Elvira Serra per il "Corriere della Sera"
Il primo amore non si scorda mai. E anche se l'ha «soffiato» alla sorella, di quell'epoca ricorda corse spericolate e slanci senza freni. Aveva sei anni. E Rebecca Busi, bolognese di Camignano, stava sperimentando con ammirevole precocità cosa significhi mettersi alla guida della propria vita: con un'automobilina elettrica. «Mio padre l'aveva regalata a mia sorella, Rachele, ma a lei non piaceva quanto a me», racconta la venticinquenne, che sta per diventare la più giovane pilota donna della prossima Dakar, dal primo al 14 gennaio in Arabia Saudita.
«Ho investito tutto su di me per questa gara. Sono in ansia e soprattutto non voglio deludere il mio papà, Roberto. Anche perché è l'unico sponsor!». Rebecca si era già iscritta a un master di International Business a Barcellona quando si è creata l'opportunità che aspettava da tempo.
«Sognavo di fare un rally, ma mio padre non era d'accordo. Finché, vedendomi determinata, non ha posto come unica condizione che gareggiassi con un copilota proprietario dell'auto e anche meccanico. In due parole: Roberto Musi. Così lo contattai, ma si era già organizzato. Poi alla fine di questa estate ho visto su Facebook che il pilota con cui avrebbe dovuto fare la Dakar si era ritirato per problemi familiari e allora mi sono fatta avanti io», spiega dalla casa dei genitori a Camignano, dove è tornata anticipando la fine delle lezioni in Spagna per non rischiare di prendere il Covid.
Prosegue: «Questa passione, in realtà, la devo a mio padre, che ha sempre fatto motorally, tra cui tre Rally dei Faraoni. Ne ricordo uno, quando avevo otto anni, in cui lo attesi al traguardo, in Egitto. La Parigi-Dakar era il suo sogno. Adesso sarò io a portarlo in Arabia, dove lui mi seguirà sulla macchina dell'assistenza». E non la spaventa esordire con un'impresa così difficile. «Per partecipare a sconosciuti rally minori di tre giorni, in Italia o in Spagna, avrei dovuto spendere 13 mila euro. Ho preferito investire su quello che avrebbe avuto maggior visibilità».
Dai tempi in cui sgommava con l'auto elettrica a oggi non ha guidato solo utilitarie. «Per i 18 anni avevo chiesto l'auto dei miei sogni: un'Audi S1. Oggi ho un'Audi TT. Mio padre e mio zio collezionano moto e auto e sono cresciuta nel loro garage: la mia preferita è una Lancia Delta Final Edition». A 18 anni ha cominciato con il kart. «Ma il mio sogno restava il rally». Si è appassionata anche alla Formula 1, da spettatrice: «Il mio mito è Hamilton, ma quest' anno non ho potuto non tifare anche per Verstappen».
Mentre nei rally Nasser Al-Attiyah non ha rivali: «L'ho conosciuto ed è una persona davvero gentile e umile». Alla Dakar gareggerà con una Range Rover 3.900 a benzina. «Per prepararci, con il mio navigatore siamo stati per quasi dieci giorni nel deserto del Marocco, alla fine di ottobre. Adesso mi alleno tre volte alla settimana in palestra, faccio due sessioni di corsa, non bevo alcol, ho limitato i dolci, non mangio cibo spazzatura».
La sua famiglia ha un'impresa di articoli religiosi, ma a bordo Rebecca pensa di portare un cornetto: «Non si sa mai». Mentre il casco, arcobaleno come quello di Lewis Hamilton, sarà una precisa dichiarazione di intenti: «Voglio mandare un messaggio contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne. Vorrei dire che ce la possono fare anche loro, così come io sono riuscita ad arrivare alla Dakar. Ha presente il discorso di Elodie a Sanremo quando dice che non bisogna sentirsi all'altezza delle cose, ma bisogna avere il coraggio di cominciare poi ci si aggiusta in corsa? È stato così anche per me».
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