alessandro benetton ponte morandi crollo genova

PONTI D’ORO PER I BENETTON – QUATTRO ANNI DOPO IL CROLLO DEL VIADOTTO MORANDI, C’È SOLO UNA CERTEZZA: I BENETTON DA QUELLA TRAGEDIA CI HANNO GUADAGNATO! – IL GIORNO DEL CROLLO IL TITOLO ATLANTIA VALEVA IN BORSA 25 EURO. OGGI NE VALE 23, NONOSTANTE PANDEMIA, GUERRA E CRISI ECONOMICA – LE RESPONSABILITÀ VANNO DIVISE EQUAMENTE TRA I DUE GOVERNI CONTE E QUELLO DRAGHI, CHE HA CONCLUSO L’ACQUISTO DI ASPI PER 8,2 MILIARDI DI EURO – IL RUOLO DI PAOLETTA DE MICHELI E LA BEFFA: ANCHE LE CONSEGUENZE DEL CROLLO SARANNO PAGATE DAGLI UTENTI DELLE AUTOSTRADE…

Giorgio Meletti per “Domani”

 

alessandro e luciano benetton

A quattro anni dal crollo del ponte Morandi di Genova (14 agosto 2018, 43 morti), mentre muove i primi passi il maxi processo con 59 imputati che impiegherà anni ad attribuire le responsabilità penali, c’è una sola certezza: la famiglia Benetton, azionista di controllo della holding Atlantia e quindi di Autostrade per l’Italia (Aspi), non ha subìto alcun danno patrimoniale da quella tragedia. Anzi, ci ha guadagnato.

 

Il giorno del crollo, il titolo Atlantia valeva in Borsa 25 euro. Oggi ne vale 23. Certo, 23 è meno di 25. Però considerate che nel frattempo c’è stata la pandemia, che ha pesato sulle concessioni autostradali con il crollo del traffico, soprattutto nel 2020. E adesso c’è la guerra in Ucraina che sta terremotando le borse di tutto il mondo. E sono proprio i numeri della Borsa a dirci quanto è andata bene ai Benetton.

 

ALESSANDRO E LUCIANO BENETTON

Il 9 marzo 2020, quando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciò il lockdown. È stato il punto più basso della Borsa italiana. Ed è stato particolarmente basso per Atlantia visto che, al facilmente prevedibile crollo del traffico autostradale per il lockdown, si sommava il timore dei mercati per i bellicosi propositi di Conte: l’avvocato del popolo continuava a minacciare la revoca della concessione autostradale di Aspi come naturale sanzione per non aver prevenuto il crollo del Morandi.

 

Ebbene, da quel 9 marzo 2020 a oggi l’indice Ftse Mib, che misura l’andamento generale della Borsa di Milano, è cresciuto di circa il tre per cento. Il titolo Atlantia invece è salito di circa il 40 per cento.

 

Una performance che nessuna grande società italiana ha realizzato nello stesso periodo, neppure, tanto per dire, la Essilor Luxottica di Leonardo Del Vecchio, impresa di successo per antonomasia. Insomma, non sono bastate la pandemia e la guerra a frenare l’entusiasmo dei mercati finanziari per i regali che il governo italiano ha fatto ad Atlantia per punirla.

alessando benetton

 

È questo il miracolo, il fenomeno soprannaturale che ha trasformato la realistica prospettiva di un disastro finanziario nel consolidamento della ricchezza dei Benetton: la tragedia del Morandi è stata gestita dalla classe dirigente italiana (politici e alti burocrati) con un impasto di insipienza e malafede.

 

Spetterà a storici e filosofi risolvere un enigma che non è alla portata degli economisti: è la diffusa insipienza di una classe dirigente in declino ad aprire prima varchi e poi intere praterie alla malafede, o è la malafede il motore immobile che sprigiona un’insipienza solo simulata?

 

IL SUPERPARTITO DEI BENETTON

LA LETTERA APERTA DI ATLANTIA - AUTOSTRADE PER L'ITALIA A UN ANNO DAL CROLLO DEL PONTE MORANDI

Una cosa è certa. La responsabilità di quello che si configura come uno dei più gravi scandali della storia repubblicana va divisa equamente tra i tre governi che si sono succeduti in questi quattro anni: Conte I, Conte II e Draghi.

