coronavirus

PERCHÉ IN FONDO A NOI ITALIANI PIACE VIVERE UNA GRANDE E ROMANZESCA AVVENTURA COLLETTIVA - PERINA: ''COME NEI 'PROMESSI SPOSI', IL FLAGELLO COME GIUSTIZIERE È NEL DNA DEL PAESE. E L’IDEA DI AVERE PREOCCUPAZIONI PIÙ ALTE A SOSTITUIRE LA QUOTIDIANITÀ È UN FATTORE DI FASCINO IRRESISTIBILE'' - STANCANELLI: ''FINIREMO PER DUBITARE DELLA ZIA CHE TI TOSSISCE IN FACCIA, IL FIGLIO CHE STARNUTISCE A TAVOLA E SI PULISCE IL NASO CON LE DITA CON CUI POI AFFERRA IL MIGNON ALLE FRAGOLE. E FINALMENTE SCRIVEREMO IL GRANDE ROMANZO ITALIANO''

 

1. IL CORONAVIRUS E UN’ITALIA STRETTA TRA LA PAURA E LA VOGLIA DI VIVERE UNA GRANDE E ROMANZESCA AVVENTURA COLLETTIVA

Flavia Perina per www.linkiesta.it

in quarantena alla cecchignola

 

Chiuse le scuole, le università, i musei e i cinema, sospese le manifestazioni sportive, sconsigliate (in Lombardia) o proibite (in Veneto e Friuli) le feste private e «qualsiasi tipo di aggregazione». Isolati undici comuni a Nord; proibito l’accesso ai turisti del Nord in sei comuni del Sud (Ischia). Niente messe in tutta la Lombardia. Niente Carnevale a Venezia. Fermi gli esami di ammissione al Campus Biomedico a Roma.

È solo una cronaca parziale dei giorni della Grande Paura, della World War Z italiana che ha spianato ogni altra preoccupazione – non c’è più politica né cronaca fuori dal dibattito sul Coronavirus – e cancellato ogni domanda al di là del fatidico: quanti sono oggi i contagiati?

cecchignola coronavirus

 

E i morti? «Panico», scrivono i giornali, «Il morbo è tra noi», «Avanza il virus», e il tam-tam sui social si regola di conseguenza costruendo un’emergenza diversa da tutte perché orizzontale, egalitaria, condivisa, oltre la destra e la sinistra, e per di più apocalittica e vagamente vendicativa verso la parte di umanità che ci sta più antipatica: quelli che viaggiano molto, che escono molto, i potenziali “pazienti zero” con l’agenda piena di appuntamenti mondani, sportivi, amorosi, ora finalmente costretti a casa come noi gente comune.

 

Siamo il Paese dei “Promessi Sposi”, il grande romanzo italiano che tutti hanno citato in questi giorni per il capitolo sugli untori e sull’approccio superstizioso alla malattia – «Non ci cascate, non siamo più nel Seicento» – ma andrebbe ricordato soprattutto per altro. Nel racconto manzoniano è il flagello, il virus, il contagio, il grande giustiziere della Storia, l’agente provvidenziale che fa fuori Don Rodrigo e il Conte Arrigo e restituisce la libertà ai protagonisti.

flavia perina

 

L’idea del morbo palingenetico, insomma, è scritta nel DNA nazionale ed è elemento centrale dell’educazione scolastica italiana, che spesso esaurisce pure ogni percorso di formazione culturale del cittadino medio. Anche per questo il Coronavirus è spaventoso ma al tempo stesso popolare, suscita ansia ma anche una diabolica attrazione. Anche per questo tra chi sostiene «è solo un’influenza» (Maria Rita Gismondo, capo dei virologi all’ospedale Sacco di Milano) e chi dice il contrario (il virologo Roberto Burioni), la gran parte delle persone sceglie d’istinto il secondo che pure, quando ammoniva sul morbillo e sui vaccini, era diventato bersaglio fisso del polemismo nazionale.

