idoli sacri

SE DIO, NELL’IMMAGINARIO RELIGIOSO, FOSSE STATO UNA DONNA LO SVILUPPO DELLA CIVILTÀ SAREBBE STATO DIVERSO? - LE DIVINITÀ PRIMITIVE SI RICHIAMAVANO ALLA “GRANDE MADRE” E LE LORO RAPPRESENTAZIONI SACRE AVEVANO FATTEZZE FEMMINILI, CON FORME GENEROSE E MATERNE - LA MOSTRA “IDOLI” A PALAZZO LOREDAN A VENEZIA

Pierluigi Panza per “Liberi Tutti - Corriere della Sera”

 

la mostra sugli idoli sacri a palazzo loredan

E se Dio padre, anziché padre, fosse stato Dio madre? Venerare una Genitrice, materna e sinuosa, anziché un Dio guerriero, che colpisce con fulmini e saette, avrebbe forse giovato, o gioverebbe, allo sviluppo della civiltà e del singolo individuo?

 

A dire il vero, l'ipotesi che Dio, padre di tutte le religioni monoteistiche, fosse stato in origine madre, non sarebbe l'ultima, estrema rivendicazione del femminismo contemporaneo, lo sfondamento definitivo del soffitto di cristallo. No. Tale ipotesi iniziò a delinearsi nella cultura europea dopo la scoperta delle prime Veneri paleolitiche e neolitiche ed è destinata ad accrescersi con la visita alla mostra Idoli.

 

Il potere dell'immagine esposta a Palazzo Loredan a Venezia (fino al 20 gennaio). Questa ipotesi rivoluzionaria dev' essere frullata in testa anche al collezionista, studioso e straordinario esploratore Giancarlo Ligabue (1931-2015), che si mise a raccogliere per il mondo statuette delle primitive divinità, ora esposte nella mostra promossa dalla Fondazione Ligabue e curata da Annie Caubet, conservatrice onoraria del Louvre.

la mostra sugli idoli sacri a palazzo loredan 7

 

«Il tipo più antico esposto in mostra - racconta la specialista - è la cosiddetta figura della Grande Madre ereditata dalla tradizione neolitica. Nuda e sontuosamente voluttuosa, occupò da sola lo scenario iconografico di gran parte del mondo antico fino all' arrivo di nuove immagini alla fine del IV millennio».

 

Solo dopo, più tardi, Dio si infilò i pantaloni e incominciò a essere qualcosa di più vicino a ciò che «conosciamo»: una saetta, un occhio, un triangolo all' insù o il volto barbuto che Michelangelo affrescò sulla volta della Cappella Sistina. Ma intorno al 3000 a.C., quando la rivoluzione agricola sfocia in rivoluzione urbana, quando si è da tempo passati da un uomo cacciatore a una civiltà stanziale basata sul raccolto, sono le dee dai grandi seni e dai fianchi ben torniti, oppure figure androgine più stilizzate (il contrasto tra queste due espressione si nota in aree come la Sardegna o le Cicladi) a comandare.

 

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Di Dio Padre neanche l' ombra. Così testimoniano le cento divinità raccolte in mostra dalla Fondazione Ligabue, figure di culto diffuse in un arco di tempo che va almeno dal 4000 al 2000 a.C. Provengono da importanti musei come l' Ashmolean di Oxford, il Musées Royaux d' Art di Bruxelles e quelli archeologici di Zurigo, Madrid, Cagliari Uno degli aspetti che colpisce osservando queste Dee femmine è come in aree del mondo lontanissime si affermino espressioni figurative anche molto simili e si ritrovino statuette devozionali realizzate con materiali giunti da zone lontane tra loro: l'ossidiana della Sardegna e dell' Anatolia, i lapislazzuli dell' Afghanistan, l' avorio ottenuto dalle zanne degli elefanti del Levante... Bisogna tuttavia considerare che l' Homo Sapiens iniziò le sue migrazioni dal 70 mila a.C. e qualche gene espressivo dev' essere circolato per i continenti.

 

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Dopo queste Dee madri primitive, la Dea genitrice è ancora presente nelle religioni politeiste più antiche, come la dea Nut (il cielo) dell' Antico Egitto, sotto il cui ventre stellato trova riparo il maschio Geb (la terra). La leggenda narra che Geb e Nut fossero in origine uniti, fino a quando Amon Ra, contrariato per questa unione, ordinò di dividerli creando uno spazio (l' aria) tra cielo e terra.

