NEL BOSKOV DELLE MERAVIGLIE – UN MAESTRO DI CALCIO, AFORISMI E IRONIA, ‘ZIO VUJA’ PORTÒ LA ‘SAMPGLORIA’ A UNO STORICO SCUDETTO E A GIOCARSI LA FINALE DI COPPA CAMPIONI CONTRO IL BARCA: ‘COME IOCATORE A SAMPDORIA HO RUBATO STIPENDIO, COME ALLENATORE NO’

Gianni Mura per ‘La Repubblica'

Vero, un bel pranzo in una villa sul mare, a Pieve Ligure, e voi due che vi abbracciavate con gli occhi. «Yelena è giornalista molto famosa in Jugoslavia », dicevi, e raccontavi che una laurea l'avevi presa anche tu (storia o geografia, non ricordo). La faccia che ti si illuminava parlando di Novi Sad: «La città più bella del mondo: ungheresi, slovacchi, serbi, croati, ebrei, tutti insieme uniti dalla forza delle differenze. Porqué l'uomo è scambio
y adaptamento».

La finale olimpica persa nel '52 contro l'Ungheria di Puskas, in campo in due mondiali. Brera mi disse che Boskov era uno dei centrocampisti più forti che avesse mai visto. Sorriso compiaciuto: «A Novi Sad mi chiamavano il piccolo Boszik, pero io per mia squadra ero come Rivera». D'altra parte, se non sei bravo non ti chiamano a 22 anni per giocare col resto d'Europa contro l'Inghilterra (un memorabile 4-4). «Come iocatore a Sampdoria ho rubato stipendio, come allenatore no».

Smise di giocare allo Young Boys. «Pallone va più veloce di miei piedi, stop». Lo chiamavano zingaro, brutta abitudine verso chi è nato dall'altra parte dell'Adriatico. Non si offendeva. «Se vuole dire giramondo mi va bene, se vuole dire vagabondo non va bene. Ma non mi dà fastidio, solo perdere mi dà fastidio». Allenatore in Spagna, in Olanda, in Jugoslavia (anche la Nazionale). Squadre grandi e squadre piccole: Real Madrid e Gijòn, Feyenoord e Den Haag. Teneva conferenze al Supercorso di Coverciano. Fu Allodi a portarlo in Italia (dal Real Madrid) dicendogli che lo voleva la Juve, però per una stagione l'avrebbero parcheggiato ad Ascoli. Bene, disse zio Vuja.

Al termine della stagione Allodi gli disse: la Juve ci ha ripensato, ma ci sarebbe la Samp. Bene, disse zio Vuja. E costruì, d'intesa col presidente Paolo Mantovani, la Samp dello scudetto, che non era solo Vialli e Mancini ma anche Vierchowood e Mannini, Pari e Katanec, Cerezo e Lombardo. Era un gruppo molto unito, che faceva pure la formazione, disse qualcuno. Boskov ci rideva su: «Noi squadra democratica, tutti possono parlare, poi decido io. Allenatore io vedo come maestro di scuola, mai come dictatore, o poeta, o fratello. Allenatore deve avere intelligenza fredda, una volta picchiavi pugno su tavolo e iocatori tutti zitti, adesso no. In Italia perde solo allenatore e solo iocatori vincono. Se Mancini sbaglia rigore è colpa mia che dovevo farlo tirare a Vialli, e viceversa. In Germania, in Inghilterra, se iocatore sbaglia rigore è colpa sua».

La colpa, una specie di fissazione. «Di chi colpa? Di Pagliuca?», altro suo tormentone. Non gli piaceva la zona. «Fatta solo una volta, al Real. Annulla responsabilità personale, prendi gol e non sai di chi è colpa. E non è vero che la zona crea spettacolo. Se una squadra di brocchi gioca a zona, che spettacolo è? Lo spettacolo lo fanno grandi iocatori: Maradona, Vialli, Van Basten. E Samp spesso fa spettacolo e non ioca a zona». Non gli piaceva Savicevic: «Con pallone tra piedi è Sivori, appena lo perde diventa spettatore non pagante». Fu Boskov a lanciare Totti in serie A, a Brescia. Fu lui a consegnare a Mihajlovic il ruolo di libero e a dire «con Sinisa pallone ha occhi».

Non aveva paura a parlare dei suoi: «Qui tutto dipende da movimenti di Vialli. Non è perfetto, di testa può migliorare, ma mi piace tanto. Mancini tecnicamente è più forte, ma su ogni pallone che gli arriva vuole fare capolavoro. Vede bene ioco, ma è capriccioso. Sono tutti bravi ragazzi, a tavola mettiamo quattro bottiglie di vino e due restano piene». Pieno era lo stadio di Wembley, più di 70mila persone, la metà doriani, per la finalissima di Coppa Campioni.

Alla vigilia era filtrata la voce (rivelatasi esatta) di un passaggio di Vialli alla Juve. La Samp se la giocò alla pari col Barça di Crujiff, ma Vialli non c'era con la testa e sbagliò due gol facili, davanti a Zubizarreta. E nei supplementari, quando già si pensava ai rigori, segnò Koeman su punizione. E non per colpa di Pagliuca, ma di una barriera che s'era mossa troppo presto. Sarebbe stato il capolavoro di zio Vuja, ma le migliaia di messaggi web dicono che, anche così, tanti gli hanno voluto bene.

 

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