luigi di maio giuseppe conte

“LA RIVOLUZIONE A CINQUE STELLE, COMINCIATA NELLE URNE NOVE ANNI FA, SI È CONCLUSA IERI IN PARLAMENTO” – POLITO: “DI MAIO SE NE E’ ANDATO SULLA POLITICA ESTERA. NEANCHE GIUSEPPI POTEVA, CON UNA RISOLUZIONE PARLAMENTARE, SOSPENDERE UNILATERALMENTE L'AIUTO MILITARE ALL'UCRAINA. O ALMENO: NON SI PUÒ FARE RESTANDO IN EUROPA, NEL G7 E NELLA NATO – LE DIFFERENZE CON LA FRANCIA – “L'ESISTENZA DI VINCOLI ECONOMICI E GEOPOLITICI, È LA NOSTRA ASSICURAZIONE CONTRO I RISCHI DELL'ESTREMISMO. MA NON CI SI PUO’ FREGARE LE MANI SODDISFATTI. PERCHÉ…"

Antonio Polito per il Corriere della Sera

 

di maio conte

Giuseppe Conte era partito lancia in resta per piegare il governo sull'Ucraina. Ha finito con il perdere una sessantina dei suoi parlamentari, senza peraltro ottenere nessun cambio di linea in politica estera.

 

Il Parlamento ha deciso che l'Italia resta impegnata, insieme e al pari degli altri grandi Paesi europei, a difendere in ogni modo l'Ucraina, aggredita da Putin.

 

Ma il partito di maggioranza relativa non c'è più: si è spaccato, scisso, ha perso il ministro degli Esteri che si è fatto un gruppo a sé, precipitando così nelle convulsioni finali di una crisi che durava da tempo e che era già diventata manifesta nelle urne. Di Maio, il «capo politico» dei tempi felici quando i voti grandinavano, è ora un nemico. La rivoluzione a cinque stelle, cominciata nelle urne nove anni fa, si è forse conclusa ieri in Parlamento.

 

Con l'aggravante che mai, durante queste settimane, si è avuta la sensazione di un vero, sincero, nobile dibattito di politica estera.

 

giuseppe conte luigi di maio foto di bacco (1)

Ma piuttosto di una guerra intestina per procura, nella quale la sorte dell'Ucraina valeva più o meno come la questione del terzo mandato dei parlamentari. Il pacifismo di Conte risulta posticcio in un ex premier che ha firmato con Trump l'impegno ad accrescere la spesa militare italiana fino al 2%.

 

Fa così il paio con il pacifismo di Salvini, rimesso frettolosamente nel cassetto dopo l'insuccesso alle amministrative. Di Maio, che era già sull'uscio da tempo, ha evidentemente preferito andarsene sulla politica estera, e non ha offerto vie di fuga all'avversario, imprudentemente lanciatosi su una strada che non avrebbe potuto percorrere fino in fondo perché portava alla crisi di governo. Mentre questo esecutivo non ha alternative da qui alla fine della legislatura.

 

SALVINI PUTIN CONTE DI MAIO

È l'esito dello psicodramma di ieri e delle ore convulse che l'hanno preceduto. E ciò che è più paradossale è che era un esito scontato. Non si cambia posizione nel pieno di una guerra, smentendola nemmeno tre mesi dopo averla votata ad amplissima maggioranza in Parlamento, se non si vuol essere un Paese da operetta. Né il regime parlamentare, nel quale l'esecutivo riceve il mandato dalle Camere e poi governa, poteva essere sostituito con un regime assembleare, in cui non governa più l'esecutivo ma le risoluzioni parlamentari (e Conte, che ha gestito la pandemia a furia di Dpcm, avrebbe dovuto saperlo meglio di chiunque altro).

 

Così, proprio mentre in Francia le forze politiche più radicali ed estreme ottengono il miglior risultato elettorale di sempre, in Italia conoscono una grave crisi di prospettive e di consensi.

conte di maio

Pandemia, guerra, inflazione, che hanno gonfiato le vele di Mélenchon e di Marine Le Pen, sembrano invece sgonfiare le gomme ai Cinquestelle e anche alla Lega, i due corrispettivi cisalpini.

Potrebbe trattarsi solo di uno sfasamento temporale.

 

In fin dei conti questi due partiti avevano da noi già toccato l'apice del loro successo, e avevano già fallito la prova del governo giallo-verde, finito male per tutti tranne che per Conte. Ciò nonostante, questo fenomeno ci dice qualcosa sulla crisi che stanno attraversando le democrazie europee, e in cui apertamente spera il loro più formidabile nemico: Vladimir Putin. È stato infatti lui, ancora qualche giorno fa, a profetizzare «un'ondata di radicalismo», capace di portare a un «cambiamento delle élite» in Europa.

jean luc melenchon comizio ballottaggio elezioni legislative

 

La vicenda francese ci conferma che movimenti e partiti radicali sanno indubbiamente meglio delle forze politiche moderate come conquistare fette di elettorato sempre più in preda al rancore, al distacco, a un sentimento di ingiustizia. Ma poi - e qui è il caso italiano a dimostrarcelo - non riescono a rappresentarli.

