roberto cingolani luigi di maio mario draghi in algeria claudio descalzi

OCCHIO ALL’ALGERIA: TRA QUALCHE ANNO POTREBBE FINIRE COME LA RUSSIA - GLI EQUILIBRI DI POTERE NEL PAESE AFRICANO, CHE CI RIFORNIRÀ DI GAS PER RENDERCI MENO DIPENDENTI DA PUTIN, NON SONO COSÌ DIVERSI DA QUELLI DI MOSCA - AL POTERE C’È UN REGIME AUTORITARIO E C’È TENSIONE CON IL VICINO MAROCCO PER L’INDIPENDENZA DEL SAHARAWI, ZONA OCCUPATA PER L’80 DA RABAT, CHE POTREBBE FAR ESPLODERE UNA GUERRA…

Gianmarco Aimi per www.mowmag.com

 

luigi di maio mario draghi abdelmadjid tebboune 1

“I nostri Governi hanno firmato una dichiarazione d’intenti sulla cooperazione bilaterale nel settore dell’energia. A questa si aggiunge l’accordo tra Eni e Sonatrach per aumentare le esportazioni di gas verso l’Italia”.

 

Questo l’annuncio del presidente del Consiglio Mario Draghi dopo la firma dell’accordo sull’energia con il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune. L’obiettivo della missione era proprio questo: incrementare le forniture di gas dal paese africano (che già rappresenta il 31% del nostro import) e ridurre la dipendenza dalla Russia.

 

gas algeria 2

La domanda che però adesso sorge spontanea è: ci possiamo fidare dell’Algeria? E non è proprio un dubbio campato in aria, visto che a ben vedere gli equilibri di potere che regolano quel Paese non sembrano così diversi dall’oligarchia guidata da Vladimir Putin e, infatti, c’è chi pensa che si rischi di finire dalla padella alla brace.

 

Saharawi

E siccome in Italia, ma in generale in Occidente, ci si accorge di avere partner commerciali discutibili soltanto quando è ormai scoppiata una crisi, abbiamo provato a chiedere a chi da anni studia quei Paesi. Si tratta del professor Francesco Tamburini, docente del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pisa, esperto in storia e diritto dei paesi islamici, storia del Medio Oriente e delle relazioni internazionali.

 

Nell’intervista che ci ha concesso, nonostante sia evidente che le alternative erano pressoché nulle per staccarsi dal gas di Mosca in tempi brevi, emerge che le differenze fra l’Algeria e la Russia non sono poi così tante. Anzi, da anni lo Stato del Maghreb si rifornisce di armi russe con rapporti più che consolidati e che le tensioni con il Marocco somigliano tanto a quelle che hanno fatto scoppiare la guerra in Ucraina.

 

gas algeria 3

Professore, è appena stato siglato un accordo fra Italia e Algeria per sopperire al gas russo. Ma è un Paese di cui possiamo fidarci?

Se è un accordo in funzione anti-russa sì e no. Non è noto al grande pubblico che l’Algeria farà manovre militari nel Mediterraneo proprio con la Russia, per cui da questo punto di vista non è così affidabile. In più, dagli anni ‘60, acquista armi dalla Russia. Però al momento è l’unica carta disponibile nel panorama delle forniture energetiche, se si escludono le Repubbliche centro asiatiche e la Libia, sulla quale è meglio stendere un velo pietoso. L’Algeria non è una democrazia compiuta, ma un regime ibrido di democrazia esteriore, ma che sostanzialmente non la è.

 

Alcuni osservatori lo descrivono come un Paese controllato da una dittatura militare corrotta dal petrolio, le sembra una definizione esagerata?

 

mario draghi IN ALGERIA

Non parlerei di dittatura, ma di regime autoritario. Governa una élite politico-militare, che alcuni definiscono anche “mafioso-militare-energetica”, sostanzialmente clientelare, che si basa sulla triade partito-Stato- esercito. Anche se dal 1989 è presente un sistema multipartitico il tutto è annacquato da una gestione “allegra” del partito che dal ‘62 all’89 era l’unico presente e ancora oggi si spartisce il potere in tante forme che sono rimaste intatte alle Primavere arabe.

 

Come mai in Algeria non hanno intaccato il potere?

 

VLADIMIR PUTIN E IL GAS

Perché la popolazione algerina non ha desiderato entrare in un processo di cambiamento di potere violento, come in Libia, o meno violento come in Tunisia. È ancora spaventata dalla guerra civile degli anni ‘90 contro il fondamentalismo islamico. Per cui, prima di cambiare, ci pensa due volte.

 

Un’altra similitudine con la Russia è la mancanza di una informazione libera.

