BERLINO BARBARA - PARLA IL NOBEL PAUL KRUGMAN: “I TEDESCHI DICONO IN MODO SINCERO COSE FALSE” - MONTI, HOLLANDE, RAJOY POSSONO FARE QUALCOSA, MA NON FARE MOLTO. L’UNICA ARMA CHE HANNO È ANDARE A BERLINO E DIRE: QUESTO È IL PIANO PER SALVARE L’EURO, SE LO ACCETTATE BENE, ALTRIMENTI CROLLA TUTTO” - LA FORMULA SALVEZZA: “SPENDERE ORA, PAGARE DOPO”.…

Mattia Ferraresi per "il Foglio"

La conversazione del Foglio con Paul Krugman parte da quella volta in cui il columnist del New York Times ha assistito a un discorso del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble. Nel mezzo della prolusione la moglie del professore di Princeton, l'economista Robin Wells, gli s'è avvicinata all'orecchio e ha sussurrato: "All'uscita distribuiranno delle fruste per autoflagellarci". La ponderata esposizione del ministro si era improvvisamente trasformata in un sermone costruito sull'idea che la crisi fosse una colpa ineluttabile da espiare necessariamente con il cilicio dell'austerità.

In tedesco, del resto, il termine "Schuld" significa debito, ma anche colpa. Krugman racconta l'episodio nella sua tagliente requisitoria intitolata "End this depression now!", dove l'accento cade sul "now", perché il premio Nobel non si esercita nell'eziologia della crisi, ma ragiona intorno alle vie per uscirne. E l'ostacolo che impedisce a cancellerie e amministrazioni di adottare misure drastiche e tuttavia facilmente praticabili è "quell'invincibile desiderio di vedere l'economia come un ‘morality play' nel quale i tempi duri sono una punizione ineluttabile per eccessi precedenti".

Le operette morali nascoste sotto l'ordito della crisi sono una costante del discorso krugmaniano. America ed Europa propongono il paradigma dell'austerità secondo declinazioni differenti; Berlino insiste in modo ossessivo sulla responsabilità, sia nel senso della colpa per le passate baldorie sia nel senso delle riforme che cerca di imporre ai paesi dell'Eurozona, mentre a Washington l'ortodossia repubblicana martella sul taglio della spesa e la riduzione del debito.

"C'è una differenza fra le due impostazioni", dice Krugman. "Credo che i tedeschi, guidati dalla figlia di un pastore luterano, siano sinceri nella loro lettura moralistica degli eventi. Il problema è che dicono in modo sincero cose completamente false, ma non penso insistano sull'austerità per un progetto di potere o un calcolo, tanto che ora la Germania rischia di essere la vittima più illustre della sua stessa logica".

Sembra di sentire l'eco di un profetico pamphlet di Gilbert Keith Chesterton intitolato "Berlino barbara", anno 1914, dove sosteneva che la barbarie teutonica, una barbarie culturalmente assai avanzata, si esprime sommamente nella buona fede con cui i tedeschi prendono decisioni disastrose. E allora lo scrittore inglese le conseguenze poteva soltanto immaginarle. "In America è diverso - continua Krugman - c'è molta più ipocrisia e ci si appella all'austerità in modo selettivo".

"Questo vale per entrambi gli schieramenti, anche se i repubblicani hanno fatto della riduzione del deficit e del taglio delle tasse una bandiera. Peccato che non si rendano conto che tagliare le tasse aumenta il deficit". Per Krugman il problema del Gop è di aver promosso la lezione libertaria di Ron Paul e compagni di Tea Party a ortodossia di partito, "perché la versione secondo cui lo stato è il responsabile di ogni male è più semplice.

