1 - UN EROE DEI NOSTRI TEMPI
Marco Travaglio per “Il Fatto Quotidiano”
GRILLINI CONTESTANO GRASSO CON ERRORI DI ORTOGRAFIA
Se la politica italiana fosse un fumetto, e non un filmaccio trash-horror, Piero Grasso sarebbe Gastone, il cugino fortunato di Paperino. E non solo perché uno del suo livello sia assurto nientemeno che alla seconda carica dello Stato. Ma per tutto il resto della carriera, di magistrato e poi di politico.
Una continua altalena fra pochi atti nobili, come la sentenza del maxi-processo alla Cupola scritta nel 1987 da giudice a latere, o come il rifiuto di salvare Mancino dall’inchiesta sulla Trattativa su richiesta del Colle; e molti slalom a zigzag per non scontentare nessuno.
Come il rifiuto di firmare nel 1980, giovane pm a Palermo, gli ordini di cattura per il clan Gambino-Spatola-Inzerillo spiccati dal procuratore Gaetano Costa, lasciato solo e assassinato poco dopo. Come la mancata firma sull’appello contro l’assoluzione di Andreotti e la guerra aperta ai pm “caselliani” nei cinque anni di procuratore a Palermo. Come l’ascesa a Procuratore Antimafia grazie a tre leggi targate B. che eliminavano il suo concorrente Caselli.
Come l’incredibile proposta di premiare il Caimano per la presunta lotta alla mafia. L’ultimo colpo di fortuna l’anno scorso, appena entrato a Palazzo Madama: presidente del Senato grazie a Pd, Sel e alcuni dissidenti 5 Stelle, comprensibilmente terrorizzati dal suo rivale Schifani. Da allora Piero l’Equilibrista non ha fatto che barcamenarsi per piacere a tutti o almeno non dispiacere a nessuno.
Poi la scorsa settimana è finalmente giunto il redde rationem: la controriforma del Senato, osteggiata dalle opposizioni con 7800 emendamenti. Le opzioni erano solo due: o applicare la Costituzione, o cedere alle pressioni ricattatorie del premier, del Pd e del Quirinale al seguito. La Costituzione è chiarissima: “La procedura normale di esame e approvazione diretta... è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale” (art.72).
Non c’è regolamento che tenga: niente ghigliottine, tagliole, canguri o altre specie faunistiche per strozzare il dibattito. Ma osservando la Carta si sarebbe discusso per mesi, com’è normale per una riforma che ne modifica ben 47 articoli su 139 (oltre un terzo), e la Trojka Renzi-B.-Napolitano non voleva. Sulle prime, Grasso ha provato a fare la cosa che gli riesce meglio: l’anguilla. Poi, richiamato all'ordine (vale sempre la minaccia della Serracchiani quando lui si disse timidamente critico sul nuovo Senato: “Si ricordi chi l’ha messo lì”), ha dovuto scegliere. Indovinate per quale opzione? Che domande: quella del più forte.
Il prof. Giannuli ha spiegato bene sul blog di Grillo le procedure irregolari e truffaldine con cui il Senato ha votato il cuore della controriforma: la non elettività dei 100 senatori nominati. Prima lo spacchettamento dell’emendamento De Petris sull’elettività delle Camere, per aggirare l’obbligo di voto segreto che avrebbe mandato sotto il governo.
Poi l’uso illegittimo del “canguro” per radere al suolo 1400 emendamenti ritenuti simili a quello illegittimamente bocciato (seguiti a ruota, con lo stesso trucco da magliari, da altri 3mila, con dentro 120 voti segreti obbligatori e dunque tagliati). Ancora la promessa di voto segreto su alcuni emendamenti Mucchetti, fatta al mattino e rimangiata la sera.
pietrangelo buttafuoco buttanissima sicilia
Infine il capolavoro: voto palese pure sull’emendamento Candiani che, a fronte della riduzione dei senatori a meno di un terzo, prevedeva un sacrosanto taglio dei deputati. Respinto anche quello: così il premier-padrone controllerà 354 deputati (grazie al mega-premio dell’Italicum) e gli basteranno 9 senatori su 100 per eleggersi un presidente della Repubblica di stretta osservanza e due terzi della Consulta di stretta obbedienza.
Sel e Lega intanto continuano ad abbaiare ma smettono di mordere, in cambio di un ritocchino al ribasso dell’Italicum sulle soglie di accesso alla Camera. E quei pochi che ancora protestano Grasso li minaccia di sgombero da parte della “polizia” (s’è poi scoperto che parlava dei commessi d’aula). Resterà agli annali il suo ordine perentorio “sequestrate quel canguro di peluche!”, imperituro reperto di un’epoca. L’epoca in cui un Parlamento illegittimo cambiava la Costituzione con procedure illegali. E meno male che il presidente del Senato era un magistrato.
Francesco Merlo e Pietrangelo Buttafuoco
2 - IL PRESIDENTE CHE NON DISPIACE. PIERO, CAMPIONE MASSIMO DI “ANNACAMENTO”
Pietrangelo Buttafuoco – tratto dal libro “Buttanissima Sicilia”
Osservate il filmato datato 16 marzo 2013. Piero Grasso - già procuratore nazionale Antimafia, eroe civile di per sé, oggi “metodo” - è stato appena eletto presidente del Senato. Studiate la scena, ecco: la conta quasi sembra languire ma l’esito, 137 voti contro 117 di Renato Schifani (il candidato della destra), è salutato dall’eletto con un sorriso mesto e muto di riconoscenza.
