VIDEO! “PIOLI IS ON FIRE” – DIETRO L’IMPRESA DEL MILAN LA MANO DI UN "NORMAL ONE" DELLA PANCHINA CHE DUE ANNI FA STAVA PER ESSERE SOSTITUITO DAL SANTONE RANGNICK – “E’ IL GIORNO PIU’ BELLO DELLA MIA VITA. LE TRE IMMAGINI DI QUESTA STAGIONE? LA VITTORIA NEL DERBY, QUELLA CONTRO LA LAZIO E I DISCORSI DI IBRAHIMOVI E KJAER ALLA SQUADRA. I LUOGHI COMUNI SU DI ME CI STAVANO TUTTI, MA…” – VIDEO

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Elia Pagnoni per “il Giornale”

 

pioli milan pioli milan

Dal Sassuolo al Sassuolo: che strane le storie del calcio. Al Mapei di Reggio Emilia, a due passi dalla sua Parma, Stefano Pioli ha potuto festeggiare il suo primo grande trionfo da allenatore, proprio nello stadio dove due anni fa, il 20 luglio del 2020, nel campionato della pandemia, è nato di fatto questo scudetto.

 

Già, perché la vera svolta di questo Milan ritrovato, è riconducibile a quella serata in cui divenne di dominio pubblico la rottura tra il club di Elliott e il professor Rangnick, il vate del calcio tedesco seguace di Sacchi e di Zeman, che stava per irrompere nella storia del Milan. In quella notte invece il Milan evitò di consegnarsi all'allenatore plenipotenziario, che per prima cosa avrebbe sacrificato Ibrahimovic e Kjaer e costretto all'addio anche Paolo Maldini, per confermare la fiducia a Stefano Pioli, che stava lentamente ricostruendo una squadra sulle ceneri di un lungo periodo in cui il Diavolo non era mai andato più su del 5° posto.

 

 

Pioli arriva al Milan all'ottava giornata del '19-20 con l'immagine del normalizzatore, dopo l'esperimento innovativo ma fallito di Marco Giampaolo: il nuovo Milan di Gazidis, Boban e Maldini aveva capito che serviva qualcuno che trasmettesse alla squadra la grammatica del gioco, niente di più. Quindi l'ex allenatore di Lazio, Inter e Fiorentina può essere l'uomo giusto, magari il traghettatore ideale in attesa di uno alla Rangnick.

 

E l'immagine del traghettatore si consolida dopo poche giornate e qualche sconfitta di troppo (Roma, Lazio, Juve) fino al tracollo di Natale a Bergamo, quel 5-0 che potrebbe essere il punto più basso della gestione Pioli, se non fosse perché ai primi di marzo arriva una sconfitta interna col Genoa che sta per segnare la sua definitiva condanna.

 

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A cambiare la storia arriva però la pandemia, perché dopo quell'imbarazzante 8 marzo, il Milan torna in campo solo a fine giugno. Ed è un altro Milan, rinato, trasformato, rilanciato dal lavoro che Pioli ha fatto soprattutto sulla testa dei giocatori, di una squadra giovane che aveva solo bisogno di trovare serenità, magari proprio giocando in un San Siro vuoto.

 

Arrivano le vittorie e le grandi rivincite, proprio contro Roma, Lazio e Juve, battuta 4-2: dopo la sosta per il virus il Milan è la miglior squadra del campionato e al Portello cominciano a capire che forse Pioli può essere la persona giusta per costruire il futuro. E così avviene, perché questo tecnico riesce a resistere a tutto, persino alla certezza di dover lasciare il posto a Rangnick.

 

Ma lui non si scompone mai, perché il miglior pregio del normalizzatore è quello di essere proprio una persona normale in un mondo di istrioni e di esagitati.

 

Un normal one da contrapporre allo special one, un signore dai modi gentili, mai sopra le righe, che a Milanello vedono come una riedizione di un Ancelotti o di un Liedholm, tanto per citare due allenatori che hanno fatto la storia senza mai alzare la voce.

 

Pioli è sempre rimasto al suo posto, accettando tutti i risultati, senza mai lamentarsi nemmeno quando si è visto sfilare una vittoria sofferta da un incredibile abbaglio arbitrale, certificato dallo stesso fischietto che si è sentito costretto a scusarsi. Non ha mai cercato scuse, nemmeno quando si è trovato senza uomini fondamentali come l'Ibra dimezzato o Maignan e Kjaer, quest' ultimo fuori per metà campionato.

