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GAME, SET, MATCH. SIPARIO – LA CARRIERA DI RAFA NADAL POTREBBE ESSERE GIUNTA AL CAPOLINEA A CAUSA DEI DOLORI FISICI - DOPO L’ELIMINAZIONE AGLI OTTAVI DI FINALE A ROMA, IL TENNISTA, NUMERO QUATTRO AL MONDO, NON È RIUSCITO A NASCONDERE L’AMAREZZA: “NON SONO INFORTUNATO, SONO UN GIOCATORE CHE CONVIVE CON UN INFORTUNIO. ERA IMPOSSIBILE PER ME GIOCARE. VIVO PRENDENDO UN SACCO DI ANTIDOLORIFICI SOLO PER ALLENARMI OGNI GIORNO. NON POSSO CONTINUARE COSÌ A LUNGO…”

Benedetto Saccà per "Il Messaggero"

 

Nadal Shapovalov

Sempre difficile è l'arte di saper tramontare nel tempo e nella luce giusti. Alle volte però è semplicemente, naturalmente, drammaticamente il fisico a dettare il tracciato e a indicare il futuro. Rafa Nadal, l'altra sera, ha confidato di dondolare sull'orlo del precipizio del ritiro. Non lo ha detto ma lo pensa, si potrebbe dedurre: perché il corpo urla di dolore e la mente non riesce più a contenere e accogliere le sofferenze. Nel cuore della notte di Roma, dopo l'eliminazione subìta agli ottavi di finale degli Internazionali contro il canadese Denis Shapovalov, il fuoriclasse spagnolo del tennis, quasi 36 anni, numero quattro della terra, ha riannodato il filo dei pensieri e ha imbevuto le parole di sincerità.

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«Verso la metà del secondo set ho sentito un forte dolore al piede», ha cominciato. «Non sono infortunato, sono un giocatore che convive con un infortunio. Non voglio togliere nulla a Shapovalov, merito suo. Ma era impossibile per me giocare. Vedremo come andrà nei prossimi giorni, nelle prossime settimane. Non è un momento facile per me», ha proseguito. Poi ha lasciato che si posasse qualche istante di silenzio. Una smorfia, un gesto nell'aria, forse un'ennesima fitta. Ed ecco le frasi più taglienti, e pesanti, e drammatiche.

 

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«Gioco perché mi rende felice, ma il dolore mi toglie quella felicità. Vivo prendendo un sacco di antidolorifici solo per essere in grado di allenarmi ogni giorno. Non posso continuare così a lungo. Non pretendo di essere in perfette condizioni, spero solo di poter andare in campo. Verrà un giorno in cui la mia testa dirà che basta. Il mio problema è che molti giorni vivo con troppo dolore.

 

Mi piace quello che faccio, ma mi dà un sacco di giorni infelici. È difficile capire il mio giorno per giorno. Non sto cercando di fare la vittima, ma ho quello che ho. Domani mi sveglierò malissimo perché non voglio prendere niente. Vivo con un sacco di farmaci antinfiammatori perché se non lo faccio, non posso allenarmi». Sipario.

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DUBBI E DOMANDE E mentre uno dei maggiori tennisti della galassia medita di lasciare la scena, tanti sono i dubbi e le domande intrecciati allo sport, alla sua capacità di produrre sogni e sofferenze, gioie e sacrifici, giorni di festa e notti di lune nere. Certo, Nadal ha chiesto (e ottenuto) molto, forse troppo nella carriera: e dal corpo, e dalla mente. La muscolatura considerevole e lo stile di gioco diremmo piuttosto dispendioso hanno pesato eccome sul ginocchio, e non soltanto in senso lato. E, del resto, l'infinita epopea dello sport ha spesso raccontato storie di atleti non decisi ma costretti ad abbandonare le gare.

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Ad esempio. Marco van Basten, a soli trent' anni, ha dovuto ritirarsi dal calcio per i continui problemi e interventi alla caviglia. «Correvo, perché non volevo far vedere che zoppicavo, battevo le mani alla gente. E intanto pensavo che non c'ero già più, mi sembrava di essere ospite del mio funerale. Avevo il fegato a pezzi per gli antidolorifici. Avevo un dolore pazzesco a quella caviglia maledetta. Ero disperato», avrebbe confidato qualche tempo dopo. In bilico tra verità e leggenda, si sussurra addirittura che un tifoso si fosse detto disponibile a donare la propria cartilagine pur di non vedere smettere l'olandese. Ma il destino aveva già scelto.

 

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Di Andre Agassi si conosce bene il percorso pazzesco, scavato tra la vetta del mondo del tennis e il fondo di una valle piena di dolori atroci, medicine, massaggi e infiltrazioni di cortisone. «Fa' che finisca presto», ripeteva di continuo. E, infatti, a 36 anni ha salutato e ha cominciato a ricostruire ciò che il tennis aveva sapientemente smantellato; vale a dire la sua integrità fisica. E un cammino simile lo hanno compiuto Roberto Baggio, Carles Puyol e Gabriel Batistuta, che sono stati obbligati dalle proprie ginocchia a rinunciare ai campi di calcio dopo diversi interventi chirurgici. Batistuta ha rivelato di aver perfino rischiato di perdere le gambe per l'eccessiva usura delle caviglie. D'altronde tutto lo sport insegna che se il divertimento sfiorisce, e cede al dolore, e le maniglie non aprono più le porte di una volta, allora finire per ricominciare è l'unico binario sul quale correre.

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