 

Con quella sostanziale continuità d’azione ben descritta da Luciano Canfora (La democrazia dei signori, Laterza) con il concetto di “superpartito”, «risultante dalla riduzione delle formazioni politiche, malconce e impegnate in esercitazioni verbali, al ruolo – al di là dei necessari battibecchi – di comparse».

 

Il risultato è il seguente: con una serie di mosse abbastanza stralunate i governi Conte e Draghi hanno tolto le conseguenze del crollo dal groppone dei Benetton e dei loro soci per traslarlo sulle spalle degli utenti delle autostrade, che lo pagheranno a suon di pedaggi per i prossimi decenni.

 

Prima però un chiarimento è dovuto ai lettori poco avvezzi ai meccanismi del potere finanziario. Perché il valore delle azioni Atlantia è l’unità di misura della sorte toccata ai Benetton dopo il crollo del Morandi?

 

luciano benetton ai funerali di leonardo del vecchio.

La dinastia industriale dei Benetton è formata da quattro rami: i due fratelli Giuliana e Luciano, lo storico leader oggi 87enne, e i figli dei due fratelli scomparsi, Carlo e Gilberto. Posseggono in quattro parti uguali le azioni della cosiddetta “cassaforte”, una società chiamata Edizione Holding. Oggi il capo è Alessandro, figlio di Luciano.

 

Edizione possiede il 33 per cento delle azioni di Atlantia, cioè la quota che consente loro di controllare la holding che il 14 agosto 2018 possedeva a sua volta l’88 per cento delle azioni di Aspi.

 

Quindi i Benetton erano solo indirettamente padroni di Aspi. La gestivano, nominavano i manager e davano loro istruzioni su come massimizzare i profitti sacrificando le manutenzioni o ottenendo dal ministero vigilante, quello delle Infrastrutture, regolari e ingenti aumenti tariffari.

 

alessandro benetton

Ma il patrimonio direttamente posseduto erano solo le azioni di Atlantia: la sorte di Aspi li ha sempre e solo riguardati per gli effetti che l’andamento della concessionaria produceva sui conti di Atlantia. Aspi produceva profitti pari al 25 per cento dei ricavi, una redditività che nemmeno Amazon e Google hanno mai raggiunto, e dava sontuosi dividendi alla controllante Atlantia, che a sua volta li girava per il 33 per cento a Edizione e per il resto agli altri azionisti. Il valore in Borsa delle azioni Atlantia rifletteva fino al 2018 la sua capacità di dare certi dividendi grazie, anche se non soprattutto, al possesso di Aspi.

 

Quindi i Benetton avevano azioni Atlantia che valevano 25 euro l’una (cioè 6,5 miliardi) quattro anni fa. Oggi hanno azioni Atlantia che valgono 23 euro (sei miliardi), nonostante pandemia, guerra e drammatica crisi economica globale. Ecco perché è questo il dato che risponde alla domanda: quale prezzo hanno pagato i Benetton per il crollo del Morandi? La risposta è: nessun prezzo, anzi ci hanno guadagnato.

 

LA REVOCA MANCATA

CARLO BERTAGNIN BENETTON - ALESSANDRO BENETTON - ERMANNO BOFFA CHRISTIAN BENETTON

Vediamo adesso come tutto ciò sia potuto accadere. All'indomani della tragedia il presidente del Consiglio Conte annunciò in modo deciso l’apertura della procedura di revoca della concessione per grave inadempimento. La mossa appariva quasi ovvia all’opinione pubblica, scossa dalle incredibili immagini di un gioiello dell’ingegneria civile che si accartocciava come un castello di carte.

 

Se la concessionaria autostradale non è in grado di garantire la stabilità dei viadotti e lascia che uno dei più importanti, trafficatissimo e monitoratissimo, venga giù trascinandosi dietro 43 vite, forse è meglio toglierla di mezzo.

 

È il Movimento 5 stelle la formazione politica più schierata sulla revoca. Dice il vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio: «Noi andiamo avanti, i Benetton non ci fanno paura, la revoca della concessione è un dovere non solo politico ma morale». Tutti gli altri partiti sono più prudenti. Ma soprattutto è Atlantia a rispondere a muso duro al governo, decisa a difendere fino in fondo, in punta di diritto, i suoi diritti patrimoniali.

 

giovanni castellucci con il plastico del ponte morandi a porta a porta

Solo il processo penale dirà di chi è la responsabilità del crollo, argomentano i legali dei Benetton, e la revoca prima del pronunciamento della Cassazione metterebbe a repentaglio non solo la sopravvivenza di Atlantia ma anche la stabilità degli stessi mercati finanziari italiani.