 

A realizzare ciò che avevano promesso. E non per mancanza di volontà, o per una tendenza genetica al «tradimento» di chiunque vada al potere. Ma perché non possono. Neanche Mélenchon, se fosse davvero arrivato al governo, avrebbe potuto abbassare l'età della pensione a 60 anni in un Paese dove si vive in media fino a 83. Neanche Di Maio, che al governo c'è stato davvero, poteva eliminare la povertà con il reddito di cittadinanza. Neanche Salvini poteva uscire dall'euro. Neanche Conte poteva, con una risoluzione parlamentare, sospendere unilateralmente l'aiuto militare all'Ucraina aggredita. O almeno: tutte queste cose non si possono fare restando in Europa, nel G7 e nella Nato, cioè restando l'Italia.

marine le pen ballottaggio elezioni legislative

 

Qualcuno potrebbe dire: questa «impossibilità», l'esistenza di vincoli economici e geopolitici, è la nostra assicurazione contro i rischi dell'estremismo. Ma non credo che ci si possa fregare le mani soddisfatti. Perché la rabbia che non trova risposte nel processo elettorale è alla lunga un veleno che corrode dall'interno le democrazie rappresentative, determinando quote sempre crescenti di estraneità nell'opinione pubblica. Non può bastare «sterilizzare» il nuovo radicalismo, sperando di metterlo in un limbo parlamentare dove non possa far danni. Altrimenti spunterà sempre un nuovo leader a raccoglierne la bandiera caduta.

salvini conte

 

Le democrazie occidentali hanno piuttosto bisogno di prosciugare lo stagno in cui nuota. E questo è un compito che spetta alle forze non populiste. Non possono più limitarsi a una generica offerta di «buongoverno», contrapposta ai pasticci e ai guai che combinerebbero gli altri se lasciati liberi di fare. O magari allearsi con loro nella speranza di rabbonirli e di sommarne i voti, come in fin dei conti hanno finora fatto i moderati del centrosinistra e del centrodestra in Italia. Hanno invece il dovere di unirsi intorno a leadership capaci di riconoscere e rispondere alla rabbia degli elettori. Solo una politica democratica a sua volta radicale, nelle idee e nelle proposte, può sconfiggere l'ondata del radicalismo che Putin auspica, sollecita e provoca.

antonio polito foto di bacco

conte di maio

Ultimi Dagoreport

nicola colabianchi beatrice venezi teatro la fenice

FLASH! - DA ROMA SALGONO LE PRESSIONI PER CONVINCERE BEATRICE VENEZI A DIMETTERSI DA DIRETTORE DELL’ORCHESTRA DEL VENEZIANO TEATRO LA FENICE, VISTO CHE IL SOVRINTENDENTE NICOLA COLABIANCHI NON CI PENSA PROPRIO ALLE PROPRIE DIMISSIONI, CHE FAREBBERO DECADERE TUTTE LE CARICHE DEL TEATRO – ALLA RICHIESTA DI SLOGGIARE, SENZA OTTENERE IN CAMBIO UN ALTRO POSTO, L’EX PIANISTA DEGLI ANTICHI RICEVIMENTI DI DONNA ASSUNTA ALMIRANTE AVREBBE REPLICATO DI AVER FATTO NIENT’ALTRO, METTENDO SUL PODIO LA “BACCHETTA NERA”, CHE ESEGUIRE IL “SUGGERIMENTO” DI GIULI E CAMERATI ROMANI. DUNQUE, LA VENEZI E’ UN VOSTRO ‘’PROBLEMA”…

emmanuel macron giorgia meloni volodymyr zelensky vladimir putin

DAGOREPORT – MACRON E MELONI QUESTA VOLTA SONO ALLEATI: ENTRAMBI SI OPPONGONO ALL’USO DEGLI ASSET RUSSI CONGELATI IN EUROPA, MA PER RAGIONI DIVERSE. SE IL TOYBOY DELL’ELISEO NE FA UNA QUESTIONE DI DIRITTO (TEME LE RIPERCUSSIONI PER LE AZIENDE FRANCESI, IL CROLLO DELLA CREDIBILITÀ DEGLI INVESTIMENTI UE E IL RISCHIO DI SEQUESTRI FUTURI DI CAPITALI EUROPEI), PER LA DUCETTA È UNA QUESTIONE SOLO POLITICA. LA SORA GIORGIA NON VUOLE SCOPRIRSI A DESTRA, LASCIANDO CAMPO A SALVINI – CON LE REGIONALI TRA CINQUE GIORNI, IL TEMA UCRAINA NON DEVE DIVENTARE PRIORITARIO IN CAMPAGNA ELETTORALE: LA QUESTIONE ARMI VA RIMANDATA (PER QUESTO ZELENSKY NON VISITA ROMA, E CROSETTO NON È ANDATO A WASHINGTON)

