ARIDATECE KENTRIDGE - L’ARTISTA VUOLE REGALARE UN’OPERA A ROMA. MA NON LA VEDREMO MAI GRAZIE ALLA BUROCRAZIA DEL MINISTERO DEI BENI CULTURALI (E ALLA BORLETTI BUITONI)

Arianna Di Genova per "l'Espresso"

Chissà come è potuto accadere nel 1974 che l'artista bulgaro Christo impacchettasse un bel tratto delle Mura Aureliane, in corrispondenza con Porta Pinciana. Dev'essere stato proprio fortunato per riuscirci. O, semplicemente, quarant'anni fa si respirava un'aria diversa che contagiava tutti, anche un sindaco democristiano come Clelio Darida che certo non era un esploratore dei confini proibiti. Quel gesto che fece storia oggi sembra fantascienza.

Almeno se paragonato al dietrofront delle amministrazioni pubbliche rispetto all'arte contemporanea. Il risultato si è visto nei giorni scorsi: bloccata dalla soprintendenza un'opera di uno degli artisti più famosi del mondo, il sudafricano William Kentridge, proprio nei giorni in cui un artista romano in cerca di gloria, Francesco Visalli, montava abusivamente una sua scultura al Circo Massimo.

Qualcosa deve essere accaduto in questi quarant'anni: la burocrazia è diventata più farraginosa? O forse è cambiata la pratica della tutela? La realtà è che le città italiane, soprattutto quelle con un'alta densità di stratificazioni storiche, vivono da separate in casa con le opere contemporanee. E le sopportano a malapena.

Non è un problema solo nostro: in America gli anni Ottanta sono stati testimoni di un celebre processo che ha visto come imputato Richard Serra. La sua scultura monumentale "Tilted Arc", commissionata dalla General Services Administration degli Stati Uniti, venne installata nella Foley Federal Plaza di New York nel 1981. Ma gli impiegati degli uffici del quartiere cominciarono a firmare petizioni contro quel «pezzo di muro arrugginito», fino ad arrivare nel 1989 in tribunale.

Serra si difese ma perse la causa e l'opera sparì. Fra i suoi sostenitori accaniti c'era Claes Oldenburg: a lui era decisamente andata meglio con il gigantesco "Lipstick", un rossetto montato su un carrarmato dentro la Yale University nel 1969. Anche in Italia il padre della Pop Art ha avuto fortuna: il suo "Ago e filo" che campeggia in piazza Cadorna a Milano fin dal 2000, omaggio all'industriosità lombarda e al suo ruolo di leader nella moda, è un punto di snodo della città ormai imprescindibile.

Eppure la stessa Milano ha un rapporto di amore/odio con l'arte contemporanea: basti ricordare la bagarre causata nel 2004 dai manichini di tre bambini impiccati a un albero di piazza XXIV Maggio. C'era Maurizio Cattelan dietro quella provocazione, ma i fantocci vennero buttati giù da un passante indignato che finì all'ospedale cadendo dall'albero malamente.

A Roma, invece, sta diventando un caso l'ostracismo che ha colpito Kentridge. Una star della scena artistica che poco più di un anno fa ha avuto con la capitale un colpo di fulmine corrisposto, dallo spettacolo "Refuse the hour" al Teatro Argentina a una mostra al Maxxi. La sua idea? Far apparire lungo cinquecento metri dei muraglioni ai bordi del Tevere (il tratto che va da Ponte Sisto a ponte Mazzini) delle grandi silhouette nere, in una processione con novanta personaggi alti nove metri.

Titolo, "Triumph and Laments", un riassunto in sequenza della storia di Roma. Invitato a fare un dono alla città dall'associazione Tevereterno, fondata nel 2004 dall'artista americana Kristin Jones, Kentridge vorrebbe realizzare con un metodo non invasivo quel "wall drawing" sul fiume, in una zona di alto degrado e poco vissuta dai cittadini.

Niente ricorso a spray, soltanto getti di vapore acqueo che cancellano lo smog, una pittura fatta con idropulitrici e stencil. Si applicano le figure ritagliate e si spruzza sui bordi l'acqua che sgrassa i contorni rendendoli candidi; una volta staccati gli stencil, sotto appaiono i personaggi scuri, sporchi, impregnati dello smog originario.

«L'opera sarebbe reversibile, sparirebbe nel giro di due anni», spiega l'architetto Valeria Sassanelli di Tevereterno. Oltretutto, alle spese contribuiscono vari sponsor e le gallerie che rappresentano l'artista in Italia e all'estero, quindi zero costi pubblici. Una visione ecologica e dunque sostenibile quella di Kentridge? Sì per l'Ardis e le Autorità di Bacino, no per la soprintendenza che ha bloccato il progetto.

La Direzione regionale per i beni architettonici e paesaggistici è chiusa a riccio nel suo fortino, non ci spiega a voce le motivazioni del suo rifiuto, ma fa sapere di non aver concesso quella porzione di muro perché vincolato. E di essere disponibile a cercare una soluzione di compromesso: l'artista faccia pure la sua opera, ma da un'altra parte, meglio se più periferica. Difficile spiegare a Kentridge lo stop, che renderà arduo riuscire adesso a mantenere il suo impegno con Roma. I tempi di fattibilità dell'installazione non coincidono certo con quelli burocratici. E la sentenza del Ministero pare senza appello.

