frankie dettori

FRANKIE, DATTI ALL’IPPICA! - ESCE “LEAP OF FAITH”, L’AUTOBIOGRAFIA DI FRANKIE DETTORI, IL “RE DEI FANTINI” - I SUCCESSI CHE L’HANNO TRASPORTATO SULL’OLIMPO DELL’IPPICA, FACENDOLO DIVENTARE UNO DEI PIÙ GRANDI FANTINI DELLA STORIA – L’INCIDENTE IN AEREO, I PROBLEMI CON LA COCAINA E CON LA BULIMIA, “L’AMICIZIA” CON LA REGINA ELISABETTA (“AVREBBE POTUTO FARE LA COMMENTATRICE IPPICA IN TELEVISIONE”) E LA ROTTURA DEL CONTRATTO DA TOP PLAYER CON LA SCUDERIA DELLO SCEICCO DI DUBAI…

leap of faith frankie dettori

Piero Mei per "il Messaggero"

 

Leap of faith, atto di fede, è il titolo del libro che sta per uscire in Inghilterra, nel quale Dettori racconta Frankie. Le sue forze e le sue debolezze, le vittorie e le cadute, vere le prime, metaforiche e no le seconde.

 

Compresa una con un aeroplano sull'erba di un ippodromo e un'altra con un cedimento alla cocaina che gli costò una lunga squalifica di un moralista mondo sovente tacciato d'immoralità, e la rottura di un contratto da top player con la Godolphin, la scuderia dello sceicco Mohammed, il governante del Dubai attualmente sotto tiro giudiziario nel Regno Unito per le angherie di cui lo accusa la quarta moglie, principessa di Giordania. 

 

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L'atto di fede è forse anche quello dei piccoli scommettitori di tutto il mondo che investono quel poco che risparmiano su di lui, e spesso vanno alla cassa. Ma è anche quello di un ragazzo di 15 anni che il papà Gianfranco, grande fantino anche lui, ma non fu sì forte il padre, spedì ad imparare il mestiere di cavallaro (e cavaliere) in quella specie di università in materia che è la cittadina di Newmarket, nel Suffolk. 

frankie dettori 7

 

Pochi soldi, nessuna parola d'inglese. Le ha imparate poi tutte, tanto da raccontarsi a Boris Starling, il ghostwriter dell'atto di fede (editore Harper&Collins, 20 sterline il prezzo, in uscita domani) e poi a Simon Hattestone, che lo ha raggiunto e intervistato per il Guardian in quel di Newmarket, in una casa piena di coppe e trofei, di palestre da tortura e di animali d'ogni razza, cani, ponies ed asinelli compresi. 

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C'era anche Catherine, la moglie, ed è splendida la risposta alla domanda è facile la vita da moglie di un fantino?: «Sì - ha sorriso Catherine -, non devi mai cucinare niente». Perché Frankie, per ragioni di peso, deve tenersi entro i canonici 54 o pochi grammi di più e dunque pollo e acqua sono il suo pane quotidiano. Pane si fa per dire. 

 

RIVALITÀ 

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C'erano anche nell'aria (e sono nell'Atto di fede) Lester Piggott e la Regina. Che mai sarebbe l'ippica senza questi due? Piggott è stato il più grande fantino di sempre finché non è salito in sella Frankie: Max Allegri direbbe che fra i due c'è un corto muso alla fine della carriera. Piggott la finì a 59 anni, Frankie ne ha 51 e dice che smetterà se obbligato dalla vita o quando nessuno vorrà più affidargli un purosangue, vaffa a quel vecchio bastardo, scherza. 

 

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Di Lester ricorda la proverbiale avarizia, come quando si faceva pagare, e non proprio per scherzo, per un autografo (intascava gli spiccioli), ma anche la loro sportiva rivalità; del resto già c'era stata con papà Gianfranco. Piggott era il fantino favorito della Regina; racconta Frankie che quando lui vinse per la quarta volta la grande corsa intitolata a King George VI and Queen Elizabeth, andò alla premiazione, si inchinò a Sua Maestà e le disse: «E' la mia quarta King George». 

 

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La Regina si congratulò e aggiunse, simpaticamente perfida, «Lester ne ha vinte sette». Era il 2004. Ora anche Frankie, grazie ad Enable che è la sua cavalla preferita in carriera, e che ne ha vinte tre, è a sette. Non ha avuto modo di parlarne con Elisabetta, la quale, è il parere di Dettori, è talmente esperta e appassionata che «avrebbe potuto fare la commentatrice ippica in televisione», meglio di Peter O' Sullivan, una leggenda in materia. 

 

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Frankie pensa con preoccupazione a quando Elisabetta non sarà più negli ippodromi: non che quest' ippica che arricchisce i bookmakers lo entusiasmi troppo. Tanto che gli sta bene, anzi benissimo, che i figli pensino ad altro. Lui pensa a Golden Horn, il cavallo con cui vinse il Derby al ritorno dopo la squalifica («avevo passato 18 mesi in cui mi sentivo un lebbroso») o a Fujiyama Crest, il cavallo con il quale vinse la settima corsa su sette nel giorno del Magnificent Seven, impresa mai uguagliata da un fantino, né ad Ascot dove la fece lui né altrove. 

 

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Saltò giù da cavallo ed inventò un'esultanza che è un brand. Pensa e racconta della bulimia, del suo nemico numero uno, la noia, della sua filosofia di vita che gli suggerisce un eterno non ti sto aspettando perché non c'è tempo da buttar via. E se lo dice lui, che di buttarsi via ha rischiato ma ha saputo rimettersi in piedi e in sella, c'è da credergli.

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