
“SEMBRIAMO DUE PAZZI. LITIGHIAMO MOLTO. URLIAMO, CI DIAMO SULLA VOCE, MA ABBIAMO UN NOSTRO EQUILIBRIO” – I SEGRETI DI FLAVIO COBOLLI, AI QUARTI DI WIMBLEDON, ALLENATO DAL PAPÀ STEFANO EX N.236 AL MONDO – IL TENNISTA AZZURRO GIOCAVA TERZINO NELLE GIOVANILI DELLA ROMA, DOVETTE SCEGLIERE TRA CALCIO E TENNIS, IL PADRE GLI DISSE DI OPTARE PER IL PRIMO. E QUANDO L’EREDE FECE IL CONTRARIO, DOVETTE ANCHE INCASSARE LE RIMOSTRANZE DI BRUNO CONTI - “È LA PRIMA VOLTA IN VITA MIA CHE MI CAPITA DI TROVARE UN RAGAZZO PROMETTENTE NEL CALCIO CHE SE NE VA PER FARE UN ALTRO SPORT”
Marco Imarisio per corriere.it - Estratti
L’immagine che resterà è quella delle lacrime di suo padre. «Visto da fuori, sembriamo due pazzi. Ci vogliamo molto bene, e litighiamo molto. Urliamo, ci diamo sulla voce, ma abbiamo un nostro equilibrio, e sono felice di fare questo percorso con lui». Eccolo, il terzo.
Dopo Sinner e Musetti, è arrivato anche Flavio Cobolli, devoto di Novak Djokovic, romanista che di più è difficile, animale da partita come pochi altri nel circuito, agonista che vive per giocarsi i punti importanti, una dote che lo farà durare nel tempo.
«All’inizio, papà non voleva neppure parlare di tennis con me». Vista da lontano, sembra una storia comune, vedi alla voce Zverev, Tsitsipas e tanti altri ancora, per stare all’epoca recente.
stefano cobolli papà di flavio in lacrime
Stefano Cobolli, ex numero 236 del mondo, buon giocatore, vincitore agli Internazionali d’Italia di Carl Uwe Steeb, tedesco all’epoca numero undici del mondo, è il coach di suo figlio. Peccato solo che quando Flavio, terzino nelle giovanili della Roma, dovette scegliere tra calcio e tennis, lui gli disse di optare per il primo. E quando l’erede fece il contrario, dovette anche incassare le cortesi rimostranze di Bruno Conti: «È la prima volta in vita mia che mi capita di trovare un ragazzo promettente nel calcio che se ne va per fare un altro sport».
il fratello di flavio cobolli e edoardo bove
«Non è sempre stato il mio coach: sono stato io a chiedergli di farlo». Fino ai diciassette anni di età lo segue Vittorio Magnelli, oggi direttore del nostro settore tecnico femminile. Quando, insieme al padre di Matteo Berrettini, Stefano apre la Rome Tennis Academy, oggi scomparsa, Flavio decide che vuole essere seguito da lui. «A me piace stare in gruppo, fare parte di una compagnia, come qui a Wimbledon, con mia madre, mio fratello e il mio grande amico Edoardo Bove». All’inizio è così. Stefano segue anche Matteo Gigante, che due mesi fa ha battuto Tsitsipas al Roland Garros ma le strade si separano presto, perché insomma, allenare il proprio figlio e anche un altro giocatore, non è cosa semplice.
Flavio non è mai stato un predestinato. Nel giugno del 2020, durante il periodo del Covid, la Rome Academy organizza un torneo interno. In finale arrivano Cobolli figlio e Luciano Darderi, che qui ha raggiunto il terzo turno. Uno era 933 del mondo, l’altro fuori dai primi mille.
In palio, c’era un prosciutto crudo, per altro vinto dal suo avversario, e il centrale di Wimbledon sembrava su un’altra galassia. Dicevano che tirava piano, che non aveva un colpo dominante. Ma forse era solo perché fino all’adolescenza è stato un’anima divisa tra due sport. «A essere sincero, i miei miglioramenti più grandi sono stati questi: allenarmi di più e mangiare meglio».
Infatti. In passato, l’attitudine è sempre stata al centro delle liti tra padre e figlio. Nella primavera del 2023, torneo Challenger di Spalato, il padre lo molla nel mezzo della partita. E gliene dice di ogni colore, o dentro o fuori. Flavio resta. «Quella fu la svolta» raccontò Stefano. «Generalmente lui vuole tornare a casa ad allenarsi, ma quella volta fece un sacrificio rimanendo lì per fare una settimana di preparazione atletica».
Fu un segnale, e fu un inizio. Vittoria a Bucarest, finale a Washington, due stagioni una più solida dell’altra. Fino a Wimbledon, un proscenio che giustifica le lacrime familiari (si è commosso anche il fratello Guglielmo). Bove, calciatore sfortunato, ieri alla Fiorentina, ora tornato alla Roma dopo il problema cardiaco che lo ha colpito la scorsa stagione, «è stato il primo a dirmi che qui sarei andato avanti, che se lo sentiva» racconta Fabio, finalmente in italiano. «Parlare in inglese mi stressa più che giocarmi un match point».
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