorgetti, che pure è stato presente spesso ai tavoli con gli alleati, è rimasto di fatto isolato. Lui, dopo aver smaltito la delusione per la caduta del governo Draghi, ha deciso di ricandidarsi, ma dei suoi non si è salvato quasi nessuno, nemmeno l'ex presidente del Copasir Raffaele Volpi, né il varesino Matteo Luigi Bianchi.

 

MATTEO SALVINI GIANCARLO GIORGETTI MATTEO SALVINI GIANCARLO GIORGETTI

La rivolta vera e proprio non c'è, anche perché gli esclusi, almeno quelli lombardi, possono ambire al piano B: un posto da consigliere regionale, (si vota in primavera), «anche se lì dovranno prendersi i voti con le preferenze», ricorda maliziosamente un fedelissimo di Salvini. Si vota tra un mese, non è certo questo il momento della resa dei conti: nella Lega non lo è mai.

luca zaia e massimiliano fedriga 2 luca zaia e massimiliano fedriga 2

 

Condividi questo articolo

ultimi Dagoreport

DAGOREPORT - DOVE VA IL PD, SENZA LA BANANA DELLA LEADERSHIP? IL FALLIMENTO DI ELLY SCHLEIN È SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI. GENTILONI È UNA “SAPONETTA” SCIVOLATA DA RUTELLI A RENZI, PRIVO DI PERSONALITÀ E DI CARISMA. QUALITÀ ASSENTI ANCHE NEL DNA DI FRANCESCHINI, ORLANDO E GUERINI, PER NON PARLARE DI BONACCINI, CHE HA LO STESSO APPEAL DI UNA POMPA DI BENZINA - ECCO PERCHÉ, IN TALE SCENARIO DI NANI E BALLERINI, SOSTENUTO DAI MAGHI DELL’ULIVO BAZOLI E PRODI, BEPPE SALA POTREBBE FARCELA A RAGGRUPPARE LA SINISTRA E IL CENTRO E GUIDARE LE ANIME DIVERSE E CONTRADDITTORIE DEL PD. NELLO STESSO TEMPO TROVARE, ESSENDO UN TIPINO PRAGMATICO, UN EQUILIBRIO CON L’EGO ESPANSO DI GIUSEPPE CONTE E SQUADERNARE COSÌ UNA VERA OPPOSIZIONE AL GOVERNO MELONI IN CUI SCHLEIN HA FALLITO

DAGOREPORT: IL DELITTO PAGA SEMPRE (PURE IN VATICANO) - IL DUO BERGOGLIO-PAROLIN AVEVA DEPOSTO MONSIGNOR ALBERTO PERLASCA DA RESPONSABILE DELL'UFFICIO ECONOMICO DELLA SEGRETERIA DI STATO, ALL’INDOMANI DELLO SCANDALO DELLA COMPRAVENDITA DEL PALAZZO LONDINESE. ACQUA (SANTA) PASSATA: IL TESTIMONE CHIAVE DEL PROCESSO BECCIU, IN OTTIMI RAPPORTI CON FRANCESCA CHAOUQUI E GENOVEFFA CIFERRI, E’ STATO RINOMINATO PROMOTORE DI GIUSTIZIA AGGIUNTO AL SUPREMO TRIBUNALE DELLA SEGNATURA APOSTOLICA, CHE FUNGE ANCHE DA TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER TUTTA LA CHIESA - DOPO IL CARDINALE BECCIU, CHISSÀ A CHI TOCCHERÀ...