Siamo di fronte alla crisi del friedmanismo, filosofia incoerente, perché ammette nelle sue premesse che il governo è l'unico soggetto in grado di aggiustare i problemi del mercato. Quando è scoppiata la crisi, i repubblicani si sono resi conto che spiegare il meccanismo in cui loro stessi credevano era politicamente troppo difficile, quindi ne hanno creato una versione semplificata". Merkel, dice l'economista, è intrappolata nella "Grande Delusione" che deriva dalla scoperta che l'austerità ha effetti devastanti sulla realtà economica; gli americani sono fermi alla "Grande Bugia" che consiste nell'attribuire allo stato ogni colpa.

La ricetta ultrakeynesiana di Krugman per uscire dalla crisi è reiterata in decine di editoriali e conferenze, e il libro "End this depression now!" la sintetizza con la formula: "Spendere ora, pagare dopo". La politica dello stimolo praticata da Barack Obama nel 2009, con il contestuale taglio dei tassi da parte della Fed, è la medicina giusta, che però è stata somministrata in dosi insufficienti.

E più la ripresa economica mostra la sua fragilità, più diventa chiaro agli occhi di questo spadaccino della teoria economica che l'origine della scelta obamiana è dolosa. Con una certà voluttà ricorda il documento in cui il suo avversario Larry Summers spiegava al presidente che uno stimolo da 787 miliardi di dollari sarebbe stato insufficiente per spingere il paese fuori dalla depressione ("al massimo avrebbe tamponato la recessione, come si è visto", dice Krugman) ma aumentare le proporzioni della manovra sarebbe stato politicamente dannoso.

E Obama, dice, sta scoprendo alla fine del primo mandato che anche il calcolo politico era sbagliato. "Non c'è altra soluzione - continua Krugman - oltre a immettere liquidità, sostenere il mercato del lavoro, e accettare un ragionevole aumento dell'inflazione. Possiamo stare qui a ragionare sulle cause della crisi per una vita, il problema ora è uscirne. Questo è il punto che i politici non capiscono, e passano il loro tempo a spiegare che questa volta è diverso, siamo in mezzo a un crisi strutturale. Per fortuna non è vero, ma per sfortuna chi ha il potere di prendere le decisioni non lo capisce, o non lo vuole capire".

La storia del futuro europeo, poi, ha due versioni. Una è quella dello storico Niall Ferguson, convinto che l'Eurozona sia costretta ad andare verso un destino federalista forse malignamente programmato sin dall'inizio, un superstato con una politica economica condivisa e scritta sostanzialmente in tedesco; l'altra versione è il "divorzio di velluto", un break-up controllato della zona euro, tratteggiato da Gideon Rachman sul Financial Times.

"Se potessi - dice l'adepto della fantascienza Krugman - prenderei la macchina del tempo, andrei a Maastricht nel 1992, entrerei nella sala dove firmano il Trattato e griderei: stop! Un esito più credibile sarebbe quello federalista, ma ci vorrebbe un Hamilton europeo, e il problema è che non c'è.

La visione di Ferguson di un'Europa più simile agli Stati Uniti, con una Bce che fa da garante della moneta, è auspicabile, ma non succederà. Una Eurodämmerung è la soluzione più probabile e anche la più dolorosa, in termini economici e politici, ma non vedo alternative". Monti e Hollande, con l'appoggio esterno di Obama, non hanno gli strumenti per piegare l'austerità merkeliana?

"Monti sta facendo bene e sono prudentemente fiducioso in Hollande. Loro, assieme a Rajoy, possono fare qualcosa, ma non fare molto. L'unica arma che hanno è andare a Berlino e dire: questo è il piano per salvare l'euro, se lo accettate bene, altrimenti crolla tutto. Non può essere altro che l'iniziativa europea però, l'America, purtroppo, può fare soltanto moral suasion". E una piattaforma di riforme strutturali per aumentare la competitività, rendere flessibile il mercato del lavoro e dare una sferzata al ciclo economico non può salvare l'Europa?

In Italia il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha tentato di fare una riforma storica, che è stata annacquata dalle pressioni dei sindacati: "Un provvedimento molto giusto, perché il mercato del lavoro italiano è troppo rigido. Non bisogna confondere le cose, però. Le riforme strutturali non ci faranno uscire dalla depressione, sono lente e danno benefici nel lungo periodo. Ma, come diceva Keynes, nel lungo periodo siamo tutti morti".

