L’INCUBO DELLA MELONI: BRUCIARSI COME HANNO FATTO RENZI E SALVINI - IL PROBLEMA DELLA DUCETTA NON È VINCERE. NON È NEPPURE GOVERNARE, MA METTERE RADICI E CONTARE NEI PROSSIMI ANNI DENTRO IL DEEP STATE, LO STATO PROFONDO ITALIANO, UN APPARATO IN MANO AL CENTROSINISTRA. CON L’AIUTO DEL PRESIDENTE DEL COPASIR URSO E DI CROSETTO, MA TRA I DUE NON CORRE BUON SANGUE - LA PARTITA DELLE NOMINE IN ENI, ENEL, LEONARDO E POSTE. LA CLASSE DIRIGENTE DI GIORGIA NON È DI SICURO ALL’ALTEZZA DELLA SITUAZIONE. E LEI LO SA BENISSIMO…

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Marco Zini - https://www.tag43.it/giorgia-meloni-deep-state-nomine-adolfo-urso-guido-crosetto/

 

ADOLFO URSO GIORGIA MELONI ADOLFO URSO GIORGIA MELONI

Nei palazzi della politica romana che tornano a riempirsi dopo l’estate, si mormora che la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni da qualche settimana a questa parte abbia un paio di incubi ricorrenti. In entrambi il brutto sogno si svolge in questo modo. All’inizio festeggia la vittoria alle elezioni, applaudita e amata da tutto il Paese in una splendida giornata di sole. Ma poco dopo si ritrova sola, al buio, con le maschere di Matteo Renzi e Matteo Salvini sul volto.

 

GUIDO CROSETTO GIORGIA MELONI GUIDO CROSETTO GIORGIA MELONI

Perché in fin dei conti è questa la vera preoccupazione di Giorgia: vincere il 25 settembre, magari toccando o superando quota 25 per cento, per poi ritrovarsi dopo un paio di anni come Renzi e Salvini, due che conoscono bene la velocità con cui gli italiani sanno disinnamorarsi dei politici.

 

Il problema della Meloni infatti non è vincere. Non è neppure governare, ma mettere radici e contare nei prossimi anni dentro il deep state, lo Stato profondo italiano, ribaltando come un calzino un apparato in mano al centrosinistra. È questo il problema principale della leader di Fratelli d’Italia. L’obiettivo non dichiarato, dopo la vittoria elettorale naturalmente, è restare e soprattutto riuscire a portare al Quirinale nel prossimo settennato un uomo di centrodestra.

MELONI ORBAN URSO MELONI ORBAN URSO

 

Sfida impervia, dal momento che il centrosinistra ha saputo negli ultimi 30 anni lavorare con abilità nella macchina della burocrazia pubblica, occupando tutte le caselle più importanti, e imponendo per ben due volte al Colle Sergio Mattarella. Si parla molto di una riforma presidenziale, ma si sa come vanno le riforme in Italia: tutti a voce le vogliono, poi nessuno le porta avanti.

 

Renzi e Salvini sono stati spazzati via perché non hanno saputo costruire colonne forti per sostenere la loro costruzione. Il primo, quando mandò bruscamente a casa Enrico Letta, pensava avrebbe potuto governare a lungo unendo la classe dirigente del Paese. Ma, un po’ per boria e un po’ per superficialità, ignorava che farsi amici un paio di manager o stringere le mani a qualche leader all’estero non sarebbe bastato.

 

salvini renzi verdini salvini renzi verdini

Salvini, con tutta probabilità, non ha ancora capito come funziona lo Stato italiano. Da ex ministro dell’Interno non ha saputo costruire alcunché, a confronto del suo predecessore e collega Roberto Maroni, un politico rimasto per più di vent’anni sulla cresta dell’onda. La parabola politica discendente del capo della Lega è sotto gli occhi di tutti. Tanto che nel futuro il Capitano spera di ritagliarsi almeno un posto al Senato: di più non potrebbe e non saprebbe fare.

 

salvini renzi salvini renzi

Meloni, a confronto dei due perdenti, si sta muovendo con molta calma. Ha un passo felpato. Sa che basterebbe un nulla per bruciarsi. La classe dirigente di Giorgia non è di sicuro all’altezza della situazione. E lei lo sa benissimo. Ma c’è da dire subito una cosa. A confronto di Salvini e Renzi, Giorgia ha un consigliere che conosce con precisione le istituzioni italiane, la sua burocrazia, il mondo dei servizi segreti e della diplomazia.

 

ADOLFO URSO ADOLFO URSO

Si chiama Adolfo Urso, è l’attuale presidente del Copasir, ma non presiede solo il comitato parlamentare che sorveglia i nostri apparati di sicurezza. È in parlamento dal 1994. È lui che sta tirando le fila dei rapporti diplomatici esteri e interni della Meloni, con una forte impronta atlantista, perché ha capito, a differenza di Salvini, che il mondo si è di nuovo voltato verso Ovest, di sicuro non verso Est, dove la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping stanno vivendo a loro modo un periodo di transizione.

