OPERAZIONE REMUNTADA – STASERA IL BAYERN CERCA IL RIBALTONE CONTRO IL REAL – PER GUARDIOLA, CROCEFISSO ANCHE DA BECKENBAUER PER IL SUO TIKI-TAKEN, I GIORNI PIÙ DURI: SI GIOCA TUTTO

1 - BAYERN O REAL SFIDA SENZA APPELLO DEI GIGANTI D'EUROPA
Enrico Sisti per "la Repubblica"

Ronaldo fuori dall'albergo che sale sul pullman per andare ad allenarsi: un chiasso d'inferno, centocinquanta persone, come ai tempi dei Beatles, che se non fosse abbastanza chiaro a tutti che siamo in Germania ci sarebbe da supporre che il Tucherpark sia una specie di enclave spagnola. «Mi pare che il Real Madrid si senta già in finale: ma non c'è ancora arrivato».

Per una volta, snaturandosi, Guardiola si difende: il suo Bayern deve rimontare lo 0-1 di Madrid. «Potremmo anche giocare in contropiede, ora che ci penso...». Più che una battuta sembra una replica a chi lo ha accusato di monotonia. Poi in effetti si guarda la rosa e ci si rende conto che il Bayern possiede le uniche due ali al mondo, pur magnifiche, come Robben e Ribéry, che prediligono gli spazi stretti: «Ma stasera conterà la voglia, anche dei tifosi». I tedeschi rischiano l'impensabile: il crollo dopo il dominio. Col Real c'è in gioco la finale di Champions a Lisbona (24 maggio), contro una fra Chelsea e Atletico, che si affrontano domani a Londra (0-0 all'andata).

«Non siamo così sciocchi e superficiali da credere di avere già vinto», precisa Ancelotti, che ha il dubbio se schierare Bale (forse no). Il Real deve sopportare il peso che grava sui favoriti (anche se molti scommettitori dicono Bayern) ma intanto Ancelotti prende come un complimento il fatto che Guardiola abbia detto che il Real ingaggia spesso giocatori 'fisici': «E' vero, non credo che volesse prenderci in giro». E Carlo concorda con Pep anche nel congelare la tattica in favore dell'emozione: «Pep ha detto voglia? Io dico desiderio». Se non è zuppa...

2 - GUARDIOLA, I GIORNI PIÙ DURI: SI GIOCA TUTTO
Enrico Sisti per "la Repubblica"

Forte ma in fondo anche debole. Elegante ma non per tutti. Di carattere quanto basta per ritrovarsi, in un attimo, da solo in una stanza senza cielo. Nell'arco di una settimana, Pep Guardiola ha visto l'entusiasmo scivolargli via come acqua dalle mani. Fino a qualche giorno fa era in pieno sole. Brillava inattaccabile, sicuro. La prima nuvola è stato l'infortunio di Thiago Alcantara. La Bundesliga era vinta da un pezzo.

Lo sanno tutti però, lo sa Mourinho (quando allenava Chelsea e Real Madrid), lo sa Ancelotti (quando allenava Juventus e Psg), lo sa Conte (che con la Juventus deve far finta che l'Europa League abbia lo stesso peso), che quando si vince soltanto a casa si rimpiange di non aver vinto in Europa. Con Thiago ai box per la prima volta Guardiola usò la parola 'schwach', debole. «Senza di lui siamo più deboli».

Aveva già fatto a meno di Schweinsteiger, Kroos, Ribéry, Götze, a volte contemporaneamente. Non lo presero sul serio. Forse aveva avuto una visione e quello che aveva visto non lo gli era piaciuto. Fatto sta che il Bayern ha cominciato a scricchiolare, forse stanco, magari appagato. I suoi stanno anche scontando una certa lontananza dall'agonismo.

Negli ultimi due mesi il Bayern ha giocato non più di sei partite vere (due contro l'Arsenal, due contro il Manchester United, la semifinale di Coppa di Germania contro il Kaiserslautern e l'andata contro il Real Madrid). Ha perso l'occhio famelico, l'istinto predatorio. E stasera Guardiola rischia tre sconfitte in una: tattica, personale, societaria.
La sua poderosa immagine è stata presa a pallate dai neocontropiedisti. Sarebbe uno smacco uscire dalla Champions dopo aver giocato da padron di casa sia all'andata che al ritorno. Ma è possibile, soprattutto dopo essere tornato da Madrid senza reti all'attivo.

Guardiola verrebbe accusato di aver esportato un modello funzionale soltanto alla cultura spagnola. Di fronte alla strategia di chi "parcheggia il pullman" davanti alla propria porta, il suo rimarrebbe un progetto limitato (è stata ricordata anche la semifinale persa dal suo Barcellona contro l'Inter di Mourinho). Si dimostrerebbe che con la sua filosofia si arriva a comprendere una parte di verità, non tutta.

E che il suo calcio alla lunga sfianca chi lo pratica e stanca chi lo guarda. Non raggiungendo la finale di Lisbona, Guardiola darebbe ragione infine ai malumori interni al Bayern che si sono accesi, come un motore della discordia, il giorno stesso del suo insediamento. Con Robben per esempio, che pure è stato determinante fino a questo momento, non è mai arrivato a capirsi: «E' più complicato ragionare con lui che con mia moglie».

L'olandese segna, corre, ma non ride mai. Con Beckenbauer, presidente onorario del club, non c'è mai stato feeling: «Sta disperdendo il talento di Götze», disse. Poi dopo Madrid: «Col possesso palla non si combina nulla». Pare che un paio di volte Rummenigge si sia interposto per evitare che al centro tecnico del Bayern divampasse un litigio: «Dalla finestra del mio ufficio», smorzava i toni Kalle, «guardo gli allenamenti di Pep e mi dispiace di non avere ancora 25 anni».

La sconfitta avvolgerebbe nelle sue spire tanto il futuro, non più così roseo malgrado il già certificato arrivo di Lewandowski, quanto il passato, con l'ultimo anno di Heynckes che di colpo riprenderebbe a fiammeggiare.

La botta finale è arrivata con la morte di Vilanova. Quante volte, in questi ultimi giorni inquieti, di disgrazia sportiva e di umana angoscia, Pep avrà ripensato alla sua immagine scolorita dalle parole del compagno che lo aveva a lungo aspettato al capezzale quando erano entrambi, per ragioni diverse, a New York: «Pep era mio amico e io avevo bisogno di lui, ma lui non c'era». Anche l'uomo Pep, forse per un disguido del cuore, sta pagando un prezzo altissimo e si sta scoprendo 'schwach'. Debole. Da domani, senza Lisbona, potrebbe esserlo di più.

 

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