 

 

MARIO MONTI E IL DITINO ALZATO FRANCOIS HOLLANDEANGELA MERKEL Mariano RajoyBARACK OBAMA jpegELSA FORNERO Paul KrugmanKrugman-praying-PAUL KRUGMAN

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ignazio la russa matteo salvini antonio tajani

DAGOREPORT – LE REGIONALI SONO ANDATE A FINIRE COME NON VOLEVA, SALTELLANDO FUNICULÌ-FUNICULÀ, GIORGIA MELONI: LA "STATISTA DELLA SGARBATELLA", CHE RISCHIA DI NON TORNARE A PALAZZO CHIGI TRA DUE ANNI, ACCELERA SULLA DOPPIETTA PREMIERATO-LEGGE ELETTORALE, MA NON TUTTO FILA LISCIO A PALAZZO CHIGI: SALVINI E TAJANI SPUTERANNO SANGUE PUR DI OPPORSI ALL’INDICAZIONE DEL NOME DEL PREMIER SULLA SCHEDA ELETTORALE, CHE FINIREBBE PER CANNIBALIZZARLI - LA LEGA È CONTRARISSIMA ANCHE AL PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA COALIZIONE (CON LA SOGLIA AL 40%, LA LEGA DIVENTEREBBE SACRIFICABILE) – ALTRA ROGNA: IGNAZIO LA RUSSA SCENDE IN CAMPO IN MODALITÀ SCASSA-MELONI: HA RINFOCOLATO LA POLEMICA SU GAROFANI E SE NE FOTTE DEI DIKTAT DELLA DUCETTA (FIDANZA SINDACO DI MILANO? NO, MEJO LUPI; PRANDINI GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA? NO, QUELLA È ROBA MIA)

francesco de tommasi marcello viola daniela santanche ignazio leonardo apache la russa davide lacerenza pazzali

DAGOREPORT - CHE FINE HANNO FATTO LE INCHIESTE MILANESI SULLA SANTANCHE', SUL VISPO FIGLIO DI LA RUSSA, SUL BORDELLO DELLA "GINTONERIA" AFFOLLATA DI POLITICI, IMPRENDITORI E MAGISTRATI, OPPURE SULL'OSCURA VENDITA DELLA QUOTA DI MPS DA PARTE DEL GOVERNO A CALTAGIRONE E COMPAGNI? - A TALI ESPLOSIVE INDAGINI, LE CUI SENTENZE DI CONDANNA AVREBBERO AVUTO UN IMMEDIATO E DEVASTANTE RIMBALZO NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, ORA SI AGGIUNGE IL CASO DEL PM FRANCESCO DE TOMMASI, BOCCIATO DAL CONSIGLIO GIUDIZIARIO MILANESE PER “DIFETTO DEL PREREQUISITO DELL’EQUILIBRIO” NELL’INDAGINE SUL CASO DI ALESSIA PIFFERI – MA GUARDA IL CASO! DE TOMMASI È IL PM DELL’INCHIESTA SUI DOSSIERAGGI DELL’AGENZIA EQUALIZE DI ENRICO PAZZALI, DELICATISSIMA ANCHE PER I RAPPORTI DI PAZZALI CON VERTICI GDF, DIRIGENTI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA MILANESE E 007 DI ROMA - SE IL CSM SPOSASSE IL PARERE NEGATIVO DEL CONSIGLIO GIUDIZIARIO, LA CARRIERA DEL PM SAREBBE FINITA E LE SUE INDAGINI SUGLI SPIONI FINIREBBERO NEL CESTINO - LA PROCURA DI MILANO RETTA DA MARCELLO VIOLA, CON L'ARRIVO DELL'ARMATA BRANCA-MELONI, E' DIVENTATA IL NUOVO ''PORTO DELLE NEBBIE''?

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”