Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera”
Tardelli, nessuno credeva in voi. Perché?
«Perché Bearzot aveva scontentato le due piazze principali. Non aveva portato il centravanti della Roma, Pruzzo, che era capocannoniere, per aspettare Paolo Rossi, che era fermo da due anni. E aveva lasciato a casa il fantasista dell'Inter, Beccalossi».
Tutto lì?
«No. Bearzot non era considerato un tipo simpatico. Non dava molto alla stampa. Ma gli uomini non si valutano dalla simpatia».
Com' era Bearzot?
«Una persona severa. Onesta. Ti parlava con grande sincerità, a volte anche ferendoti».
Quando l'ha ferita?
«A pensarci bene, mai. Al Mondiale in Argentina arrivai dopo una stagione stressante, ero un po' scarico, e quand'è così commetti un errore: tendi a esagerare, per far vedere che ci sei, anziché limitarti alle cose semplici. Così, in un'amichevole di preparazione, Bearzot mi sostituì».
marco tardelli foto di bacco (4)
E lei?
«Gli chiesi se non avesse più fiducia in me. Mi guardò con due occhi che dicevano: sei deficiente? Però, aggiunse, "devi fare quello che dico io: non comportarti da fenomeno; prendi la palla e dalla ai tuoi compagni". Lì ho capito che mi stimava, e mi amava».
Esordio in Spagna: 0-0 con la Polonia.
«Fummo sfortunati. Presi la traversa. Poi però giocammo male sia con il Perù, sia con il Camerun».
Con il Camerun si parlò di una combine.
«A un Mondiale? Non scherziamo».
Quando decideste il silenzio stampa? Come nacque la voce di una storia tra Rossi e Cabrini?
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«Paolo e Antonio giocavano a salutarsi dalla finestra, fingendo di essere moglie e marito, e qualche giornalista si inventò questa stupidaggine. Bearzot si arrabbiò moltissimo: "Cosa penseranno i familiari a casa?". Lui era così, un po' moralista. Ma non fu soltanto per quello che decidemmo di non parlare più».
Per cosa, allora?
«Passato il girone eliminatorio, avemmo un giorno libero. Ci videro in giro con le mogli, e scrissero che non ce lo eravamo meritato. Decidemmo che era troppo. Così scegliemmo il più loquace, perché parlasse per tutti...».
Dino Zoff.
«Riconosco che fu una forma di crudeltà verso i giornalisti. Dino li faceva impazzire. Rispondeva a monosillabi».
E Bearzot?
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«Ci disse: sono un dipendente federale, non posso stare zitto pure io, ma sappiate che sono con voi».
Vi sbloccaste con l'Argentina campione del mondo.
«Ci eravamo tolti la paura di uscire al primo turno. Sapevamo di essere una bella squadra, di potercela giocare con chiunque».
Tre anni prima avevate pareggiato con l'Argentina in amichevole, e Maradona l'aveva marcato lei.
«Sì, di solito mi toccava l'avversario più pericoloso. Ho marcato pure Pelé, in America, e Platini».
Il più forte?
«Platini era il più intelligente: non riuscivi a puntarlo, lui aveva già smistato la palla; così evitava le botte. Maradona teneva palla e ti puntava lui, fino a quando non lo buttavi giù.
Di botte ne ha prese un sacco; ma era fisicamente fortissimo. Il più grande di ogni tempo».
Invece toccò a Gentile marcarlo.
«Ne fui molto sollevato. Claudio fu un po' rude, ma molto efficace».
Si picchiava di più allora?
«Ti ammonivano solo per un fallaccio. Era un calcio più rude, meno Var».
Passarella tirò una gomitata ad Altobelli, e l'arbitro non se ne accorse.
bruno conti abraham klein marco tardelli foto di bacco
«Passarella era un duro. Cattivo, ma in senso agonistico. Poi c'erano quelli cattivi sempre, che entravano per fare male».
Lei com' era?
«Entravo pesante, e non mi lamentavo quando entravano su di me. Però ho sempre mirato il pallone; mai la gamba».
In un Milan-Juve a San Siro la ammonirono dopo cinque secondi, per un'entrata su Rivera.
«Quando lo vedo al circolo del tennis lo prendo in giro ancora adesso: "Ti sei ripreso?
Cammini ancora?"».
Come preparaste la sfida con il Brasile?
«Ci riunimmo tra noi. Parlò Zoff. Parlò Bearzot. Disse: lottate come sapete, e ce la faremo. Poi c'era un massaggiatore molto divertente, si chiamava Sandro Selvi. Ogni mattina ci sorrideva: "Cari ragazzi, l'Argentina la battiamo, il Brasile lo battiamo; poi ci svegliamo tutti sudati».
