
“LO SPORT MI HA TRADITO, POI MI HA SALVATO. IO NON SONO LA CASTA CHE PUNTA AL CONI” – LUCA PANCALLI SI RACCONTA, DALL’INCIDENTE NELLA PROVA DI EQUITAZIONE DEL PENTATHLON MODERNO CHE LO HA COSTRETTO ALLA SEDIA A ROTELLE ALLA GUIDA DEL COMITATO PARALIMPICO FINO ALLA CORSA ALLA PRESIDENZA DEL CONI (CON L’ENDORSEMENT DEL MINISTRO MELONIANO ABODI) - "UNA VOLTA, DURANTE UN INCONTRO CON PAPA GIOVANNI PAOLO II, UN PRELATO ARRIVÒ DA ME E MI DISSE: ‘SI ALZI!'. IO RISPOSI: ‘SE MI FA IL MIRACOLO!” – FOTO BY MEZZELANI
Estratti da fanpage.it
luca pancalli foto gobbi gmt053
Luca Pancalli lo sport non l'ha solo praticato: lo ha attraversato, rappresentato, guidato. Prima da atleta, poi da dirigente. Per decenni ha vissuto sulla frontiera tra la fatica individuale e l'impegno collettivo, fino a diventare il volto dell'intero movimento paralimpico italiano.
Oggi, da presidente dimissionario del CIP, si candida a guidare il CONI in una fase storica complicata, in cui lo sport italiano sembra stretto tra la pressione politica e l'incertezza strutturale. Lo fa senza slogan, ma con una proposta chiara: visione, competenza, discontinuità.
In questa intervista esclusiva rilasciata a Fanpage.it, Pancalli ripercorre la sua storia personale – dal trauma dell'incidente alla rinascita in vasca, fino alla conquista di un ruolo di primo piano nella governance sportiva nazionale – e chiarisce cosa intende per "discontinuità": un cambio di passo nei rapporti tra CONI, istituzioni e politica, il superamento delle logiche autoreferenziali, il ritorno a una leadership autorevole e indipendente.
luciano buonfiglio e luca pancalli foto mezzelani gmt 033
A partire dal proprio vissuto, Pancalli parla della necessità di uno sport davvero inclusivo, del valore educativo delle regole, della fatica di dover ogni giorno "rivendicare i propri diritti" e della voglia di restituire allo sport italiano una direzione. Senza mai cercare l'applauso facile. La sua sfida è ora tutta politica, nel senso più alto del termine: restituire al CONI una funzione guida in un ecosistema che, secondo lui, oggi rischia di smarrire la propria identità. E lo fa da uomo che ha saputo rialzarsi, prima ancora che da candidato. E lo fa anche senza rinunciare a quella ironia e, soprattutto, quella auto-ironia che lo contraddistinguono.
(…) non ho mai abbandonato lo sport, nemmeno dopo l'incidente".
malago barelli pancalli sanzo foto mezzelani gmt012
Dopo quell'incidente, che ha cambiato radicalmente il suo percorso, cosa l'ha aiutata a reagire e ripartire?
"Può sembrare un paradosso, ma non lo è: è stato proprio lo sport ad aiutarmi. Lo sport che mi ha ‘tradito' nel momento più bello della mia carriera. Avevo ricevuto la prima convocazione in nazionale per un meeting internazionale di pentathlon moderno in Austria. L'incidente è avvenuto durante la prova di equitazione. Quindi, proprio lo sport che mi ha fatto cadere, è stato anche ciò che mi ha permesso di rialzarmi e affrontare tutto il resto".
Nel suo libro racconta anche del ruolo fondamentale di sua madre…
luca pancalli foto mezzelani gmt032
"Sì, mia madre è stata fondamentale. Oggi ha 89 anni e ancora ‘rompe le scatole', come si suol dire. Ricorderò sempre le sue parole, quando rientrai in Italia dopo circa un anno tra interventi e riabilitazione. Mi disse: ‘Fermati là. Non pensare che, solo perché sei su una sedia a rotelle, tu sia diverso dai tuoi fratelli. Le regole che valevano prima, continueranno a valere anche adesso. Certo, nei limiti delle tue possibilità. Ma tu non sei diverso da nessun altro'".
Cosa ha significato per lei tornare in vasca da paratleta? Come ha vissuto la transizione tra due mondi sportivi che solo all'apparenza sono lontani?
"Non è stato semplice. Parliamo degli anni '80, un'altra Italia e un'altra condizione sociale per le persone disabili. Per me, il ritorno in vasca è stato l'ostacolo più grande. Nuotare nella stessa piscina dove mi allenavo da pentatleta, entrare negli stessi spogliatoi, vivere quegli stessi spazi ma con una condizione completamente diversa, è stato molto difficile. Però poi lo sport è sport.
salvatore sanzo foto mezzelani gmt038
È confronto con se stessi, con i propri limiti e obiettivi. Alla mia prima gara da nuotatore paralimpico, pensavo di poter vincere facilmente, grazie al mio passato da atleta. E invece persi. In quel momento ho capito che anche quello era sport, nel senso più autentico del termine".