Abdelaziz Bouteflika

Questo da sempre e la situazione sotto questo punto di vista è peggiorata perché il regime ha sfruttato la pandemia per eliminare ogni forma di assembramento, anche quello che fino al gennaio del 2020 era rappresentato dalle riunioni dell’Hirak, il movimento formato da giovani, disoccupati e dissenzienti rispetto al regime. Inoltre il controllo dell’informazione è capillare, anche se esistono pubblicazioni libere ma sono molto penalizzate. Non è certo una democrazia Occidentale, come però non lo è neppure la Tunisia che è il migliore prodotto delle Primavere arabe. In quella zona c’è davvero poco da scegliere.

 

Sembra davvero la Russia di Putin…

POPOLO Saharawi

I punti di contatto sono molti. L’oligarchia che viene chiamata Pouvoir domina totalmente la politica. Dal 1999 al 2019, è bene ricordarlo, il Paese ha avuto un solo presidente, Abdelaziz Bouteflika, che è stato mantenuto anche quando era in stato di salute precaria, il tutto per non creare tensioni, con la Costituzione cambiata per aumentarne i mandati presidenziali.

 

Non è che per caso anche l’Algeria ha delle questioni militari irrisolte di cui potremmo pentirci in futuro?

mario draghi abdelmadjid tebboune 1

Solo contro il Marocco, con il quale i rapporti sono rotti dal ‘94. Così come per il mare territoriale, visto che ha esteso unilateralmente i i propri limiti. Ma tensioni ulteriori per ora non ce ne sono.

 

E se per caso i due Paesi dovessero entrare nuovamente in conflitto?

È vero che sono ai ferri corti, perché l’Algeria è un sostenitore della libertà del Saharawi, il popolo del Sahara occidentale, occupato per l’80% dal Marocco. È una tregua che dura dal 1991, per ora, ma è chiaro che le tensioni possono riesplodere da un momento all’altro.

VLADIMIR PUTIN

 

Sembra quasi di sentir parlare del Donbass fra Russia e Ucraina.

Le analogie, purtroppo, ci sono eccome. Ma per adesso geopoliticamente non interessano all’Occidente per cui in pochi si pongono la questione seriamente.

Abdelaziz Bouteflika PUTIN

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - LA CAPITALE DEGLI AFFARI A MISURA DUOMO, A CUI IL GOVERNO MELONI HA LANCIATO L’ANATEMA “BASTA CON I BANCHIERI DEL PD”, È IN TREPIDA ATTESA DI COSA DELIBERERÀ UNICREDIT DOMENICA PROSSIMA, A MERCATI CHIUSI - SI RINCORRONO VOCI SULLA POSSIBILITÀ CHE ANDREA ORCEL ANNUNCI L’ADDIO NON SOLO ALL’OPS SU BPM MA ANCHE ALLA SCALATA DI COMMERZBANK, PER PUNTARE TUTTA LA POTENZA DI FUOCO DI UNICREDIT LANCIANDO UN’OPS SU GENERALI - DOPO LE GOLDEN MANGANELLATE PRESE PER SU BPM, ORCEL AVRÀ DI CERTO COMPRESO CHE SENZA IL SEMAFORO VERDE DI PALAZZO CHIGI UN’OPERAZIONE DI TALE PORTATA NON VA DA NESSUNA PARTE, E UN’ALLEANZA CON I FILO-GOVERNATIVI ALL’INTERNO DI GENERALI COME MILLERI (10%) E CALTAGIRONE (7%) È A DIR POCO FONDAMENTALE PER AVVOLGERLA DI “ITALIANITÀ” - CHISSÀ CHE COSA ARCHITETTERÀ IL CEO DI BANCA INTESASANPAOLO, CARLO MESSINA, QUANDO DOMENICA IL SUO COMPETITOR ORCEL ANNUNCERÀ IL SUO RISIKO DI RIVINCITA…

parolin prevost

PAROLIN È ENTRATO PAPA ED È USCITO CARDINALE - IN MOLTI SI SONO SBILANCIATI DANDO PER CERTO CHE IL SEGRETARIO DI STATO DI BERGOGLIO SAREBBE STATO ELETTO AL POSTO DI PAPA FRANCESCO – GLI “AUGURI DOPPI” DI GIOVANNI BATTISTA RE, IL TITOLO FLASH DEL “SOLE 24 ORE” (“PAROLIN IN ARRIVO”) E LE ANALISI PREDITTIVE DI ALCUNI SITI - PERCHÉ I CARDINALI HANNO IMPALLINATO PAROLIN? UN SUO EVENTUALE PAPATO NON SAREBBE STATO TROPPO IN CONTINUITÀ CON BERGOGLIO, VISTO IL PROFILO PIU' MODERATO - HA PESATO IL SUO “SBILANCIAMENTO” VERSO LA CINA? È STATO IL FAUTORE DELL’ACCORDO CON PECHINO SUI VESCOVI...