Invece il Brasile l'avete battuto davvero. E non in sogno.
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«Eravamo in fiducia. Mancava solo una cosa: doveva sbloccarsi Paolo Rossi».
Com' era Paolo Rossi?
«Un ragazzo molto simpatico. Umile. Passava dal sorriso alla tristezza. Ogni tanto lo trovavi sulla nuvoletta; era lì con noi, e nello stesso tempo era sulla sua nuvola. Usciva da due anni terribili, per uno scandalo in cui, ne sono certo, non c'entrava nulla. Li ha vissuti molto male; e se li è portati dentro per tutta la vita».
Eravate amici?
«Mi divertivo con lui. Giocavamo, sorridevamo. Eravamo simili: due toscani un po' permalosi, un po' fumini».
La Polonia in semifinale non faceva più paura.
«La vera paura era prendere sottogamba la partita. Non l'abbiamo fatto».
La finale con la Germania non era così scontata. Il primo tempo finì 0-0, Cabrini sbagliò un rigore.
«Non fu un problema. Forse un po' per Antonio; ma nessuno glielo fece pesare. Eravamo molto sereni. Io un po' meno...».
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Perché?
«Mi ero fatto male con il Brasile, calciando la palla che Rossi aveva deviato in porta per il terzo gol. Temevo uno stiramento; era una sciatalgia, che però non mi faceva correre liberamente».
E allora cos' ha fatto?
«Ho corso. Una finale mondiale quando ti ricapita?».
Marco, stiamo conversando da un'ora, e non abbiamo ancora parlato né della sua storia con Moana Pozzi, né dell'urlo di Tardelli.
«Parliamo dell'urlo. Fu gioia, fu ribellione, fu rabbia».
Cosa pensò dopo il gol del 2-0?
«Mi passò davanti tutta la mia vita. Almeno tutta la carriera calcistica. Subito ho pensato a mio padre. Un uomo buono, ma severo. Ho pensato ai miei tre fratelli, tutti fortissimi, che però non avevano potuto giocare a pallone».
Perché?
«Fu una cosa abbastanza drammatica. Nostro padre non voleva: li ha fatti diplomare tutti, dovevano avere un lavoro sicuro, il posto fisso».
Famiglia popolare.
«Come tante. Radici contadine. Papà operaio all'Anas, mamma casalinga. Mangiavamo bene: mio padre coltivava un campo, ci portava in tavola cose sane. Ho avuto un'infanzia felice».
Ma non il posto fisso.
«Ho preso il diploma da geometra, però.
D'estate arrotondavo facendo il cameriere al Ciocco, dove andava in ritiro il Napoli: Juliano, Cané, Altafini. E Zoff. Una volta gli portai il caffè».
E a vent' anni divenne suo compagno nella Juve.
«Glielo ricordai subito. Eravamo a tavola. Lui si alzò in piedi e disse: ragazzi, abbiamo appena comprato un cameriere!».
Pagato un miliardo, cifra allora enorme.
TARDELLI 1982 una storia azzurra
«Me la tiravo un po'. Boniperti mi vide e mi disse: "Come sta Tardelli? Ora lei va a tagliarsi i capelli, si toglie la catenina, si leva il braccialetto. Poi torna qui».
E lei?
«Mi tagliai i capelli, tolsi la catenina, levai il braccialetto. E capii cos' era la Juve».
Di Boniperti si racconta che arrivasse a Villar Perosa con il contratto già pronto, la cifra già scritta. Voi dovevate solo firmare.
«Questa è un po' una leggenda. La cifra si discuteva, si concordava. È vero: non era molto alta. Ma se vincevi arrivavi a guadagnare il triplo. Capitava che dovessimo incontrare la squadra di un presidente che a Boniperti era antipatico, e lui entrasse negli spogliatoi: ragazzi, oggi, se vinciamo, superpremio...».
vito cozzoli marco tardelli foto di bacco
Quali presidenti gli stavano antipatici?
«Nessuno a priori: quelli che magari in settimana avevano detto di voler andare a Torino a vincere. Una volta poteva essere Viola della Roma, un'altra Farina del Milan... Boniperti era un signore; ma allora la partita diventava una guerra».
Cosa votava Tardelli nella Prima Repubblica?
«Partito comunista».
Gli sportivi di sinistra sono rari.
