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QUANTI ERRORI DIETRO UN TRACOLLO - PAOLO CONDÒ SULLA DISFATTA AZZURRA: “IL RISULTATO DI LUGLIO SI SPIEGAVA ANCHE COL TEMPO DI ASSEMBLAGGIO, MA LA LEGA NON HA RITENUTO NECESSARIO RINVIARE LA 30ª GIORNATA” - “UN ALTRO TEMA? LA PRINCIPALE RIFORMA DEL DOPO-SVEZIA ERA STATA L'ISTITUZIONE DELLE SECONDE SQUADRE, MA SOLO LA JUVE CI HA INVESTITO SOLDI USANDOLA COME VEICOLO DI PLUSVALENZE ANZICHÉ DI TALENTI” - “L'UNICO AZZURRO CHE ABBIA MIGLIORATO IL PROPRIO STATUS DOPO IL BRILLANTE EUROPEO È STATO LOCATELLI, PASSATO DAL SASSUOLO ALLA JUVENTUS, GLI ALTRI...”

Paolo Condò per “la Repubblica

 

PAOLO CONDO'

Un fallimento così fragoroso come la seconda esclusione consecutiva dal Mondiale si deve a molte concause e si compone di mille frammenti. La difficoltà dell'analisi consiste proprio in questo: la quantità di situazioni che sono girate male consente qualsiasi obiezione (la più facile: se Jorginho avesse trasformato il rigore con la Svizzera dell'Olimpico), e sono quasi tutte fondate perché in molti casi sarebbe bastato l'esito diverso di un singolo episodio per cambiare l'intero scenario.

 

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Ricordate la scena chiave di Match Point di Woody Allen? Ecco. Restando a Jorginho, da giovedì sera non mi abbandona l'immagine di lui che si ferma invocando un inesistente tocco di braccio di Trajkovski, e così facendo perde il tempo necessario per opporsi al diagonale vincente del macedone.

 

Una protesta puerile che al limite t'aspetti da un piagnone del campionato italiano, non da un protagonista della virile Premier League (e sì, se volete leggerci un personale mal di pancia per averlo votato al Pallone d'oro siete autorizzati: non per i rigori, che tutti possono sbagliare, ma per quella ricerca dell'aiutino arbitrale che nessun vero campione si sarebbe concesso).

 

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L'analisi dei singoli episodi risulta dunque fuorviante. Per spiegare questo disastro occorre guardare allo scenario complessivo, a quell'insieme di accorgimenti che avrebbero dovuto costituire una rete di sicurezza per la Nazionale, e che non sono stati allestiti.

 

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Anche in questo caso, presi uno per uno ti fanno dire "ma per così poco non sarebbe cambiato niente": ma è appunto la somma dei piccoli fattori mancanti ad aver trasformato l'addizione del posto mondiale al titolo europeo in un'amara sottrazione.

 

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La ragione di fondo che tutto contiene e che a tutto risponde è la mancata comprensione, da parte delle varie componenti del nostro calcio - Lega di A in primis - che in tempi di crisi e povertà dei club come questi la Nazionale di Wembley era stata una favolosa opportunità per l'intero movimento.

 

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Un capolavoro del ct Roberto Mancini - non un miracolo, concetto offensivo verso chi ha costruito così tanto e così bene, ma un capolavoro - che all'Europeo ha creato una squadra il cui valore era molto superiore alla somma dei suoi elementi: ci era riuscito sfruttando il lasso di tempo (neanche enorme) a sua disposizione prima della gara inaugurale.

 

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Aveva convinto i suoi azzurri - qualche campione, molti buoni giocatori, alcuni giovani in rampa di lancio - che le ragioni dello stare assieme e del sostenersi l'un l'altro potevano contenere non soltanto educazione, ma anche ambizione.

 

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E ogni tessera del mosaico era andata al suo posto: l'11 luglio l'Italia giocò a Wembley la finale in casa della sua rivale, restando in piedi malgrado il gol a freddo subito e lasciandosi preferire già nei 90'. Ci vuole un coraggio da leoni per uscire così dall'angolo, a Palermo - soltanto otto mesi dopo - ne sarebbe bastato dieci volte meno.

 

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Ma nessuno aveva capito che il risultato di luglio si spiegava anche col tempo di assemblaggio, e così la Lega non ha ritenuto necessario rinviare la 30ª giornata. E questo dopo aver rifiutato in estate di anticipare di una settimana l'inizio del campionato, come chiesto da Mancini per arrivare con una gamba già rodata al match con la Bulgaria: da quel pareggio è iniziata la corsa a handicap che si è conclusa con la frana di Palermo.

 

Intendiamoci: i club perseguono quelli che ritengono essere i loro interessi, e non sono criticabili per questo. Sono criticabili per non aver capito che il bene comune - in questo caso la Nazionale - sarebbe andato anche a loro vantaggio: sono anni che importiamo stranieri vecchi e bolsi che non ci aiutano a superare il livello basic delle coppe.

 

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L'Italia di Mancini serviva per alimentare la passione delle giovani generazioni - quelle che Andrea Agnelli teme sempre di perdere - in attesa di tempi migliori. L'Inter sta seguendo fino allo sfinimento il percorso legale per rimandare il più tardi possibile il recupero col Bologna, in modo da affrontarlo quando le sue motivazioni saranno bassissime.

 

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È legale, lo ripetiamo: ma la quantità di recuperi da calendarizzare (non c'è solo l'Inter, anche se con Barella e Bastoni è la fornitrice azzurra più rilevante) non ha certo aiutato la sospensione della giornata in questione.

 

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Come non ha aiutato l'ufficializzazione all'1 giugno di Italia-Argentina, la "Finalissima" tra campioni d'Europa e del Sudamerica, e immaginate con quale entusiasmo verrà giocata. L'1 giugno sarebbe stata una data estrema ma utile per disputare la giornata sospesa; la Federcalcio avrebbe dovuto chiedere alla Fifa di fissare la gara con l'Argentina a playoff conclusi. Non era certo una priorità.

 

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Un altro tema? La principale riforma del dopo-Svezia, anno di grazia 2017, era stata l'istituzione delle seconde squadre. Peccato che al dunque soltanto la Juve abbia accettato di investirci dei soldi, e peccato che la stessa Juve l'abbia poi usata come veicolo di plusvalenze anziché di talenti da svezzare lì per poi promuoverli in prima squadra.

 

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Un altro tema ancora? L'unico azzurro che abbia migliorato il proprio status dopo il brillante Europeo è stato Locatelli, passato dal Sassuolo alla Juventus. Per un aumento di stipendio neanche eccezionale Donnarumma si è rovinato la vita: ha abbandonato la solidità del progetto Milan per entrare nel caravanserraglio parigino senza nemmeno la certezza del posto da titolare.

 

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Emerson Palmieri è sceso dal Chelsea al Lione e giovedì era irriconoscibile. Gli altri sono rimasti lì, compresi quelli che non giocano le coppe, e almeno per Domenico Berardi questa è stata una disdetta, perché a 27 anni non esiste che un talento simile non abbia mai giocato una partita di Champions.

 

Su sollecitazione di Pioli il Milan l'aveva chiesto, fermandosi davanti alla valutazione elevata datagli dal Sassuolo. Ciascuno ha fatto legittimamente i suoi interessi, anche questa come le altre è una storia senza colpevoli. C'è soltanto una vittima.

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