matteo renzi sergio mattarella elly schlein maurizio landini

DAGOREPORT – IL REFERENDUM ANTI JOBS-ACT PROMOSSO DALLA CGIL DI LANDINI, OLTRE A NON ENTUSIASMARE MATTARELLA, STA SPACCANDO IL PD DI ELLY SCHLEIN - NEL CASO CHE UNA DECINA DI MILIONI DI ITALIANI SI ESPRIMESSERO A FAVORE DELL’ABOLIZIONE DEL JOBS-ACT, PUR NON RIUSCENDO A RAGGIUNGERE IL QUORUM, LANDINI ASSUMEREBBE INEVITABILMENTE UN'INVESTITURA POLITICA DA LEADER DELL'OPPOSIZIONE ANTI-MELONI, EMARGINANDO SIA SCHLEIN CHE CONTE - E COME POTRANNO I RIFORMISTI DEM, I RENZIANI E AZIONE DI CALENDA VALUTARE ANCORA UN PATTO ELETTORALE CON UN PD "LANDINIZZATO", ALLEATO DEL POPULISMO 5STELLE DI CONTE E DE SINISTRISMO AVS DI BONELLI E FRATOIANNI? - A MILANO LA SCISSIONE DEL PD È GIÀ REALTÀ: I RIFORMISTI DEM HANNO APERTO UN CIRCOLO IN CITTÀ INSIEME A ITALIA VIVA E AZIONE. MA BONACCINI DIFENDE ELLY SCHLEIN

sergio mattarella giorgia meloni

DAGOREPORT - L'ARDUO COMPITO DI MATTARELLA: FARE DA ARBITRO ALLA POLITICA ITALIANA IN ASSENZA DI UN’OPPOSIZIONE - IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NON VUOLE SOSTITUIRSI A QUEGLI SCAPPATI DI CASA DI SCHLEIN E CONTE, NÉ INTENDE SCONTRARSI CON GIORGIA MELONI. ANZI, IL SUO OBIETTIVO È TENERE IL GOVERNO ITALIANO DALLA PARTE GIUSTA DELLA STORIA: SALDO IN EUROPA E CONTRO LE AUTOCRAZIE – IL PIANO DI SERGIONE PER SPINGERE LA PREMIER VERSO UNA DESTRA POPOLARE E LIBERALE, AGGANCIATA UN'EUROPA GUIDATA DA FRANCIA, GERMANIA E POLONIA E LONTANA DAL TRUMPISMO - LE APERTURE DI ''IO SONO GIORGIA" SUL 25 APRILE E AFD. MA IL SUO PERCORSO VERSO IL CENTRO E' TURBATO DALLL'ESTREMISMO DI SALVINI E DALLO ZOCCOLO DURO DI FDI GUIDATO DA FAZZOLARI...

francesco micheli

DAGOREPORT - IN UNA MILANO ASSEDIATA DAI BARBARI DI ROMA, SI CELEBRA LA FAVOLOSA CAPITALE DEGLI AFFARI CHE FU: IL CAPITALISMO CON IL CUORE A SINISTRA E IL PORTAFOGLIO GONFIO A DESTRA - A 87 ANNI, FRANCESCO MICHELI APRE, SIA PURE CON MANO VELLUTATA E SENZA LASCIARE IMPRONTE VISTOSE, IL CASSETTO DEI RICORDI: “IL CAPITALISTA RILUTTANTE” È IL DIARIO DI BORDO DELL’EX BUCANIERE DELLA FINANZA CHE, SALITO SULL’ALBERO PIÙ ALTO DEL VASCELLO, HA OSSERVATO I FONDALI OSCURI INCONTRATI NEL MARE MAGNUM INSIDIOSO DELL’ECONOMIA, SOMMERSA E SPESSO AFFONDATA - “IO E LEI APPARTENIAMO A ZOO DIVERSI”, FU IL VATICINIO DI CUCCIA – LUI, UNICO TESTIMOME A RACCOGLIERE LO SFOGO DI EUGENIO CEFIS SU QUEL “MATTO” DI CUCCIA CHE NEL GIORNO DELLE SUE CLAMOROSE DIMISSIONI DA MONTEDISON L’AVEVA ACCOLTO CON UN BEFFARDO: “DOTTORE, PENSAVO VOLESSE FARE UN COLPO DI STATO…”