«Per noi, si tratta di un intervento di riqualificazione urbana», incalza Sassanelli. «I muraglioni sotto tutela sono cosparsi di scritte e sugli argini del fiume ci sono delle vere e proprie tendopoli. E poi non vogliamo intervenire sul Colosseo,ma sui muraglioni del Tevere, un'opera idraulica realizzata nel '900. Il problema è culturale, non tecnico: tutto è risolvibile... Vorremmo che quello spazio, che è già marginale di per sé, diventasse una piazza permanente per l'arte. Sta lì, abbandonato, va solo riscoperto e il nome di Kentridge avrebbe una risonanza internazionale incredibile».

In effetti, a Napoli i mosaici dell'artista e il suo cavaliere che domina l'entrata della stazione metro Toledo nei quartieri spagnoli hanno portato la città a vincere un premio prestigioso: "Public building of the year". Oggi quel percorso partenopeo sotterraneo che coinvolge più stazioni, sostenuto dall'allora sindaco Antonio Bassolino e a cura di Achille Bonito Oliva, è inserito in ogni giro turistico della città. Anche lì, però, l'aria che tira non è più la stessa.

Comune e soprintendenza sono riusciti a litigare pure per gli addobbi di Natale in piazza del Plebiscito. Là dove si facevano installazioni spettacolari come la Montagna di Sale di Paladino o le spirali di Serra. «In quegli anni noi abbiamo lavorato sempre in accordo con la soprintendenza, che è un organo dello Stato, sia per i reperti archeologici quando si costruiva la metropolitana, sia per le opere contemporanee, che erano oggetti difficilissimi da installare e richiedevano competenze diverse e molto lavoro», ricorda Bassolino.

«Il rispetto è il primo punto, poi c'è la collaborazione. L'arte ci aiuta a portare a termine un compito fondamentale come amministratori: non dobbiamo solo cercare di valorizzare ciò che siamo riusciti a trovare, ma anche lasciare alle nuove generazioni ciò che è contemporaneo. Saranno loro, un giorno, a renderlo classico. Grazie agli artisti, Napoli ha potuto competere culturalmente con le città europee. Le stazioni e la piazza si sono trasformate in musei all'aperto. Antico e moderno non devono vivere necessariamente in attrito. Damien Hirst venne a esporre al Museo Archeologico di Napoli perché considerava una grande sfida e anche un onore potersi confrontare con i tesori inauditi che vi erano custoditi».

Non sembra destinato a seguire le orme partenopee dei tempi migliori il primo cittadino Matteo Renzi. Pur se al momento sembra lasciare in pace il contemporaneo, a Firenze ogni volta che si è lanciato a parlare di cultura e arte deve aver travisato qualcosa. Alcuni interventi rimarranno negli annali: la caccia alle ossa della vera Gioconda, l'appoggio alla ricerca del cartone della Battaglia di Anghiari di Leonardo (con tanto di buchi al quadro del Vasari e poi un nulla di fatto) e l'affitto di Ponte Vecchio, chiuso al pubblico per sei ore, per permettere una festosa cena della Ferrari.

La sua Firenze, inoltre, è abituata a storcere il naso spesso davanti al contemporaneo. Michelangelo Pistoletto ricorda le polemiche che suscitò il suo monumento quando venne eretto nel piazzale di Porta Romana. I permessi erano in regola, ma la cittadinanza si ribellò, considerando un insulto quella statua di donna così stravagante rispetto ai canoni rinascimentali.

"Dietrofront" rappresenta una persona che cammina in un senso, mentre ne regge in testa un'altra che si proietta all'indietro. «Bisogna riconoscere che tante sculture che si vedono in giro non rispondono a dei criteri sostenibili, deturpano il territorio sul serio, magari sono il frutto di amicizie politiche», dice Pistoletto. «Anche i monumenti moderni devono riuscire a mettere d'accordo la bizzarria individuale con un senso sociale. Il loro valore intrinseco è nell'essere in grado di rappresentare un punto di passaggio importante della storia contemporanea».

E Venezia? Occupata stabilmente da colossi dell'arte contemporanea come il Guggenheim, Palazzo Grassi e il museo di Tadao Ando, senza contare i percorsi della Biennale, sembrava ormai essersi convertita a un nuovo corso, tanto da inserire nel suo panorama anche il bianco "Ragazzo con la rana" di Charles Ray, a Punta della Dogana. Ma è stato solo un miraggio: nonostante le proroghe concesse dalla soprintendenza, la statua dopo infinite polemiche e quattro anni di permanenza è stata rimossa. E ha lasciato il posto a un banale lampione, imitazione dell'originale ottocentesco.

 

 

GRAFFITI TEVERE GRAFFITI TEVERE williamKentridge William Kentridge portrait drawing Paola Concia e Ilaria Borletti Buitoni ILARIA BORLETTI BUITONIIlaria Borletti Buitoni

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