 

La psicoanalista junghiana Jean S. Bolen nel libro Le dee dentro la donna (1984) descrive i principali aspetti della psicologia femminile rifacendosi alle sette divinità femminili dell' antica Grecia: «Ogni dea rappresenta una tipologia diversa di donna», scrive. Gli archetipi rappresentati dalle divinità sarebbero presenti in ciascuna donna in fasi e momenti diversi della vita. La dea Demetra, ad esempio, sarebbe l' archetipo della madre; la dea Era, l' archetipo della moglie; e Persefone, l' archetipo della figlia. Ma è chiaro che quando nascono questi riferimenti archetipici alle divinità femminili ci troviamo in un' epoca già patriarcale, quindi di «dee vulnerabili» - come le definisce la studiosa -, che vivono in una situazione di sottomissione rispetto al Dio maschio.

la mostra sugli idoli sacri a palazzo loredan 4

 

Queste «dee vulnerabili» rispecchiano già ruoli femminili che diventeranno tradizionali, che dominano la vita psichica delle donne il cui benessere e senso di identità dipenderebbe dalla presenza nella loro vita di una relazione significativa.

 

Le statuette dell' età paleolitica e neolitica ci pongono, invece, in uno spazio pre-archetipico rispetto a quello della psicologia junghiana, dove le dee Madri o le Veneri steatopige, spesso stilizzate, esprimono l' intero ciclo di nascita-sviluppo-maturità-declino-morte, generazione e rigenerazione che caratterizza le vite umane e i cicli naturali. Sono divinità forti. E siccome il ciclo naturale delle messi implica morte e rinascita del seme, le dee Madri sono spesso connesse ai culti legati al ciclo della luna.

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Questo universo animistico possedeva anche figure maschili, ma inizialmente plurime o collettive (come i «Dattili di Samotracia», figli di Rea, la Terra), quasi indistinte. Tanto che nella loro progressiva personificazione nelle civiltà agricole avanzate gli dei maschili vengono chiamati spesso genericamente «figli della dea».

 

Di certo la figura del Dio femmina è sempre quella di una dea genitrice: le dee single per scelta e non madri arriveranno quando il potere appare già in mani maschili. Infatti per Erich Neumann, allievo di Jung, la Grande Madre tende a non consentire autonome differenziazioni rappresentando di fatto un ostacolo allo sviluppo del Sé e quindi alla conquista di una propria parte femminile.

 

C' è anche un secondo aspetto ricorrente in parte nelle divinità esposte nella mostra Idoli che si svolge nel palazzo dell' Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti: è quello dell' ambiguità sessuale. Molte di queste statuette paleolitiche e neolitiche sembrano idoli devozionali transgender: figure femminili androgine, con presenza contemporanea di organi sessuali maschili e femminili, fallo e ventre insieme... Solo in una fase più avanzata le dee Madri, gli idoli più astratti o geometrici e queste divinità di forte ambiguità sessuale lasceranno il posto a nuovi dei creati sulla base dell' imitazione degli individui. E qui Dio diventa, progressivamente, maschio.

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«L'identità delle prime figure antropomorfe - afferma Annie Caubet - rimane, a dir poco, ambigua. Gli studiosi sono concordi nell' interpretare le statuette femminili come espressione di concetti cosmici e metafisici collegati alla vita, alla morte o al ciclo della natura. Anche le prime immagini di guerrieri con balteo e daga provenienti dall' Arabia o dalle Cicladi erano ambigue in termini di identità».

 

Cosa significa tutto ciò per il presente? Meglio evitare le banalizzazioni delle teorie dei queer o l' affannosa ricerca di una genealogia LGBT, sebbene si trovino molte figure di divinità omosessuali (anche in Cina, Giappone, India) o divinità che cambiano identità sessuale nel corso degli avvenimenti. Il tema dell' ermafrodita, ed esempio, è quello che più resiste passando dal neolitico all' età antica perseverando come soggetto artistico anche in quella cristiana, vedi Bernini. Miti e riti agiscono non su un piano individuale ma simbolico e a questo l' età «fluida» può conferire nuova importanza.

la mostra sugli idoli sacri a palazzo loredan

 

L'autunno veneziano, dopo il Festival del cinema, metterà dunque in mostra un mondo di divinità fluide e di profonda ambiguità sessuale, come l'Idolo con corpo a disco tipo Kultepe che è, al tempo stesso, gravido, androgino e itifallico.

 

E metterà in mostra l' universo delle dee Madri, come la splendida Venere Ligabue della Civiltà dell' Oxus, Asia Centrale in calcare e clorite. Repubblica liquida per eccellenza, fondata sul mare e ad esso sposata, solo Venezia poteva avventurarsi nella «società liquida» del neolitico, che va dalla Penisola Iberica alla Valle dell' Indo. Vasta quanto le terre con le quali Venezia commerciava e tanto profonda da parlarci ancora.

 

 

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