C'è stato un momento particolarmente difficile, nel suo percorso umano e sportivo, che Avrà sicuramente vissuto episodi di discriminazione…
"Dall'incidente in poi, sì, mi è capitato spesso. E ancora oggi succede, anche se ormai non lo vivo più come una discriminazione diretta, ma come difficoltà legate a una società non sempre pronta a garantire pari opportunità".
paolo barelli foto mezzelani gmt115
Ci racconta uno di questi episodi, quello che l'ha colpita maggiormente?
"Un esempio? Gli anni dell'università. Seguire i corsi, fare gli esami era complicato. Le aule erano inaccessibili, l'ascensore c'era ma era chiuso a chiave. Se non trovavi chi la custodiva, non potevi salire. Ogni cosa diventava una lotta, una rivendicazione dei propri diritti. E quella è stata forse la mia più grande competizione: quella per il rispetto e la dignità delle persone. Competizione che, purtroppo, non è ancora conclusa".
Quanto la sua esperienza personale ha influenzato il suo approccio alla dirigenza sportiva e all'inclusione nello sport italiano?
"Mi ha influenzato moltissimo. Ho vissuto lo sport da atleta vero, svegliandomi alle sei per andare a nuotare prima di scuola, poi attraversando Roma per allenarmi fino a sera. Prima come pentatleta, poi come nuotatore paralimpico. Quella stessa passione l'ho riversata anche nel mio ruolo da dirigente. Se ti viene data l'opportunità di metterti a disposizione del sistema sportivo, devi farlo con umiltà e competenza".
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Qual è, secondo lei, la qualità più importante per chi guida le istituzioni sportive?
"Avere una visione. Un piano strategico di politica sportiva chiaro, con obiettivi precisi. Poi è normale che i risultati possano arrivare prima o dopo, ma se non si ha una direzione, non si costruisce nulla. Un dirigente deve sapere dove vuole arrivare".
È stato anche commissario straordinario della FIGC in un momento molto complicato per il calcio italiano. Come ricorda quell'esperienza?
"Con grande intensità. Per me fu una sorta di ‘master' nella miglior università della dirigenza sportiva. Eravamo nel pieno del post-Calciopoli: c'era bisogno di ricostruire l'armonia tra le varie componenti del sistema calcio, dalle Leghe di A, B, C e Dilettanti all'AIC, agli arbitri. Un banco di prova durissimo, ma importantissimo per la mia crescita".
Cosa l'ha spinta a candidarsi alla presidenza del CONI? Cosa rappresenta per lei questa sfida?
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"È una sfida, e non sarei un uomo di sport se non le accettassi. Ho sentito che il mio ciclo nel mondo paralimpico si era concluso. Quando inizi a percepire un'organizzazione come qualcosa che ti appartiene, non stai più rispettando l'istituzione: è come un chirurgo che non può operare il proprio figlio. Ho sempre parlato di ‘famiglia paralimpica', ma se inizi a sentirla come tale, rischi di perdere lucidità. Allora ho deciso di mettere a disposizione del sistema sportivo quello che ho imparato. Non è un tema di ‘casta' che si ripropone, ma di esperienza da non disperdere. E ho ancora l'età giusta per servire lo sport che amo".
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Recentemente ha parlato di "discontinuità" nella sua eventuale azione da presidente del CONI. A cosa si riferisce, nello specifico?
"Il mondo dello sport è cambiato, soprattutto dalla riforma del 2018. Già prima, con la perdita dell'autonomia economica del CONI, qualcosa si era incrinato. Oggi ci sono nuovi attori: penso a Sport e Salute, al ruolo crescente della politica. Io credo che lo sport debba tornare a dialogare in modo costruttivo con le istituzioni, senza esserne subalterno. È necessario ristabilire armonia tra le parti, perché lo sport ha bisogno di un ecosistema coeso per funzionare".
Quali saranno le priorità nei primi 100 giorni di mandato, se venisse eletto presidente del CONI?
"Si parla spesso dei ‘primi 100 giorni', ma credo che la priorità assoluta sia ristabilire l'armonia del sistema. Ricreare confronto interno, anche partendo da opinioni diverse, ma con rispetto. E poi ricostruire un dialogo solido con il governo e con la politica in generale. Lo sport italiano ha bisogno di questo".
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Negli anni ha collaborato con tante realtà e figure del mondo sportivo e istituzionale. C'è un aneddoto che ricorda con particolare affetto o ironia?
"Ne ho tanti, ma ne racconto uno divertente. Una volta, durante un incontro del mondo dello sport con Papa Giovanni Paolo II, eravamo in Basilica. All'ingresso, un prelato faceva alzare le persone. Arrivò da me e mi disse: ‘Si alzi!'. Io risposi: ‘Se mi fa il miracolo!'.
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abodi barelli
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