Laura Cesaretti per “il Giornale”
«Elezioni». La parola proibita è tornata ieri a circolare ai piani alti del Pd. E a pronunciarla esplicitamente è Goffredo Bettini, molto vicino al segretario dem: o la maggioranza «cambia registro» o il ritorno alle urne è «inevitabile». Elezioni politiche anticipate, per mettere fine ad un governo già semiparalizzato e a un' alleanza senza capo né coda con un partito in caduta libera, i Cinque stelle, che rischia di trascinare con sé un Pd già malmesso di suo.
E soprattutto, è il segreto pensiero di Nicola Zingaretti, elezioni anticipate per sfuggire ad un calendario micidiale che mette a serio rischio la sua leadership, con le elezioni regionali in Calabria e in Emilia Romagna. Queste ultime si terranno a fine gennaio, mentre nella surreale Calabria in cui il governatore dem uscente Oliverio, colpito dalla solita immancabile inchiesta, è pronto a ricandidarsi anche contro il suo partito, la data non è stata neppure fissata. Se l' ondata di destra facesse saltare sia la Calabria che l' Emilia, nel Pd si aprirebbe la guerra per bande. Il segretario rischia di esserne la prima vittima, mentre c' è già chi si prepara a scalare il partito, come il brillante sindaco di Bergamo Giorgio Gori.
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Per questo Zingaretti, che già ad agosto avrebbe di gran lunga preferito il voto anticipato ma ci è stato trascinato obtorto collo dal contropiede di Renzi, accarezza l' idea di far saltare il banco e andare a votare entro gennaio. Contando sul fatto che anche in Umbria, nonostante tutto, i dem hanno mantenuto le percentuali delle Europee, e prendendo due piccioni con una fava: affondare elettoralmente Matteo Renzi, che punta sui tempi lunghi, e blindarsi nel partito con i gruppi parlamentari
Così, dopo una notte insonne ad esaminare i risultati dell' Umbria, il leader Pd avverte: «Una maggioranza non può esistere per paura di Salvini, per evitare il voto dei cittadini o aspettare le nomine degli enti per occupare poltrone». O governo e alleanza riesce a rilanciarsi oppure «la sua esistenza è inutile e sarà meglio trarne le conseguenze», conclude.
Con Zingaretti si schiera il vice Andrea Orlando, che indica la finestra di tempo: di qui alla chiusura della manovra si deve «valutare» se valga la pena di andare avanti o se ci si «logora» e basta. Ma nel corpaccione del partito gli umori sono ben diversi. A cominciare da Dario Franceschini, capo delegazione nel governo (da cui Zingaretti si tiene ben distante) e gran sostenitore dell' alleanza. Nonché, assicurano i maligni, aspirante alla successione di Conte se l' ex avvocato del popolo dovesse saltare.
giuseppe conte dario franceschini
«Non mi sembra acuta l' idea che sia meglio andare divisi alle prossime regionali», dice.
Ma Franceschini non è l' unico convinto che la maggioranza debba andare avanti: «Non ci sono i tempi tecnici per votare prima dell' Emilia, sarebbe troppo complicato - assicura un autorevole ministro dem - la verità è che questo governo non ha alternative, ed è destinato ad andare avanti».
nicola zingaretti dario franceschini
E le fibrillazioni dei Cinque stelle? «Sono gli ultimi a volere elezioni che li cancellerebbero in larga parte dal Parlamento», è la realistica risposta. L' unico rischio è che «si continui ad alzare l' asticella delle polemiche, fino a che la cosa sfugge di mano e salta tutto».
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