conte renzi

“CONTE VUOLE RESTARE SUL TRENO O SCENDERE?” - RENZI HA LA TENTAZIONE DI CAMBIARE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DOPO LA LEGGE DI BILANCIO - FRANCESCHINI LO DIFENDE: “SE CADE, SI VA A VOTARE” - VOCI PIDDINE: “SE, COME SEMBRA, NON SCATTERÀ IL REFERENDUM SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI, IL 12 GENNAIO SARÀ ZINGARETTI AD AVERE IL COLTELLO DALLA PARTE DEL MANICO. E' L'UNICO, INSIEME A SALVINI, A POTER ANDARE ALLE ELEZIONI E BASTA NON CAMBIARE IL ROSATELLUM PER CANCELLARE RENZI E IL SUO PARTITO…”

Alberto Gentili per “il Messaggero”

 

MATTEO RENZI GIUSEPPE CONTE

Non è un caso che Giuseppe Conte proprio ieri, poche ore dopo aver difeso l'impianto della legge di bilancio con una maratona di vertici e confessionali di maggioranza, guardi al Parlamento. E' lì, infatti, che si annidano le insidie per il governo giallo-rosso e per la manovra economica.

 

Matteo Renzi, pur lanciando segnali di pace («sono tranquillissimo, per me il bicchiere è mezzo pieno»), già fa sapere di essere pronto a cercare voti trasversali per abolire l'aumento della cedolare secca sugli affitti e la tassa sulle bevande zuccherate. E ai suoi in Senato ieri ha confidato: «Ho detto chiaramente che non voglio le elezioni fino al 2023. Adesso si tratta di capire se Conte vuole restare sul treno o scendere...». Parole che confermano la tentazione dell'ex rottamatore di tentare un cambio in corsa del premier dopo la legge di bilancio. Secca la replica di Dario Franceschini: «Se cade Conte si va a votare».

 

renzi conte

Il premier e con lui Luigi Di Maio e lo stesso Franceschini si preparano allo scontro. Lunedì sera, in un incontro di ben 90 minuti, il capo delegazione dem e il leader grillino hanno siglato una sorta di patto per rendere «irrilevante» Renzi. E hanno deciso di stringere intorno al leader di Italia Viva e ai suoi gruppi parlamentari, quello che un esponente dem chiama «cordone sanitario». Anzi, «un muro di gomma», per disinnescare o limitare i danni di nuovi possibili assalti di Renzi alla legge di bilancio.

 

«Questa sintonia tra Franceschini e Di Maio è frutto di un puro istinto di sopravvivenza», spiega un ministro dem che chiede l'anonimato, «non nasce però dalla paura che Renzi possa provocare la crisi: Matteo teme le elezioni come il cappone Natale. Nasce invece per evitare che, a causa delle scorribande di Italia Viva, la maggioranza torni a ballare pericolosamente».

giuseppe conte dario franceschini

 

Analisi confermata dallo stesso Franceschini: «La litigiosità può essere fatale». E ribadita da un altro ministro del Pd che aggiunge: «Se, come sembra, non scatterà il referendum sul taglio dei parlamentari, il 12 gennaio sarà Zingaretti ad avere il coltello dalla parte del manico. E' l'unico, insieme a Salvini, a poter andare alle elezioni e basta non cambiare il Rosatellum per cancellare Renzi e il suo partito. Matteo stia attento a minacciare lo sfratto di Conte».

 

Parole che confermano l'umore e l'ostilità del Pd verso il leader scissionista. Umore e ostilità condivisi da Di Maio. «Chi dice che tra Renzi e il capo grillino c'è un canale di comunicazione», spiegano nell'entourage di Di Maio, «racconta fesserie. Tra i due, in barba alla fantasia di qualcuno che narra di avance di Renzi per consegnare Palazzo Chigi a Luigi, non c'è alcun contatto».

giuseppe conte luigi di maio dario franceschini

 

Contatti con il fondatore di Italia Viva non ce li ha neppure Conte. Dalla telefonata in cui Renzi annunciò al premier la scissione, innescando l'ira e l'allarme dell'ex avvocato del popolo, non c'è stato neppure un sms. Ma Conte deve provare a tenere insieme l'intera maggioranza e non dà la stessa interpretazione dell'asse con Franceschini e Di Maio: «Parlare di triangolazione contro Renzi è esagerato», spiegano a palazzo Chigi, «ciò che tiene insieme il presidente del Consiglio, Franceschini e Di Maio, è il tentativo di unire le forze per sedare le fibrillazioni e le polemiche che, alla lunga, logorano qualsiasi governo. Ma non c'è alcuna conventio ad excludendum contro Renzi. Se l'ex premier continuerà a fare il pirata, sarà lui a chiamarsi fuori».

 

luigi di maio dario franceschini

I DUE VOLTI DI DI MAIO

C'è solo da aggiungere che Franceschini dialoga con Di Maio per puro istinto di mediazione. Si è assegnato un ruolo di sminatore, non confidando troppo nel senso di responsabilità del leader 5Stelle. «C'è in Luigi una parte positiva, una spiccata attitudine alla mediazione quando deve trattare nei tavoli riservati», dicono al Nazareno, «ma quando Di Maio si sente insidiato da Conte o teme di veder appannata la propria visibilità da Renzi, scatta con la comunicazione aggressiva» cara ai grillini. E sono dolori.

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