1 - UE, GOVERNO AVANTI CON IL «PIANO A»: NON CI SONO ALTERNATIVE ALLA MOGHERINI
Maria Teresa Meli per “Il Corriere della Sera”
Matteo Renzi continua a non scoprire pubblicamente le sue carte europee. Vuole prima avere da Juncker la garanzia che il posto di Mr (sebbene in questo caso sia una Mrs) Pesc sia dato ai socialisti e, più precisamente, all’Italia. Vuole giocarsi la partita senza fare passi falsi o mosse avventate. Anche perché già a luglio, quando la Germania sembrava aver dato il suo assenso alla candidata italiana, il premier aveva poi visto scombinare tutti i suoi piani proprio dai Paesi che sono nell’area di influenza tedesca.
Ma la verità è che, nonostante in molti diano in calo la candidatura di Federica Mogherini e alcuni la diano proprio per tramontata, il presidente del Consiglio ha ancora in testa il suo nome per il posto di Alto Rappresentante della politica estera della Ue. Con i collaboratori e con alcuni esponenti politici il premier è stato chiaro: «Vedrete che Federica andrà lì e chi adesso dice che io ho sbagliato linea, che così non otterrò più niente, dovrà chiedermi scusa».
Anche se in modo molto riservato, lontano dai riflettori e dai cronisti, Renzi sta lavorando pure in questi giorni per raggiungere il suo obiettivo. Tant’è vero che quando Massimo D’Alema è andato a trovarlo a Palazzo Chigi si è sparsa la voce che l’ex presidente del Consiglio non fosse lì per perorare la propria causa. Non sarebbe stata l’aspirazione a sedere sulla poltrona di Mr Pesc a spingerlo, ma colloqui avuti in Europa per sondare il terreno sulla candidatura della ministra degli Esteri italiana.
Su Mogherini, com’è noto, pesava l’accusa da parte di un gruppo di ex Paesi dell’Est di essere troppo filo-russa. Accusa che Renzi ha sempre rispedito al mittente. Non a caso, dopo che l’altro ieri sono state comminate le sanzioni della Ue, il presidente del Consiglio ha osservato: «Le decisioni prese a Bruxelles evidenziano come l’Italia sia assolutamente allineata con gli altri Paesi del G7 nella valutazione della crisi ucraina e delle responsabilità di quanto sta avvenendo lì. Quelli che ci hanno descritto per comodità e interesse come i più recalcitranti su questo tema sono stati sbugiardati».
Dunque, il premier non ha rinunciato al suo piano originario: «La politica estera dell’Europa è molto importante e bisogna muoversi con prudenza». Quel ruolo, se usato in un certo modo, potrebbe dare un ritorno di immagine all’Italia. Non solo. L’Alto Rappresentante partecipa al Consiglio europeo e diventa automaticamente uno dei vice del presidente della Commissione Juncker. Ciò significa che in questo modo il governo avrà accesso a tutti i dossier più importanti.
Insomma, per Renzi rappresenterebbe un bel colpo. Sempre che ce la faccia a portare a casa questo risultato. Le resistenze degli ex Paesi dell’Est potrebbero essere vinte se si affidasse a uno di loro la presidenza del Consiglio europeo. Certo, è una partita difficile, questa. Senz’altro più complicata di quella che il premier sta giocando proprio in questi giorni con Sel al Senato e che, praticamente, ha già quasi vinto. Però Renzi non dispera. E se ha un «piano B», come gli è stato suggerito da più parti, lo tiene ancora segreto per evitare che fallisca il «piano A», l’operazione a cui tiene di più: «Mi piacerebbe ringiovanire anche l’Europa».
MASSIMO D ALEMA INTERVISTATO DA ALAN FRIEDMAN
Su un punto, però, chi lo conosce bene è pronto a scommettere: se l’Italia, alla fine, otterrà veramente il posto di Alto Rappresentante — benché siano in tanti, al momento, a ritenere che quel posto non è più nelle nostre disponibilità — non vi saranno altri nomi possibili oltre a quello di Federica Mogherini. Non c’è Massimo D’Alema all’orizzonte, per intendersi.
E questo sembra averlo capito bene lo stesso ex presidente del Consiglio. Né lui, né nessun altro, stando a quanto dicono i renziani. Quella poltrona, nella mente del premier, è adatta alla titolare della Farnesina. Anche perché, sostengono le malelingue di Montecitorio, questo gli consentirebbe di procedere a un mini-rimpasto di governo.