E come per non turbarne il moto d’emozioni, i colleghi, al pari di suore assistenti - osservate, studiate attentamente - non sanno come disturbarlo l’illustre Grasso per accompagnarlo infine su quello scranno che finalmente, dopo una campagna elettorale, lo vede riconsegnato alle istituzioni. È dunque la seconda carica dello stato della XVII legislatura, e lui è già un “metodo”:
Osservate ancora, godete anche voi degli applausi vivi e prolungati che l’assemblea gli tributa. (...) Questi frammenti che rivelano ogni intimità profonda dell’uomo (la sua calza paonazza perfino), questi istanti dedicati tutti a un campione d’arcitalianità (...) trovano il greto asciutto nella palude della politica dove allocare il culmine della carriera solo per tramite di “metodo”.
Ascoltate: “Quando sento il mio nome mi turo le orecchie perché non è nella mia natura proiettarmi su altre cose. Mi dedico a quello che faccio con entusiasmo”. Appena ieri, appunto. Cose così le diceva quando gli mettevano davanti l’ipotesi di diventare governatore di Sicilia a Palazzo d’Orleans. Cosa che schifò per sua fortuna. Dove maggiore c’è, minore cessa. E anche questo è metodo. Grasso è riuscito laddove Antonio Ingroia, il suo molesto doppio, ha fallito. (...) Ora ci arriviamo e ci diffonderemo ma il metodo che qui ci preme - il “metodo Grasso”, s’intende - è presto detto: è “annacamento”.
Annacamento dunque, ovvero “il dondolare”. Perdonate l’esotismo, altro concetto non si trova nella lingua corrente a voi familiare ma siccome è entrato in scena il bravissimo pretore di Barrafranca che Grasso fu (sede del suo primo incarico, ridente cittadina dell’entroterra che quanto a istinti arcani può ben definirsi la Lourdes della mafia) il termine è d’uopo e per annacamento l’ermeneutica rustica a noi cara così decreta: è quell’ottenere il massimo movimento dal minimo spostamento. È il metodo di chi più si smuove per fare meno danni, meno inconvenienti a se stesso. È tutto un tenersi nell’accortezza del passo sul terreno più scivoloso.
Grasso, che è un signore dalla faccia ben rasata, ha avuto - a differenza del suo doppio, ispido come un ficodindia - l’eleganza di dimettersi dalla magistratura per candidarsi con il partito di Pier Luigi Bersani. Lo ha fatto avendo ancora un bel po’ di anni da fare, non dunque sul limitare della pensione ma un giudice che entra in politica - e sarà pure un diritto fondamentale - in un’idea alta della magistratura è un tradimento di quella stessa idea, così elevata.
Un annacamento finito bene però se si pensa che Grasso, nella peggiore delle ipotesi, voleva fare il senatore a Roma affidandosi al professionismo politico di un partito, il Pd, mentre l’altro Ingroia nel fai-da-te della Rivoluzione civile pensava di distruggere il male una volta arrivato a Montecitorio - quello stesso male mai arrestato nei suoi giorni da pm - senza annacarsi mai ma, al contrario, rovinando la propria sanguigna ambizione di sciroccato indolente in una meta di mezza molatura: vivere di sottogoverno in Sicilia nel frattempo che l’altro, nella migliore delle ipotesi, tra qualche anno potrà ritrovarsi al Quirinale.
E IL CAPOLAVORO messo in atto da Grasso è questo suo essersi da sempre “annacato” tra gli agguati dell’Italia avvelenata. Grasso dunque, per ogni Nobel dell’antimafia da comminare senza dubbio a Silvio Berlusconi, riconoscendogli i meriti del suo governo nella lotta alla criminalità, per poi far fronte al clima della piazza che reclamava la messa ai ceppi del Cav. era poi pronto - pur di non essere esplicito secondo modulo assatanato degli ingroiani - a evocare l’Entità e fare così l’annacata di assestamento. (...) Grasso (...) ha l’esito scritto nella sua stessa antropologia. È equilibrato, sa tacere, fa la sua carriera. La continuerà.
Grasso, straordinario professionista, non frequenta il distinguo, quindi non prende posizione. Così come non aiutava i suoi magistrati più facinorosi ma neppure li smentiva, ieri come oggi, Grasso annaca la sua capacità di dire e non dire. Tendenzialmente dice vacuità, si mantiene sempre dentro concetti basici e ha già consegnato le sue ambizioni politiche al fonte battesimale della sinistra. (...)
Non era una foto ma un autoscatto. Il presidente del Senato Pietro Grasso, col delfino di peluche in braccio, non era in posa. Delfino egli stesso, in quel ritratto, l’ex procuratore nazionale dell’Antimafia è solo nel pieno della metafora di sé. Come il buon mammifero, infatti, Grasso che ama sorridere è solo uno che passa lunghi periodi di immersione. Ci si dimentica perfino di lui tanto sta sott’acqua, ma come quel tenero giocherellone delle onde, Grasso d'improvviso appare. (...) Da un uomo delle istituzioni quale sembrava fosse ci si aspettava un altro profilo, non un musetto.