 

C’è del vero in questo ragionamento. Una stima di Mediobanca dice che la revoca darebbe luogo a un contenzioso legale che potrebbe costare allo Stato 10-11 miliardi di risarcimento. Ma soprattutto Atlantia è una holding con molti debiti per i quali i flussi di cassa provenienti da Aspi sono un pilastro fondamentale, senza il quale c’è un rischio di default che potrebbe avere le stesse dimensioni di quello della Parmalat di Calisto Tanzi (2004).

 

alessandro benetton

Non solo un simile terremoto esporrebbe il mercato finanziario italiano al rischio di attacchi speculativi e alla fuga dei capitali stranieri, ma in prima battuta ci sarebbe da fronteggiare la rabbia degli altri azionisti di Atlantia, in gran parte importanti fondi d’investimento internazionali che hanno messo i loro soldi in una gallina dalle uova d’oro e non vogliono perdere l’investimento per una decisione politica che raffigurano come un esproprio.

 

L’AMICA DE MICHELI

Su questo nodo, oggettivamente complicato, la politica italiana dà il peggio di sé. Dopo un anno di schermaglie e chiacchiere, la partita entra nel vivo a settembre 2019, quando, dopo il suicidio politico di Matteo Salvini al Papeete, si insedia il Conte II e alle Infrastrutture la pd Paola De Micheli prende il posto del M5s Danilo Toninelli. La musica cambia.

 

crollo ponte morandi

Alla inconcludenza di Toninelli si sostituisce il pragmatismo di De Micheli che abilmente comincia a rinculare facendo finta di avanzare. La ministra piddina si conquista sul campo i galloni di capo del partito pro Benetton, silenziosamente spalleggiata dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Conte subisce.

 

Inizia una estenuante trattativa. Il governo chiede in sostanza ai Benetton di evitare lo scontro sulla revoca della concessione punendosi da soli, cioè offrendo allo stato una soluzione transattiva in cui Atlantia assume impegni onerosi per ottenere il perdono. Si parla di un risarcimento miliardario, per esempio, o dell’impegno di investire parecchi soldi in manutenzioni straordinarie sacrificando i profitti. Ma i Benetton capiscono che la linea dura di Conte non è supportata dai ministri del settore e, girando intorno al problema, prendono tempo. Conte annaspa.

 

una veduta del moncone del ponte morandi da una finestra di via fillak

A febbraio 2020 sbotta: «I Benetton ci stanno prendendo in giro da un anno», e minaccia di dare il via alla revoca se non arriva in tempi rapidi una proposta seria da parte di Atlantia. Nessuno si spaventa e subito dopo arriva la pandemia e il lockdown del 9 marzo. Preso da urgenze superiori Conte sostanzialmente molla la presa e De Micheli e Gualtieri apparecchiano lo storico accordo del 15 luglio 2020, che in futuro, per la sua evidente assurdità, meriterà di essere studiato sia nei corsi di diritto amministrativo che in quelli di filosofia teoretica.

 

soccorsi dopo il crollo del ponte morandi

Il comunicato di palazzo Chigi spiega alle otto di quella mattina, dopo una nottata di riunioni e trattative, che di fatto è stata accettata la proposta di Atlantia come base per la definizione transattiva della procedura «per grave inadempimento». Ed elenca i sacrifici offerti: «Misure compensative a esclusivo carico di Aspi per il complessivo importo di 3,4 miliardi di euro; rafforzamento del sistema dei controlli a carico del concessionario; aumento delle sanzioni anche in caso di lievi violazioni da parte del concessionario; rinuncia a tutti i giudizi promossi in relazione alle attività di ricostruzione del ponte Morandi, al sistema tariffario, compresi i giudizi promossi avverso le delibere dell’Autorità di regolazione dei trasporti (Art); accettazione della disciplina tariffaria introdotta dall’Art con una significativa moderazione della dinamica tariffaria». Atlantia dunque assume in nome e per conto della sua controllata Aspi una serie di gravosi impegni.

