AD Arrigo Levi “Un paese non basta”, NEMMENO UN PAESE CHE METTE INSIEME BR E PR - A SANT'EGIDIO IL 'PONTEFICE' ANDREA RICCARDI ACCOGLIE I VEGLIARDI DELLA REPUBBLICA - TRA Maccanico E Gifuni, Colombo E Fabiani, FA CAPOLINO IL REDIVIVO WALTER-LOO

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  • Foto di Umberto Pizzi da Zagarolo

    L'appuntamento era per le 18 di lunedì 20 aprile, nel cuore di Trastevere, regno incontrastato di Andrea Riccardi e della sua Comunità di Sant'Egidio, la celeberrima Onu de Trastevere che ha allargato a dismisura il suo potere politica (non a caso Su-Dario Franceschini ha corteggiato invano il barbudo Riccardi offrendo un posto da capolista).

    ANDREA RICCARDI E GIANNI LETTA - Copyright PizziANDREA RICCARDI E GIANNI LETTA - Copyright Pizzi

    Colà si presentava il libro di Arrigo Levi "Un paese non basta" (Il Mulino). Un racconto autobiografico che rievoca la felice giovinezza trascorsa in un'agiata famiglia della borghesia ebraica modenese, e poi il caos seguito all'avvento del fascismo e delle leggi razziali, l'emigrazione in Argentina, il ritorno in patria, la partecipazione da soldato alla nascita di Israele, il decennio nell'Inghilterra di Churchill e di Giorgio VI, l'ingresso definitivo nel giornalismo.

    A discutere con il consigliere dei presidenti Ciampi e Napolitano, sono intervenuti Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma; Gianni Letta, il padrone di casa Riccardi, anche nella sua veste di ordinario di Storia contemporanea presso la Terza Università degli Studi di Roma e il redivivo Walter Veltroni.

    In platea si riconoscevano destra, sinistra e centro: Antonio Maccanico, Gaetano Gifuni, Emilio Colombo, Gideon Meier, Fabiano e Lilli Fabiani, Franco Venturini, Carlo Jean, Baldassarre Favara, Stefano Silvestri, Giuseppe Cucchi e Rolando Mosca Moschin, Maria Pia Fanfani, Ines Theodoli Torlonia, Marisa Pinto Olori del Poggio, Renata Polverini.

    Tratto da "Un Paese non basta" di Arrigo Levi (Il Mulino)
    Quando cominciai a pensare a questo libro, non avevo dubbi sull'intenzione di scrivere non una storia della mia vita e del mio lavoro di giornalista, ma soltanto un racconto di «come diventai giornalista» - che era poi il titolo che dapprincipio avevo in mente. E sapevo già che l'avrei concluso raccontando dei miei anni di Londra, gli anni Cinquanta. Non sapevo altrettanto chiaramente da dove cominciare.

    ARRIGO LEVI EMILIO COLOMBO - Copyright PizziARRIGO LEVI EMILIO COLOMBO - Copyright Pizzi

    Rileggendolo, prima di porre la parola fine, mi sono chiesto se non sia andato troppo indietro nel tempo alla ricerca delle mie radici. Mi chiedo se non mi sia lasciato prendere troppo dall'entusiasmo, nell'entrare, al Finale di Modena, in quella che fu la casa porticata del mio arcitrisavolo Nathan Nathan, italianizzato in Donato Donati, che importò nel ducato un cereale sconosciuto e prezioso, utile per sfamare i sopravvissuti alla grande peste manzoniana. Pensandoci bene, direi di no.

    Mi ha commosso e reso pensoso riscoprire la lapide in ebraico di quel Nathan Nathan, ebreo credente, che aspettava la fine dei tempi per vedere premiata la sua fede e la sua laboriosità. Ho ereditato assai poco della sua pratica religiosa. Ma le sue regole di vita, fondate in quell'antichissima fede, mi sembra siano state tramandate, di padre in figlio, di generazione in generazione, fino ai miei immediati predecessori. E poi, Nathan Nathan era già un «cittadino del mondo», guardava a lontani orizzonti, veniva da chissà dove e aveva contatti con i più lontani paesi. La sua qualità di «ebreo errante» ne faceva già un cosmopolita. E non lo sono forse diventato anche io, come tanti altri ebrei del passato, per ragioni, ahimè, spesso drammatiche?

    ARRIGO LEVI FABIANO FABIANI E GIDEON MEIER - Copyright PizziARRIGO LEVI FABIANO FABIANI E GIDEON MEIER - Copyright Pizzi

    [...]

    Concludo rispondendo ai tanti che mi hanno chiesto se non sia tentato di raccontare qualcosa dei miei anni al Quirinale. Per mia fortuna, c'è chi ha già scritto (Paolo Peluffo) splendidi libri sul settennato di Carlo Azeglio Ciampi. Non mancherà chi farà altrettanto per la presidenza Napolitano (nessuno saprebbe farlo meglio di lui). Dirò solo che si è trattato di una bella esperienza. Ho sempre amato (anche se i giornalisti sono un po' animali solitari) lavorare insieme a una squadra di amici, per scopi giusti e con motivazioni giuste. Nei nostri anni al Quirinale, ci è accaduto qualcosa del genere, al seguito di personaggi di alta statura morale e civile. Ed è stato bello.

     

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