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Nel mondo degli urlatori di bordo campo, dei fenomeni che trovano sempre un arbitro o un calendario a cui addossare le colpe delle loro sconfitte, Pioli ci ha sempre messo la faccia. Forse anche per questo non riesce ad essere una figura divisiva nel mondo sguaiato del pallone. Una dote che lo accomuna, guarda caso, all'uomo che gli ha conteso lo scudetto fino in fondo, quel Simone Inzaghi che ha normalizzato l'altra panchina di Milano. Senza alzare mai i toni di una sfida che non si vedeva da anni.

 

2 - LA RIVINCITA DI PIOLI CONTRO I LUOGHI COMUNI "È IL GIORNO PIÙ BELLO"

Matteo De Santis per “La Stampa”

 

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A trenta chilometri da casa, a precisa chiusura di un tragitto che sembra la quadratura di tanti cerchi. L'appuntamento con il destino, l'attimo fuggente che cambia tutto, non poteva che arrivare sulla Via Emilia, calcata in lungo e in largo da allenatore tra Bologna, Parma, Modena, Sassuolo e Piacenza, e nello stesso stadio dove quasi due anni fa il Milan targato Elliott, ascoltando i pareri del duo Maldini-Massara e dei grandi elettori dello spogliatoio (Ibra in testa), gettò le basi per quello che è successo ieri.

 

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Al Mapei Stadium, il teatro di prosa che il 21 luglio il 2020 ospitò il pubblico ripensamento sullo sbarco del già opzionato Rangnick e la conferma pluriennale di quello che doveva essere solo un traghettatore poco più che semestrale, Stefano Pioli si è preso quasi a domicilio, a un tiro di schioppo dalla sua Parma, il primo scudetto da tecnico. «Il giorno più bello della mia vita. Ho mandato un messaggio a mia madre: "Finalmente ho vinto qualcosa". Ma la dedica è per mio padre, sono sicuro che, ovunque sia, sarà orgoglioso e felice per me", il primo pensiero dell'allenatore campione d'Italia.

 

Una gioia assaporata solo una volta da calciatore, neanche troppo protagonista, alla Juventus, nell'anno di grazia 1986 alle dipendenze di Trapattoni, ma che da tecnico, dopo 23 anni di carriera e un bel po' di gavetta, ha tutto un altro gusto e un altro peso. «Nei festeggiamenti, tra un abbraccio e un altro, mi sono ritrovato senza medaglia al collo», la battuta, dopo aver ballato come sulle note del motivetto "Pioli' s on fire", partorito con la squadra sulle note di "Freed from Desire" di Gala durante un trasferimento in pullman.

 

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La colonna sonora della rivincita che ora risuona nelle orecchie di chi non lo riteneva un allenatore da titolo, non da Milan, sminuendo anche le gemme raccolte nel recente passato di un terzo posto conquistato con la Lazio (con approdo al playoff di Champions League) e delle sei vittorie di fila con la Fiorentina sconvolta dalla morte di Davide Astori. «I luoghi comuni su di me ci stavano tutti, ma io non mi sono mai sentito così apprezzato come nell'ambiente Milan e questo mi ha permesso di dare tutto a me stesso ai giocatori», il pensierino sul perché si è rivelato l'uomo giusto, per scelta di Maldini e Massara, al posto giusto, nel momento giusto, dopo l'esonero di Giampaolo, e tra mille scetticismi.

 

Il tecnico arrivato a Milanello quasi per caso, soprattutto perché Spalletti e l'Inter non trovarono la quadra sui numeri della buonuscita, riavvolge il nastro del film di uno scudetto che non passerà inosservato: il primo con Stefano Pioli in panchina, il primo di un fondo d'investimento al timone di un club e il primo del Milan dopo l'epopea berlusconiana. «Siamo stati più continui dell'Inter.

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L'ultima sconfitta è stata anche il momento più brutto della stagione, quando con lo Spezia abbiamo perso una partita che non dovevamo perdere. Ma la squadra non ha mai mollato e i giocatori, anche quelli che hanno giocato di meno, ci hanno sempre creduto. La svolta è arrivata nel derby, ma anche con la vittoria all'ultimo minuto con la Lazio». La felicità della prima volta si è consumata a trenta chilometri da casa. -

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