«Non è detto. È un ambiente in cui di politica si parla poco. Ma io ero figlio di un operaio, sono cresciuto tra operai. Anche se mio padre era cattolico. Ho imparato a giocare a pallone in oratorio».
Lei ha fede?
marco tardelli, myrta merlino e mara venier
«È un mio cruccio: prego, vado in chiesa; ma purtroppo solo quando ne ho bisogno».
E lei durante l'urlo ha pensato a tutte queste cose?
«È durato sette secondi, con i compagni che cercavano invano di acchiapparmi...».
È vero che i compagni andava a disturbarli, quando in ritiro non riusciva a dormire?
«Entravo nelle stanze. Parlavo, parlavo... All'inizio andavo da Zoff e Scirea. Poi si stufarono di me e chiusero a chiave. Così andavo da Bearzot».
E Bearzot?
«Mi ascoltava, mi calmava, mi faceva sentire il jazz. Poi si addormentava».
E lei?
«Tornavo in camera mia a leggere».
Cosa leggeva Tardelli durante il Mundial?
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«Cent' anni di solitudine di García Márquez».
Oggi in un ritiro di calciatori un libro è più introvabile di un liocorno.
«Non è detto. E poi Márquez è senza tempo. Lo consiglio ai giovani colleghi. Potrebbe essere stato scritto secoli fa; e sembra scritto ieri».
Pochi ricordano che l'urlo di Tardelli ha un precedente: il gol in spaccata all'Inghilterra, a Torino, agli Europei dell'80.
«Lì avevo più spazio per correre: feci tutta la pista di atletica del Comunale».
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La «Gazzetta» mise la sua foto con il titolo: «Non è Mennea».
«Al Bernabeu invece i compagni finirono per afferrarmi. Ma io pensai che ormai avevo dimostrato ai miei genitori quel che sapevo fare».
Poi quasi tutti si tuffarono nella notte di Madrid.
«Io no. Tirai l'alba in albergo, a chiacchierare con Scirea e Cabrini. Per ultimo arrivò Zoff. Fu molto bello, e molto malinconico».
Perché malinconico?
«Perché il sogno si era realizzato. Ed era finita l'avventura più bella della nostra vita. Vinto un Mondiale, cosa puoi fare? Vincerne un altro è molto difficile».
E a Messico '86 Bearzot non la fece giocare.
«Avevo la pubalgia. Mi risparmiò per la fase finale. Solo che non ci arrivammo, uscimmo agli ottavi con la Francia di Platini».
Quando avete realizzato cos' era successo davvero, quarant' anni fa, in Spagna?
PAOLO ROSSI MARCO TARDELLI ANTONIO CABRINI GAETANO SCIREA MICHEL PLATINI
«Solo al ritorno in Italia. Gente dappertutto, all'aeroporto, per strada. Erano anni in cui a Roma se entravi in un quartiere nero vestito da rosso, o viceversa, ti potevano ammazzare. Noi tra il rosso e il nero abbiamo infilato l'azzurro».
Come fu Pertini?
«Bellissimo. Un partigiano tra noi. Ci diede una grossa mano: era simpatico, attento. Nacque un'amicizia con Bearzot: entrambi fumavano la pipa, discutevano di tabacco. Oggi la pipa non la fuma più nessuno...».
marco tardelli fa volare wolfgang dremmler
Lei non fuma?
«Da calciatore fumavo sigarette nel mese di vacanza; poi smettevo. Ora solo sigari». Pertini, Bearzot, Scirea, Rossi non ci sono più.
«E neppure Maldini, Vantaggiato, De Gaudio. Eppure, nel più smemorato dei Paesi, ancora adesso ci si ricorda dell'estate in cui eravamo campioni del mondo».
renato zero saluta marco tardelli foto di bacco (3) marco tardelli e myrta merlino tagliano la torta foto di bacco tardelli myrta tardelli bot veltroni tardelli tardelli trapattoni tardelli juve tardelli tardelli 4 tardelli 2 bearzot scirea zoff la parata su oscar la partita by trellini zoff soldati la partita by trellini agnelli boniperti tardelli urlo tardelli tardelli 13 italia brasile 1982 zoff tardelli 17 juventus tardelli tardelli 3 tardelli moana marco tardelli luca marchegiani foto di bacco myrta merlino marco tardelli foto di bacco (2) fausto bertinotti marco tardelli foto di bacco marco tardelli bruno tommasini foto di bacco marco tardelli myrta merlino foto di bacco (2) marco tardelli pietro valsecchi foto di bacco maurizio gasparri e marco tardelli con la tessera del tifoso romanista gasparri foto di bacco