 

Il Coronavirus è, in versione attenuata ma promettente, la Spagnola e l’Atomica, l’invasione zombie e il riscaldamento globale messi insieme. Restituisce corpo a un confortevole sentimento millenarista, cancella le diseguaglianze nel modo più semplice e diretto. Corrisponde, in fondo, a un desiderio ed è per questo che risulta un agente emotivo così potente e di successo rispetto a ogni altra emergenza reale o potenziale. Gli esperti fanno notare che, a fronte delle 2.500 vittime certificate della nuova malattia, il cambiamento climatico ha prodotto negli ultimi vent’anni mezzo miliardo di vittime nel mondo. Solo in Italia l’inquinamento dell’aria è causa di 80mila decessi ogni dodici mesi.

COMPLESSO CECCHIGNOLA ROMA 1

 

Avremmo, insomma, ben altri guai per cui preoccuparci e ben altri motivi per rivoltare come un calzino le nostre città e le nostre abitudini, ma questo nuovo virus ci soddisfa intimamente più di tutti. Ci consegna alla paura ma anche al brivido di una inaspettata avventura collettiva, proietta un film nazionale finalmente condiviso. Le strade deserte di Castiglione e Codogno. I talk show in onda senza pubblico. Il Duomo di Milano, simbolo della milanesità e quindi dell’operosità del Nord, interdetto alle visite e persino alla preghiera. Il possibile stop alle scadenze fiscali e alle bollette. Leggiamo e ci sentiamo tutti Renzo e Lucia, tutti preoccupatissimi, tutti perversamente affascinati da un’epidemia che spiana le ordinarie preoccupazioni della vita in nome di timori più grandi e collettivi.

 

 

2. L'EPIDEMIA SCRIVERÀ UN NUOVO ROMANZO

Elena Stancanelli per ''La Stampa''

elena stancanelli

 

 

Le epidemie producono ottima letteratura. Da Tucidide a Boccaccio, da Manzoni a Camus, il contagio è propizio, fecondo di storie e di pensieri. Per tante ragioni e la prima è la paura. Il bisogno di addomesticare i mostri, la natura, l' inconoscibile, l' altro è il fondamento di tutta l' arte e la sua ragione di esistere.

 

Rischiara il buio, trasforma in fiaba la malattia e il dolore. Quando abbiamo paura ci rifugiamo nell' immaginazione, e ci stringiamo gli uni agli altri per darci conforto. Raccogliamo gli amici, i familiari, quelli che sono come noi. Ci contiamo, ci rassicuriamo, ridiamo per sdrammatizzare o ci diamo consigli sbagliati, contraddittori, oggi una cosa domani un' altra. Fuori c' è il male, dentro c' è il bene. I sani contro gli appestati, come i novellatori del Decameron, asserragliati nella villa fuori dalla Firenze in cui imperversa il morbo, che per per tenere a freno la paura si raccontano storie d' amore.

Nelle nostre vite la paura ha un ruolo marginale, la paura vera, quella di non riuscire a sopravvivere.

 

milano al tempo del coronavirus

Nessuno nel villaggio globale esce di casa temendo l' assalto di una bestia feroce, o il colpo d' arma del nemico, o l' accidente naturale fatale tipo scoppio del vulcano, terremoto, tsunami. Le nostre città sono abbastanza sicure. Generalmente usciamo con la noia di un' altra giornata di lavoro o di qualche incombenza, raramente con la curiosità di un incontro, o il desiderio semplice di abbracciare qualcuno a cui vogliamo bene. Sentimenti medi, niente che faccia tremare il cuore. Il virus spariglia. È una scossa, da quando si è presentato spavaldo anche nel nostro Paese, ha acceso le nostre giornate.