 

il crollo del ponte morandi

Ma in coda al comunicato c’è la sorpresa. Qualche genio pentastellato ha pensato bene che se non si riesce a fare la revoca si possono ben punire i Benetton togliendogli comunque Aspi nella maniera più semplice, comprandogliela: «In vista della realizzazione di un rilevantissimo piano di manutenzione e investimenti, contenuto nella stessa proposta transattiva, Atlantia e Aspi si sono impegnate a garantire: l’immediato passaggio del controllo di Aspi a un soggetto a partecipazione statale (Cassa depositi e prestiti). Atlantia ha offerto la disponibilità a cedere direttamente l’intera partecipazione in Aspi, pari all’88 per cento, a Cdp e a investitori istituzionali di suo gradimento».

 

Atlantia venderà Aspi a Cdp a un prezzo da concordare e Conte affida la trattativa a De Micheli e Gualtieri. L’accordo viene salutato con manifestazioni di giubilo. «Abbiamo cacciato i Benetton!» è il grido di battaglia. De Micheli dichiara solenne: «La famiglia Benetton non sarà più socia di Aspi». Di Maio gongola: «Era il nostro principale obiettivo. E ce l’abbiamo fatta».

 

paola de micheli

Si unisce al coro unanime anche il numero uno della Cgil Maurizio Landini: «Abbiamo sempre immaginato che era meglio trovare un’intesa che avesse un elemento di qualità dal punto di vista delle politiche industriali e che salvaguardasse i livelli occupazionali». I trionfanti non si accorgono, o fingono di non accorgersi (insipienza o malafede?) che la Borsa saluta la punizione dei Benetton con un rialzo del titolo Atlantia del venti per cento.

 

IL REGALO NASCOSTO

paola de micheli question time senato

C’è una cosa che non torna, talmente evidente che anche un bambino di sei anni la capirebbe al volo. Se il proprietario di Aspi si impegna a caricarla di impegni e oneri (3,5 miliardi di spesa, più questo, più quello e più quell’altro) e subito dopo la vende allo stato che si compra anche oneri e impegni, chi fa il sacrificio? La Borsa risponde in modo netto: i Benetton l’hanno fatta franca. Le azioni Atlantia volano.

 

Ma non è finita qui. Un’ipotesi ragionevole era che Cdp sottoscrivesse un aumento di capitale di Aspi fino a raggiungere una quota di controllo. Funziona così: se Aspi vale, ipotizziamo, 8 miliardi, Cdp poteva conferire otto miliardi più un euro di nuovo capitale. Il valore di Aspi diventava 16 miliardi e un euro, e lo stato attraverso Cdp ne diventava primo azionista con il 50 virgola qualcosa per cento. Gli otto miliardi anziché finire in tasca a Benetton e soci sarebbero entrati nelle casse di Aspi e avrebbero finanziato investimenti sulle autostrade.

 

Ma qui scatta il problema: raddoppiando il capitale da remunerare da otto a 16 miliardi si sarebbe automaticamente dimezzata la redditività, dovendo spartire tra due azioni i profitti che prima andavano a una sola azione.

 

AUTOSTRADE PER L'ITALIA

In pratica il valore delle azioni Aspi in mano ad Atlantia, che si misura sulla capacità di produrre dividendi, si sarebbe dimezzato, da otto a quattro miliardi. Per questo Atlantia non transige, vuole vendere e vendere a prezzo pieno, perché poi sennò chi glielo dice ai fondi internazionali?

 

Ma che cosa significa a prezzo pieno? Il valore di una concessionaria autostradale dipende dalle regole fissate dal ministero delle Infrastrutture sulla evoluzione delle tariffe e sugli investimenti da fare. Se il governo concede una dinamica tariffaria più spinta Aspi farà più profitti, quindi varrà di più.

 

Se lo stato impone ad Aspi di fare investimenti massicci per rimettere in sesto le autostrade trascurate per anni (per loro stessa ammissione), la società farà meno profitti e varrà di meno.

 

IL VIDEO DI TONINELLI SU BENETTON E AUTOSTRADE

Gli alacri dirigenti del ministero di De Micheli si mettono dunque al lavoro e confezionano un nuovo Pef (piano economico finanziario) che concede ad Aspi un aumento di tariffe dell’1,7 per cento all’anno che nel 2038, a fine concessione, sommerà un aumento del 20 per cento. Quindi gli investimenti, anche i famosi 3,5 miliardi promessi dai Benetton per farsi perdonare, li pagheranno automobilisti e autotrasportatori.