2 - MA RISCHIANO DI RESTARE SOLO «POSTI IN PIEDI»
Maria Serena Natale per “Il Corriere della Sera”
Quattro settimane per formare la nuova squadra, comincia il lungo agosto di Jean-Claude Juncker. Il presidente della Commissione dovrà assegnare i portafogli entro fine mese tenendo conto di più criteri: equilibrio tra gruppi politici, parità di genere, peso specifico dei singoli Paesi, rivendicazioni delle capitali entrate nell’ultimo decennio e alleanze geo-strategiche tra i blocchi Est-Ovest e Nord-Sud. Oltre a crisi e dinamiche di potere nazionali.
Un rompicapo per 28 commissari, uno per Stato. Troppi, lo stesso Juncker auspica una futura riorganizzazione della macchina collegiale in 5 grandi poli di competenza. Per ora la priorità è comporre il puzzle con le tessere messe sul tavolo dai governi, chiamati a presentare entro oggi le loro candidature.
Tra ipotesi e nomi di bandiera, fino a ieri mancavano le proposte ufficiali di Italia, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Portogallo, Bulgaria, Slovenia, Cipro, Svezia, Ungheria. Per alcuni un ritardo tattico: l’Italia vuole Federica Mogherini, la Danimarca conserva l’asso Helle Thorning-Schmidt per la presidenza del Consiglio, candidatura mai formalizzata ma molto appoggiata per uno dei top jobs legati al pacchetto portafogli in seguito alla mancata intesa tra i leader nell’ultimo summit. Dopo il via libera del vertice del 30 agosto partiranno le audizioni all’Europarlamento. Il 31 ottobre scade il mandato della Commissione uscente, il nuovo esecutivo sarà pronto?
Il governo francese ha appena ufficializzato la candidatura dell’ex ministro delle Finanze Pierre Moscovici, socialista. Parigi non fa mistero di puntare agli Affari economici e monetari, stuzzicando gli eterni rivali tedeschi che non approvano certe défaillances sui conti. Secondo Le Monde non è da escludere la Concorrenza, in un’intervista Moscovici non si sbilancia ma invoca «una politica industriale europea dinamica e aggressiva»: mire sull’Industria? Il portafoglio ora è affidato all’italiano Ferdinando Nelli Feroci, subentrato al vicepresidente dell’Europarlamento Antonio Tajani.
Un socialista francese all’Economia esclude un socialista olandese alla guida dell’Eurogruppo, dove i Paesi Bassi vorrebbero confermare il ministro delle Finanze Jeroen Dijsselbloem (Pse temperato da nordico rigore). L’Olanda può contare anche sul responsabile degli Esteri Frans Timmermans che, rimasto ai margini della corsa per la carica di Mr Pesc, si aggiunge ai rivali di Federica Mogherini: l’estone Andrus Ansip, il polacco Radek Sikorski e la bulgara Kristalina Georgieva. La Polonia pretenderà molto, anche in economia.
La Germania non ha mai lasciato dubbi sul rinnovo dell’attuale responsabile dell’Energia Günther Oettinger, confermato come l’austriaco Johannes Hahn (Politiche regionali), lo slovacco Maros Sefcovic (Affari istituzionali) e il croato Neven Mimica (Protezione dei consumatori). Commissari pronti a cambiare poltrona, come il finlandese del Ppe Jyrki Katainen, successore del dimissionario Olli Rehn all’Economia. Londra schiera il conservatore Lord Hill, preferito all’euroscettico Andrew Lansley: dopo il (vano) no del premier David Cameron a Juncker, un gesto distensivo in cambio del Commercio. Non è detto che basti.
Juncker voleva il 40% di donne, ad oggi l’unica commissaria designata è la ceca Vera Jourova, mentre la Svezia non ha ancora confermato Cecilia Malmström, commissario agli Affari interni.
Una donna potrebbe venire dal Belgio, dove il rebus sulla formazione del governo ha lasciato in sospeso la scelta tra l’eurodeputata Marianne Thyssen, il ministro degli Esteri Didier Reynders e Karel De Gucht, commissario che si è ritagliato un ruolo importante nelle trattative commerciali con gli Usa. La Spagna presenta il ministro dell’Agricoltura Miguel Arias Cañete (Ppe) ma dietro le quinte spinge Luis de Guindos (ancora Ppe) per l’Eurogruppo, in competizione con i Paesi Bassi. Dagli imperi ai Mondiali, è ancora Spagna-Olanda.