giorgia meloni matteo salvini elly schlein luca zaia

DAGOREPORT - C’È UN ENORME NON DETTO INTORNO ALLE REGIONALI IN VENETO E CAMPANIA, E RIGUARDA LE AMBIZIONI DI ZAIA E DE LUCA DI...RIPRENDERSI LA GUIDA DELLE RISPETTIVE REGIONI! - NULLA VIETA AL “DOGE” E ALLO SCERIFFO DI SALERNO DI RICANDIDARSI, DOPO AVER “SALTATO” UN GIRO (GLI ERA VIETATO IL TERZO MANDATO CONSECUTIVO) – IN CAMPANIA PER DE LUCA SAREBBE UN GIOCO DA RAGAZZI: GLI BASTEREBBERO 5-6 CONSIGLIERI FEDELISSIMI PER TENERE PER LE PALLE FICO E POI FARLO CADERE PER RICANDIDARSI. IDEM PER IL "DOGE", CHE PERO' NON AVRA' DALLA SUA UNA LISTA DI "SUOI" CANDIDATI - A CONTARE SARANNO I VOTI RACCOLTI DAI SINGOLI PARTITI NECESSARI A "PESARSI" IN VISTA DELLE POLITICHE 2027: SE FRATELLI D’ITALIA SUPERASSE LA LEGA IN VENETO, CHE FINE FAREBBE SALVINI? E SE IN CAMPANIA, FORZA ITALIA OTTENESSE UN RISULTATO MIGLIORE DI QUELLO DI LEGA E FRATELLI D'ITALIA, COME CAMBIEREBBERO GLI EQUILIBRI ALL'INTERNO DELLA COALIZIONE DI MAGGIORANZA?

edmondo cirielli giovambattista fazzolari giorgia meloni

DAGOREPORT - C’È UN MISTERO NEL GOVERNO ITALIANO: CHE “FAZZO” FA FAZZOLARI? – IL SOTTOSEGRETARIO ALL’ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA FA IL TUTTOLOGO, TRANNE OCCUPARSI DELL’UNICA COSA CHE GLI COMPETE, CIOE' L’ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA - SI INDUSTRIA CON LE NOMINE, SI OCCUPA DI QUERELE TEMERARIE AI GIORNALISTI (NEL SENSO CHE LE FA), METTE IL NASO SULLE VICENDE RAI, MA NON FA NIENTE PER PLACARE GLI SCAZZI NEL CENTRODESTRA, DOVE SI LITIGA SU TUTTO, DALL'UCRAINA ALLA POLITICA ECONOMICA FINO ALLE REGIONALI – LO SHOW TRASH IN CAMPANIA E EDMONDO CIRIELLI IN VERSIONE ACHILLE LAURO: L’ULTIMA PROPOSTA? IL CONDONO…

trump epstein

DAGOREPORT - CHE FINE HANNO FATTO LE DUE FOTOGRAFIE DI TRUMP CON IN BRACCIO RAGAZZE GIOVANISSIME A SENO NUDO? A WASHINGTON, FONTI BEN INFORMATE ASSICURANO CHE LE DUE FOTO HOT SIANO TRA LE MIGLIAIA DI FILE DI JEFFREY EPSTEIN, ANCORA DA PUBBLICARE - NEI PROSSIMI GIORNI, GRAZIE AL PASSAGGIO DI UNA PETIZIONE PARLAMENTARE FIRMATA DA 218 DEPUTATI DEMOCRATICI, MA AI QUALI SI SONO AGGIUNTI QUATTRO REPUBBLICANI, LA DIFFUSIONE COMPLETA DEI FILE DEL FINANZIERE PORCELLONE, VERRÀ SOTTOPOSTA AL VOTO DELLA CAMERA. E I VOTI REP POSSONO ESSERE DETERMINANTI PER IL SUCCESSO DELL’INIZIATIVA PARLAMENTARE DEM - SE DA UN LATO L’EVENTUALE DIVULGAZIONE DELLE DUE CALIENTI FOTOGRAFIE NON AGGIUNGEREBBE NIENTE DI NUOVO ALLA SUA FAMA DI PUTTANIERE, CHE SI VANTAVA DI POTER “PRENDERE LE DONNE PER LA FIGA” GRAZIE AL SUO STATUS DI CELEBRITÀ, DALL’ALTRO UN “PUSSY-GATE” DETERMINEREBBE UNO DURO SCOSSONE A CIÒ CHE RESTA DELLA SUA CREDIBILITÀ, IN VISTA ANCHE DEL DECISIVO VOTO DI METÀ MANDATO IN AGENDA IL PROSSIMO ANNO...