RITORNO AL FUTURO - KAKÀ AL MILAN, MOU AL CHELSEA, RAIKKONEN IN FERRARI: I DIETROFRONT NELLO SPORT NON FUNZIONANO (QUASI MAI)

Michele Lanati per "Lettera43.it"
Più che un ritorno di fiamma, è il ripristino di una pacifica convivenza dopo una nuova avventura finita male. Dietro al rientro dei campioni dello sport nella vecchia squadra, che li ha esaltati prima e scaricati poi, si celano spesso scelte poco coraggiose e la mancanza di alternative migliori. Da entrambe le parti.

I dirigenti, magari dopo decisioni sbagliate, evitano di osare ancora puntando sull'usato sicuro. Gli atleti invece, scottati dalla nuova esperienza appena conclusa, cercano riparo in un posto conosciuto. Pur sapendo che difficilmente sono destinati a ripercorrere le gesta del passato. E così i ritorni spesso non sono altro che scelte di comodo. Anche per questo raramente funzionano.

RAIKKONEN TORNA IN FERRARI. L'ultimo caso è quello di Kimi Raikkonen, tornato alla Ferrari quattro anni dopo il suo addio. Il pilota finlandese, che con la rossa vinse il Mondiale nel 2007, è stato scaricato a fine 2009 per far posto a Fernando Alonso.
La scuderia di Maranello però ha dovuto pagargli un pesante indennizzo (17 milioni di euro), visto che lo aveva allontanato 12 mesi prima della scadenza naturale del contratto e lui, in mancanza di offerte importanti, aveva preferito rimanere fermo.
Dopo un'esperienza nel rally, «Iceman» è tornato in Formula 1 nel 2012 finendo alla Lotus, con cui ha chiuso la scorsa stagione al terzo posto della classifica, alle spalle di Alonso e di Sebastian Vettel.

L'INGAGGIO È MENO RICCO. Le sue buone performance - anche in questo campionato sta andando bene - e soprattutto la mancanza di risultati mista all'impossibilità di ingaggiare il tedesco della Red Bull da parte della Ferrari, hanno indotto il Cavallino a puntare di nuovo su di lui - il suo ingaggio è però meno pesante degli 8 milioni di un tempo, ma comunque nettamente superiore ai 3 che percepiva alla Lotus - anziché affidarsi a un pilota emergente.

PESA IL RICORDO DEL PASSATO. Raikkonen ha accettato perché sa che, a 34 anni, questo è probabilmente l'ultimo contratto importante della sua carriera e solo la Ferrari può permettergli di tornare a lottare per il Mondiale.

«In tutti gli ambiti lavorativi, alla base dei ritorni ci sono sempre una serie di ragioni convergenti», spiega a Lettera43.it Enrico Maria Tacchi, docente di Sociologia all'università Cattolica di Milano. «Non conta però tanto quello che si è fatto insieme, ma quello che si ritiene, o si auspica, di poter ancora fare».

Un altro ritorno clamoroso è stato quello di Ricardo Kakà al Milan, divenuto realtà a fine agosto dopo oltre due anni di tentativi andati a vuoto.
La spinta decisiva al suo rientro è stata data da Silvio Berlusconi. Anche per motivi elettorali. È pur vero però che il brasiliano ha accettato il trasferimento solo dopo aver appreso che anche il suo mentore Carlo Ancelotti, sbarcato in estate in Spagna per allenare il Real Madrid, non intendeva puntare su di lui. A quel punto, avendo capito che l'unica reale alternativa al Milan erano i Los Angelex Galaxy, Kakà ha accettato di buon grado di tornare in Italia.

SERVE ADDIO SENZA TRAUMI. Peraltro, anche dopo la sua partenza voluta nel 2009 in primis dalla società per ragioni di bilancio, il Pallone d'oro non si è lasciato in modo traumatico dal club, pur essendo di fatto stato esplicitamente invitato ad andare via per ben due volte, la prima delle quali al Manchester City, nel giro di sei mesi.
«I presupposti per un'eventuale riconciliazione si devono creare proprio al momento del divorzio», prosegue Tacchi. «Se la fine del rapporto di lavoro è serena, si può pensare un giorno di tornare insieme. Altrimenti è difficilissimo riuscire a mettere una pietra sul passato».

MAI CHIUDERE OGNI PORTA. Certe cose, infatti, non sono facili da dimenticare, perché «il clima può essere guastato anche da una frase o da poche parole».
Il processore dell'università Cattolica di Milano fa riferimento a Fabio Capello per chiarire il concetto. «L'allenatore, essendo passato dalla Roma alla Juventus dopo aver detto che non sarebbe mai andato ad allenare i bianconeri, non potrà mai tornare nella società giallorossa».

E la spiegazione è semplice: «In questo caso il contesto in cui si è consumato il suo addio ha precluso ogni possibilità di riconciliazione». Per ora don Fabio resta a guidare la Russia, con buona pace della Roma. Sempre che il club giallorosso abbia mai intenzione di riprenderlo.

Non sono tuttavia solo gli atleti a fare dietrofront tornando da dove sono venuti. Anche gli allenatori ne sanno qualcosa. José Mourinho è tornato al Chelsea in estate dopo aver detto addio a Londra sei anni fa. Lo Special One era stato esonerato dai Blues nel 2007, appena due mesi dopo l'inizio della sua quarta stagione nel club inglese con cui aveva conquistato due campionati.

Il tecnico poi era andato all'Inter, riportando ad Appiano Gentile la Champions league, prima di trasferirsi al Real Madrid. Dove invece i risultati nel complesso sono stati al di sotto delle aspettative della società, tanto che al termine di un triennio non entusiasmante il club lo ha invitato a fare le valigie.

FEELING COI TIFOSI BLUES. Il portoghese a quel punto sperava di poter approdare sulla panchina del Manchester United, tornata libera dopo ben 27 stagioni consecutive di gestione targata Alex Ferguson. Ma il club ha preferito optare per un allenatore meno costoso e mediatico come David Moyes.

Al tempo stesso il Chelsea, dopo aver corteggiato invano per oltre un anno Pep Guardiola (passato al Bayern Monaco) e deciso di non confermare Rafa Benitez, ha puntato ancora sul vecchio allenatore, offrendogli un ingaggio faraonico: un quadriennale a circa 10 milioni di euro netti a stagione. Sulla scelta ha pesato anche il feeling mai interrotto tra i tifosi e l'ex mister, che il 19 agosto, nel giorno del suo ritorno da padrone di casa sulla panchina dello stadio Stamford Bridge, si è commosso per l'accoglienza ricevuta dal pubblico.

C'È L'ASPETTO EMOZIONALE. «Quando nello sport si decide di richiamare un allenatore o un giocatore, conta molto anche l'aspetto emozionale», commenta Tacchi. Perché «affidandosi a un personaggio che è stato amato dai supporter si pensa che il suo approccio sia agevolato dal clima favorevole che si viene a ricreare e che le performance della squadra possano risentirne positivamente».
Ma c'è di più. «I dirigenti sanno che in caso di eventuali insuccessi», conclude il professore di Sociologia, «la gente sarà più clemente con il vecchio tecnico e con chi ha deciso di puntare ancora su di lui». Insomma, meglio l'usato sicuro che un salto nel vuoto.

 

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