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UBI MINOR, PARVUS NON CESSAT - I SOCI DI MINORANZA DEL FONDO ''SCHERMATO'' POSSONO RALLENTARE LA FUSIONE, CHE AVRÀ BISOGNO DI DUE ASSEMBLEE E QUINDI MOLTA PIÙ BUROCRAZIA. PARVUS VUOLE VENDERE CARA LA PELLE FINO ALL'ULTIMO. DEL SUO ORIGINALE 8,5% DI UBI UNA PARTE È STATA CONSEGNATA, MENTRE UNA QUOTA DI CIRCA IL 5,8% È RIMASTA IN CIRCOLAZIONE. GUARDA CASO PROPRIO UNA PERCENTUALE CHE FA LA DIFFERENZA TRA 90 E 95 PER CENTO, CHE AVREBBE PERMESSO IL COSIDDETTO ''SQUEEZE OUT''

 

Marcello Zacchè per ''il Giornale''

 

Edoardo Mercadante - Parvus

Intesa chiude la partita di Ubi con oltre il 90% del capitale. Il dato preciso, insieme al comunicato della banca, è atteso nelle prossime ore, prima dell'apertura del mercato di stamane.

 

 

Ma l'esito permette di calendarizzare le prossime mosse. «Oggi portiamo a termine un'operazione che ci vede tutti vincitori - ha detto il ceo di Intesa Carlo Messina -. Grazie alla decisione, di cui siamo orgogliosi, del 90,2% degli azionisti di Ubi Banca di entrare a far parte di Intesa Sanpaolo, daremo vita a una nuova realtà in grado di rafforzare il sistema finanziario italiano e di ricoprire un ruolo di leader nello scenario bancario europeo».

 

Con il 90,2% la banca guidata da Messina chiude molto bene, ma non è l'ottimo. Quello sarebbe stato arrivare a una quota superiore al 95 per cento. In quel caso il prospetto e la legge prevedono il cosiddetto squeeze out: una procedura che permette all'offerente di ritirare tutte le rimanenti azioni Ubi in circolazione, d'ufficio, riconoscendo ai soci la stessa contropartita prevista dall'offerta. O, se questi si oppongono, il valore in contanti. In pratica, con oltre il 95% Ubi uscirebbe nel giro di due settimane (in una finestra da mettere in agenda già in settembre) dal listino e per Intesa la fusione avverrebbe interamente in casa propria.

 

Carlo Messina

Con il 90,2%, invece, Intesa deve procedere con il sell out: Ubi resta una società quotata, ancorché controllata da Intesa, con suoi azionisti di minoranza e una sua assemblea. Il sell out prevede che ai soci venga riproposta l'offerta appena conclusa (17 titoli ogni 10 più 57 cent per ogni titolo Ubi) o, in alternativa, il corrispettivo in contanti, pari alla media di questi ultimi 5 giorni di Borsa. Chi non ha portato le azioni prima può però non portarle nemmeno dopo. Non è quindi detto che con il sell out Intesa arrivi al 95% e possa dunque procedere al delisting. Cosa cambia? Che i soci di minoranza possono rallentare la fusione, che per avvenire avrà bisogno di due assemblee e quindi molta più burocrazia e probabile ostruzionismo.

 

Non a caso c'è qualcuno, tra chi conosce bene i numeri dell'Opas, che vede il fondo Parvus tra i soggetti interessati a vendere cara la pelle fino all'ultimo. Parvus, come noto, è un fondo di intestazioni fiduciarie di cui non i si conoscono i sottoscrittori. Del suo originale 8,5% di Ubi una parte è stata consegnata, mentre una quota di circa il 5,8% è rimasta in circolazione. Guarda caso proprio una percentuale che fa la differenza tra 90 e 95 per cento.

 

In ogni caso il piano di Intesa è quello di procedere alla fusione per incorporazione di Ubi. Senza il delisting, però, la fusione dovrà avvenire con la fissazione di un concambio azionario Intesa-Ubi e la concessione ai soci contrari del diritto di recesso. Un'operazione che Intesa vorrebbe chiudere con la prossima assemblea di bilancio dell'aprile 2021. Ma che, con l'ostruzionismo dei soci Ubi, potrebbe anche slittare più in là.

victor massiah letizia moratti

 

Ora l'agenda prevede che l'attuale cda di Ubi convochi l'assemblea tra metà settembre e metà ottobre, per nominare il nuovo consiglio. Questo porterà a termine i contratti di cessione delle attività assicurative a Unipol e di 540 sportelli a Bper: la condizione posta dall'Antitrust per autorizzare l'Opas. L'operazione si concluderà entro l'anno, come chiesto dalla stessa autorità».

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