 

Ognuno reagisce come sa. I depressi, come ha insegnato Lars Von Trier in Melancholia, sono quelli che reagiscono meglio. Per loro la fine è sempre un sollievo, accolgono gli altri con efficienza nell' emergenza, che loro conoscono come un sentimento endemico. I razionalisti vacillano e si appellano a Burioni, si lavano furiosamente le mani mille volte al giorno e borbottano riferimenti alla letteratura distopica che profetizzava apocalissi. Qualcuno avrebbe preferito l' onda finale, altri si accontentano della fine del mondo che ci sarebbe toccata, un po' miserabile, poco eroica, per niente spettacolare.

meme sull'amuchina e il coronavirus 5

 

Quasi nessuno resta indifferente. Nessuno dice «Corona chi?», come si fa per ostentare superiorità rispetto agli accidenti del mondo che vengono a disturbare il nostro olimpico distacco dalla volgare quotidianità.

 

Il virus fa paura, più o meno a tutti. Perché è misterioso, lo è persino per i medici che stanno iniziando a studiarlo adesso. Figuriamoci per noi, che non capiamo niente e prendiamo gli antibiotici anche se persino digitando «antibiotici» su Google c' è scritto «farmaci utilizzati per trattare le infezioni batteriche che non hanno alcuna efficacia contro le infezioni virali».

 

Ma noi li prendiamo lo stesso, perché se i medici ci hanno spiegato che non bisogna curarsi su Internet, perché allora in questo caso dovremmo dargli retta? Perché ce lo stanno dicendo anche i medici in tutti i modi. Vabbè, e se avessero torto anche loro? E poi cosa diavolo è un virus? Come si diffonde, che danni procura, quanto vive, da dove esce e dove entra. È una cosa invisibile, si muove in modo non tracciabile, deflagra nei nostri corpi, ci annienta o ci grazia a seconda di chissà cosa. Si presta alle interpretazioni, produce leggende e ancora ci stiamo domandando perché l' epidemia produca ottima letteratura?!

meme sul coronavirus 8

Oltre al fatto che l' epidemia inventa l' antagonista.

 

Il nemico, l' avversario, motore necessario a ogni narrazione. Sia esso il topo, come nella Peste di Camus, o qualsiasi altro untore possibile. Delle epidemie ci siamo sempre accusati gli uni con gli altri, cristiani contro ebrei, uomini contro donne, indigeni contro stranieri. Soprattutto stranieri, perché il contagio arriva da fuori, per caso o per dolo - le coperte infettate dal virus del vaiolo, offerte in dono ai nativi americani dai conquistadores europei - e uccide senza pietà.

 

Purtroppo stavolta la malattia viene dalla Cina. E i cinesi sono passati di moda. Se solo il coronavirus fosse arrivato cinque, sei anni fa avrebbe trovato terreno fertilissimo. Erano gli anni in cui si diceva che i cinesi non morivano mai, unica spiegazione al fatto che nessuno avesse mai visto un funerale cinese in Italia, o una lapide in un cimitero. Vanno avanti e indietro dal loro al nostro Paese scambiando carte d' identità, dentro casse da morto, si diceva.

 

Ma la lista dei nemici ciclicamente si aggiorna, nuove priorità, altri tiramenti. Adesso, per dire, ci sarebbe stato benissimo un virus dal Mali, dalla Somalia, dal Sud Sudan. Con un bel marchio africano e un battesimo su un barcone.

 

Peccato, dovremo accontentarci di campagne diffamatorie contro gli involtini primavera, di inveire contro la scarsa igiene delle estetiste dalle quali ci affollavamo fino a ieri perché più economiche. Almeno fin quando il virus non avrà acquisito la cittadinanza italiana, andando a occupare sedili nella metropolitana, mettendosi in fila alla Posta nascosto in un corpo identico al nostro.

meme sul coronavirus 9

 

Allora sarà guerra di tutti contro tutti, persino degli amici, persino dei parenti finiremmo per dubitare. La zia che ti tossisce in faccia, il fidanzato che si sente debole, il figlio che starnutisce a tavola e si pulisce il naso con le dita con cui poi afferra il mignon alle fragole sul vassoio. Ma sarà quello il momento nel quale finalmente scriveremo, tutti quanti, il Grande Romanzo Italiano.

 

 

 

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