ALLA FINE VA SEMPRE IN CULO AI SOLITI: DIPENDENTI E PENSIONATI – IL TAGLIO ALL’ADEGUAMENTO DELL’INFLAZIONE GARANTIRÀ UN GETTITO DI 3 MILIARDI, MA I PENSIONATI CON ASSEGNI SUPERIORI AI 2MILA EURO NETTI RIMARRANNO FREGATI: RISPETTO AGLI “SCAGLIONI DRAGHI” CI SARÀ UNA PERDITA DI 411 EURO L’ANNO – DAL 2011 AL 2021, TRA FORNERO E ADEGUAMENTI RIDOTTI, È SPARITA UNA MENSILITÀ…

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Paolo Russo per www.lastampa.it

 

GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI

Alla fine il taglio all’adeguamento all’inflazione delle pensioni 4 volte superiori al minimo è stato molto più duro del previsto, tanto da garantire un gettito di ben 3 miliardi, con i quali i pensionati con assegni dai 1.500 euro netti in su contribuiscono più di chiunque altro a far tornare i conti della manovra. Questo perché la scorciata alle percentuali di perequazione non è avvenuto come in passato sulla sola quota di incremento della pensione ma sull’intero importo.

 

Fino agli assegni di 4 volte superiori al minimo, corrispondenti a 2.102 euro lordi, circa 1.500 netti, il recupero sarà del 100% ma, è bene ricordarlo, sarà pari al 7,3% e non all’11,9, livello al quale è nel frattempo giunta l’inflazione. Così l’assegno sale a 2.255 euro.

 

RIVALUTAZIONE PENSIONI CON LA MANOVRA 2023 RIVALUTAZIONE PENSIONI CON LA MANOVRA 2023

La perdita per gli altri scaglioni di rendita l’ha calcolata lo Spi-Cgil. Tra 4 e 5 volte il minimo, ossia per gli assegni da 2.000 a circa 2.600 euro, la rivalutazione scende dal 90 all’80% che riduce in pratica il recupero al 5,6%. Ossia una rendita di 2.250 euro al mese dai 2.413 euro previsti con gli “scaglioni Draghi” diventa ora di 2.381 euro, con una perdita netta di 411 euro l’anno.

 

Da 5 e 6 volte il minino la perequazione scende poi al 55%, così l’attuale assegno di 2.500 euro, che sarebbe dovuto salire a 2689 si ferma a quota 2.600 per una perdita annua di 1.035 euro.

 

Tra sei e sette volte il minimo, ossia pensioni comprese tra 3.150 e 4.200 euro mensili il recupero scende ancora al 50%. Così un assegno di 3.500 euro che sarebbe dovuto lievitare a 3.736 euro non va oltre i 3.628, per una perdita annua di 1.407 euro.

 

Salendo ancora ai trattamenti tra sette e otto volte il minimo il recupero cala al 40%. Tanto che un assegno di 4mila euro lordi mensili anziché salire a 4.263 euro si ferma a quota 4.146, che significa dover rinunciare in un anno a 1.521 euro.

 

PENSIONE PENSIONE

Oltre otto volte il minino poi il recupero del caro-vito si riduce a un modesto 35%, il che significa che una pensione di 4.500 euro lordi mensili che doveva salire a 4.790 euro non andrà oltre da gennaio prossimo a 4.631 euro, perdendone così 2.62 in un anno.

 

C’è da dire che a settembre le pensioni dovrebbero beneficiare di un nuovo adeguamento all’inflazione reale, se questa continuerà a viaggiare su numeri a doppia cifra. Ma anche in questo caso il recupero sarà più parziale di quello che si sarebbe ottenuto con i vecchi scaglioni di perequazione al caro-vita.

 

GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI

Che secondo il centro studi della Uil politiche sociali dal 2011 al 2021, tra un primo blocco della perequazione imposto dalla legge Fornero e i successici adeguamenti ridotti è già costato un’intera mensilità ai pensionati con assegni quattro volte superiore al minimo.

 

Possono invece abbozzare solo un lieve sorriso in pensionati al minimo, che con la manovra intascano una mancetta che fa salire il loro assegno da 524 euro mensili a 570 il primo anno e a 589 nel 2024. Somme che ricomprendono anche l’adeguamento all’inflazione e che quindi in termini reali si riducono a poco più di una decina di euro, buoni per qualche caffè al bar.

INPS INPS

 

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