 

ADOLFO URSO SI FA UN PISOLINO ADOLFO URSO SI FA UN PISOLINO

È Urso che vola a Kyiv e Washington per spiegare che la leader di Fratelli d’Italia non è una neofascista all’olio di ricino come i giornali del gruppo Gedi, con crescente irritazione del suo editore John Elkann, la stanno dipingendo.

 

In parallelo, un altro Rasputin alla corte della giovane politica romana è Guido Crosetto, ex ministro della Difesa. Ma i due sono agli antipodi. Si dice infatti che tra Crosetto e Urso non corra buon sangue. Del resto, lo “Shrek” con un passato nella Democrazia cristiana è secondo tanti un lupo travestito da pecora, sempre impegnato a stringere accordi con il centrosinistra e sempre in cerca di qualche poltrona di spessore, come quella dell’Aiad (Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza) dove ormai siede (tra vari e tira e molla) da quasi 10 anni.

gianfranco fini e adlfo urso gianfranco fini e adlfo urso

 

Crosetto ha già fatto intendere che Giorgia stringerà accordi a 360 gradi per governare l’Italia, anche perché ha capito che sobbarcarsi uno degli inverni più difficili degli ultimi 30 anni, tra caro energia e la guerra fra Russia e Ucraina, potrebbe farla sprofondare velocemente nei sondaggi. E potrebbe appunto farle fare la fine di Salvini e Renzi.

CROSETTO MELONI CROSETTO MELONI

 

Stringere accordi non significa solamente trovare le azioni di governo più opportune per combattere la crisi economica, ma soprattutto scegliere i nomi giusti nella prossima tornata di nomine nelle aziende partecipate, come in quelle che toccano i gangli del funzionamento della macchina burocratica italiana.

dario scannapieco dario scannapieco

 

Quindi pare, e l’interessato non manca mai in privato di mostrare la sua sicurezza, che la poltrona di Dario Scannapieco in Cassa depositi e prestiti non verrà toccata, in continuità con il governo Draghi. E i nomi dei ministri che si fanno per un governo Meloni sono tutti ex colleghi di Super Mario, da Fabio Panetta fino a Domenico Siniscalco. Lo stesso Giulio Tremonti, ma l’ipotesi non sembra scaldare il cuore di Giorgia, non dovrebbe causare sconquassi nel caso in cui dovesse ritornare in via XX Settembre.

 

Eni, Enel, Leonardo e Poste: le partite delle nomine più delicate

luciano carta alessandro profumo foto di bacco luciano carta alessandro profumo foto di bacco

In primavera ci sarà poi il rinnovo dei consigli di amministrazione delle più importanti aziende di Stato: Eni, Enel, Leonardo e Poste su tutte. Ma anche qui Meloni dovrà appoggiarsi a uomini che già conoscono questo mondo. Per questo Claudio Descalzi è quasi sicuro di restare a San Donato, mentre Alessandro Profumo sicuramente lascerà Leonardo dove non sono in molti ad amare l’ex banchiere targato Partito democratico.

 

Tra i manager vicini alla Meloni c’è sicuramente Stefano Donnarumma, amministratore delegato di Terna, ma occhio anche a Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia. Nell’area di Confindustria si parla bene dell’ex direttore generale Marcella Panucci e dell’ex presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti, le cui simpatie a destra sono risapute da tempo.

Marcella Panucci Marcella Panucci

 

Anche Giulio Terzi di Santagata, ex ministro degli Esteri e consigliere della fondazione Farefuturo presieduta da Urso, potrebbe ambire a qualche incarico da presidente. Non bisogna poi dimenticare come in Lombardia ci sia stata una corsa ad avvicinarsi al carro meloniano.

 

Alla conferenza programmatica dello scorso aprile in sala c’era una bella fetta di classe dirigente di Comunione e Liberazione, ma anche manager, uno su tutti Massimo Sarmi (ex Poste, ora presidente di FiberCop) sono tenuti in grande considerazione nel circolo degli ex aennini. Di spazio ce ne sarà di sicuro anche per Marco Alverà, ex ceo di Snam, vicinissimo all’ex numero uno di Eni Paolo Scaroni.

MARCO ALVERA MARCO ALVERA

 

Anche Paolo Gallo di Italgas è molto vicino a Giorgia, per non parlare di Giuseppe Bono, ex ad di Fincantieri fatto fuori da Draghi ma in ottimi rapporti con Urso. C’è poi chi scommette su un futuro in prima fila per Giuseppe Lasco, braccio destro di Matteo Del Fante alla Poste, nel caso quest’ultimo dovesse passare ad altri incarichi.

 

E per vicepresidente di Veronafiere Matteo Gelmetti, già candidato con Forza Italia alle recenti amministrative della città scaligera a sostegno del perdente Federico Sboarina, e anche lui uomo vicinissimo al presidente del Copasir.

 

Insomma, sono queste le sfide di Giorgia e gli uomini su cui potrà contare. Da chi sceglierà, da quanto lei sarà capace di resistere alle richieste dei soliti “trombati” eccellenti in cerca di poltrone, si capirà se davvero l’Italia nei prossimi anni è destinata a cambiare.

SERGIO MATTARELLA GIUSEPPE BONO SERGIO MATTARELLA GIUSEPPE BONO

 

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