 

Il Pef viene esaminato dall’Autorità dei trasporti che, un po’ scandalizzata, rileva come un aumento annuo dello 0,8 per cento, meno della metà di quello concesso, basterebbe e avanzerebbe. Ma il parere è solo consultivo e rimane inascoltato.

 

L’ASSENSO DI DRAGHI ALLO SCANDALO

luciano benetton

Si procede a tappe forzate verso l’acquisto di Aspi che viene concluso dal governo Draghi. Il quale, eseguendo senza fiatare il canovaccio ereditato da Conte, De Micheli e Gualtieri, a ottobre 2021 definisce la transazione che chiude la procedura per la revoca con una motivazione lunare: «L'accordo recepisce integralmente le condizioni definite in occasione del Consiglio dei ministri del 14 luglio del 2020, che prevedeva alcuni impegni, tra cui l’esecuzione da parte della società di misure per la collettività per 3,4 miliardi di euro e investimenti per 13,6 miliardi sulla rete».

 

Solo che qualche mese prima Aspi era stata venduta a Cdp per 8,2 miliardi di euro per cui alla fine, beffardamente, scopriamo che Atlantia ha preso degli impegni che toccherà a Cdp onorare, essendo subentrata nella proprietà di Aspi.

 

Facciamo un esempio per essere più chiari. Il signor Bianchi vende la sua auto usata al signor Rossi per diecimila euro. L’auto ha il motore fuso e rifarlo costerà tremila euro, ma il signor Bianchi convince il signor Rossi che l’auto stessa contiene l’impegno a rifarsi il motore nuovo grazie al quale varrà davvero diecimila euro. Il signor Rossi, essendo tonto, paga l’auto diecimila euro senza rendersi conto che adesso l’impegno a spendere tremila euro per rifare il motore grava su di lui. È andata davvero così. E va sottolineato che è avvenuto tutto in modo trasparente, alla luce del sole, come dimostra il finale rutilante.

 

CHI PAGA ALLA FINE?

alessandro benetton

Atlantia, incassati gli 8,2 miliardi di euro, diventa appetibilissima, e i Benetton temono che arrivi un’offerta pubblica di acquisto dall’estero che gli scippi il malloppo. Così lanciano a loro volta un’Opa su tutte le azioni Atlantia, che alla fine dell’operazione uscirà dalla Borsa. Notate bene, il governo aveva messo negli accordi che i soldi versati ad Atlantia per comprarle Aspi non dovevano finire in dividendi.

 

Accadrà di peggio: verrano investiti sulle autostrade francesi e spagnole. Il particolare incredibile è che l’Opa i Benetton la lanciano insieme al fondo Blackstone, lo stesso che ha affiancato Cdp nell’acquisto di Aspi pagandola a prezzo pieno.

 

Quindi Blackstone, offrendo con i Benetton 23 euro per le azioni Atlantia, certifica che Atlantia ha fatto un affare d’oro vendendogli Aspi a quel prezzo. Ma anche Cdp e Blackstone hanno fatto un buon affare, perché, grazie al Pef che gli ha apparecchiato De Micheli, hanno comprato da Atlantia al giusto prezzo il diritto legale di spolpare gli automobilisti per i prossimi decenni.

 

Processo per il crollo del Ponte Morandi 2

Pagheranno tutto loro, anche i ristori per i mancati incassi dovuti al Covid: al ministero delle Infrastrutture sono riusciti a fare una regola secondo la quale i minori ricavi del 2020 rispetto al 2019 (centinaia di milioni di euro) verranno recuperati con aumenti tariffari nei prossimi anni. Quindi nei prossimi anni gli automobilisti dovranno pagare ad Aspi i pedaggi che non hanno pagato durante il lockdown, quando dovevano stare chiusi in casa.

 

E non potranno neppure maledire i Benetton, perché d’ora in poi a rapinarli sarà la Cassa depositi e prestiti, cioè lo stato. E dovrà rapinarli per recuperare gli otto miliardi regalati ai Benetton per punirli di aver fatto crollare il Morandi. Soldi con i quali di fatto lo stato italiano finanzierà investimenti sulle autostrade francesi e spagnole: quelli sulle autostrade italiane li pagheranno gli automobilisti. Questo è il capolavoro che politici e burocrati italiani sono riusciti a realizzare sulla pelle dei 43 morti di Genova.

Processo per il crollo del Ponte MorandiProcesso per il crollo del Ponte Morandi 3ponte morandiil ponte morandi nel video girato da un drone 9

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