Massimo Riserbo per Dagospia
A certi funerali, la prima corona di fiori ad arrivare è quella del mandante. Alla messa per Claudio Vitalone, invece, la prima corona è quella firmata \"Il presidente\". E basta. Ma se aveste fatto un sondaggio tra gli uomini in nero accorsi la mattina dell\'ultimo dell\'anno nelle gelide navate della basilica di San Lorenzo per dare l\'estremo saluto all\'illustre magistrato, la risposta sarebbe stata un coro compatto: c\'è un solo presidente, Giulio Andreotti.
Copyright PizziE il Divo Giulio c\'era anche questa volta, al braccio della moglie, per seppellire un altro dei suoi amici che, come direbbe il Vangelo, furono perseguitati dalla giustizia per causa sua. Sospettato di legami con la mafia e di aver fatto ammazzare Mino Pecorelli, il giudice Vitalone è stato completamente assolto da tutta la magistratura terrena possibile e immaginabile, ma solo dopo un lungo calvario personale durato oltre dieci anni.
E poi la \"battaglia vinta contro il Csm\" nel 2004 per recuperare la nomina a presidente di sezione della Cassazione, come ha ricordato dall\'ambone la figlia Annabella, detta Pepa, magistrato anche lei. Tostissima anche nel ringraziare nome per nome tutti i medici che hanno curato papà, salvo poi ricordare che il caro estinto \"ha dovuto aspettare 12 ore per entrare nell\'unica sala operatoria aperta in un giorno di festa nel policlinico più grande d\'Italia\".
Da brivido anche le parole con le quali un anziano monsignore amico dei fratelli Vitalone ha voluto iniziare la funzione: \"Siamo qui per i vincoli di sangue, amicizia e lavoro che ci hanno legato a Claudio\". Dopo quel richiamo ai vincoli e al sangue, centinaia di cappotti scuri e di capelli bianchi si sono incupiti per un\'ora e mezza tra i ricordi del potere che fu.
Copyright PizziSchierate dietro al Presidente, c\'erano le schegge impazzite e le criniere indomite della vecchia Dc: l\'accorato Paolo Cirino Pomicino, con le sopracciglia sempre più folte e cotonate; Giorgio Moschetti \"er roscio\", ancora con i capelli a caschetto; il boccoluto Angelo Sanza sempre più simile a un prostatico bronzo di Riace; l\'opimo Mario Baccini scintillante come il lucido testa di moro; il monumentale Cutrufo, capellone sale e pepe alla faccia delle tinture altrui; Baby D\'onofrio nero corvino con mammina al braccio; Arnaldo Forlani imbalsamato con un cigno bianco sulla testa; l\'antica belva Gustavo Selva con la chioma centrifugata.
Copyright PizziE poi i mejo avvocatoni e giuristi ultragarantisti della capitale, guidati da Carletto Taormina (uno veramente di famiglia), Francesco Nitto Palma, Alfredo Biondi. Pochissimi magistrati, quasi che l\'illustre collega, morto per l\'ennesimo caso di malasanità del Policlinico Umberto primo, non fosse parte della casta togata. Avvistati solo i vicini di stanza al Palazzaccio, come il giudice Santacroce e il presidente Gemelli. Poi tanta gente comune, a cominciare dall\'ex cuoco di un circolo di tennis romano che ora gestisce un bar in corso Vittorio, a pochi metri da casa Vitalone.
Copyright PizziEssendo un funerale di uomini con un forte senso dell\'amicizia e dell\'appartenenza, in fondo alla chiesa non s\'è fatto altro che parlare di coloro che non c\'erano. Ovvero: il mitologico Cesare Previti, l\'ineffabile Corrado Carnevale, l\'emerito (per mancanza di prove) Antonio Baldassarre e il primo presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone. \"Ognuno di costoro deve molto al grande Claudio\", sussurrava scuotendo la testa un penalista di stretta osservanza andreottiana.
E alla fine, quando il Divo Giulio è sfilato lungo la navata centrale precedendo la bara, la folla si è aperta come il Mar Rosso di fronte a Mosè. Il commiato orgoglioso di quell\'Italia preberlusconiana che non avrebbe mai nominato il figlio del proprio commercialista governatore della Sardegna. Al massimo, avrebbe concesso un laticlavio da senatore al fratello magistrato del proprio avvocato.