elmgreen & dragset londra

ARTE SCANDINAVA A LONDRA – RIELLO: PISCIATOI, UNA PISCINA E L’OMAGGIO A JANIS JOPLIN: UNA GRANDE MOSTRA CELEBRA ALLA WHITECHAPEL GALLERY ELMGREEN & DRAGSET, UNA QUASI CLONAZIONE NORDICA DI CATTELN - IL LAVORO PIÙ FORTE DEL GRUPPO È "HERITAGE" (2014): UNA PARRUCCA DA GIUDICE (COME SI USA IN GRAN BRETAGNA) APPESA DA SOLA ALLA PARETE...

Antonio Riello per Dagospia

 

Michael Elmgreen (Copenaghen, 1961) e Ingar Dragset (Trondheim, 1969) sono due artisti che lavorano assieme dal 1995 e da allora sfornano in continuazione piccole e grandi meraviglie. Sono irriverenti, imprevedibili e capaci di creare in continuazione sorprese di "complicata semplicità". Vien da pensare, talvolta, ad una quasi-clonazione scandinava di Maurizio Cattelan.

 

Qui a Londra, dove sono rappresentati da Victoria Miro Gallery, hanno già realizzato nel 2013 una straordinaria installazione, "Tomorrow", per il Victoria & Albert Museum. Esiste per loro anche il The Elmgreen & Dragset Exhibition Circle composto da un importante parterre: Shelley Fox Aarons and Philip Aarons, Massimo de Carlo, Milan/London/Hong Kong, Mimi Dusselier and Bernard Soens, Füsun & Faruk Eczacibasi, Dr Alex Hooi and Keir McGuinness, König Galerie, Galerie Emmanuel Perrotin, Galleri Nicolai Wallner.

La mostra londinese in corso alla Whitechapel Gallery, curata da Laura Smith, è una delle cose più dense da vedere a Londra in queste settimane. E' piaciuta perfino all'esigentissimo Waldemar Januszczak che "non ne parla male" (è il massimo che riesce a fare la sua benevolenza) sulle pagine del Sunday Times.

 

Sommariamente si potrebbe dividere l'esposizione in tre parti. Entrando troviamo subito "The Whitechapel Pool" (2018). Una vera e propria piscina in disuso e in stato di abbandono (senz'acqua) ma assolutamente perfetta in tutti i suoi dettagli. Impressionante, sembra lì da sempre. Una storia (falsa ma molto ben narrata) racconta come che negli spazi della Whitechapel ci fosse stata, ai primi del Novecento, appunto una piscina pubblica. Una desolata visione che, tra le righe, è in polemica con i tagli degli investimenti pubblici imposti dall'Austerity.

Si intravede addirittura una forma di ironica nostalgia per quando la ricchezza non era nelle mani di holding finanziarie ma di persone in cane ed ossa che, non raramente, decidevano di farsi carico del costo di progetti utili alla comunità (una persona in qualche maniera "sente", un fondo di investimento non conosce invece sensazioni o appartenenza, ma solo cifre). Una serie di sculture accessorie fanno discretamente da contorno all'installazione. "I must make amend" (2018) spicca come la più interessante e stralunata: è il sedile di una auto della Mercedes completamente realizzato in bronzo dipinto ed ispirato alla canzone di Janis Joplin "Mercedes Benz". Funziona molto bene anche la coppia di pisciatoi interlacciati, "Gay Marriage" (2010). Semplicità interconnessa allo stato puro e citazione colta. L'orinatoio duchampiano rimane in ogni caso, piaccia o no, una delle icone più riconoscibili dell' Arte Contemporanea e, con la "merda d'artista" di Manzoni, ne ha rappresentato fieramente la vocazione escrementizia/escretoria (oggi sarebbe più giusto probabilmente parlare di "economia fisiologica circolare"...)

Da questo ambiente, si sale una scala dove spuntano altre opere magari un pochino meno interessanti. "Donation Box" (2006), una finta urna per le donazioni al museo, però è abbastanza divertente e riesce ogni tanto perfino ad ingannare qualche visitatore che distrattamente ci mette dentro il proprio obolo. 

Si arriva nella seconda parte dove troviamo "Self Portrait", una galleria di ritratti  (stile "antenati di famiglia") molto sui generis realizzati tra il 2015 e il 2018. Delle immacolate lastre di marmo bianco sono appese alle pareti e su ognuna è incisa la sintetica descrizione di un'opera di un artista contemporaneo che ha influenzato la nordica coppia. Un minimal cimiteriale di grande efficacia e raffinatezza.

Qualche soggetto? Piero Manzoni ("Socle du Monde"), Keith Haring ("Silence = Deaths"), Joseph Beuys ("The Silence - Igmar Bergman") tanto per citarne alcuni. Nello stesso spazio è ospitata anche l'installazione "The Bottle and the Book" (2015) che consiste di una sedia e una scrivania su cui si trova un libro che contiene scritti, pensieri e schizzi dei due artisti. Sulla stessa scrivania ci sono anche una bella bottiglia di whiskey e un bicchiere. I visitatori sono invitati a rilassarsi, consultare/leggere il libro ad approfittare del liquore (solo nel pomeriggio !). Un momento di intimità domestica nell'esperienza museale. Per la cronaca la bottiglia viene comunque rimboccata giornalmente più volte.

Il racconto, la narrative come dicono gli inglesi, è sempre il loro punto di partenza. Potremmo, in un certo senso, dire che fanno della letteratura visiva (sempre di alto livello). Le pratiche artistiche, sessuali e sociali sono le loro principali Muse ispiratrici. Gli scenari, di volta in volta, sono le gallerie o i musei.

Si accede quindi alle ultime sale dove troviamo raggruppate una serie di opere abbastanza omogenee, realizzate principalmente utilizzando delle sculture in bronzo dipinte di bianco opaco. "One Day" (2015) mostra la statua di un ragazzino che guarda un fucile appeso alla parete. Tutto lascia pensare ad una tragedia imminente, trasmettendo una strana ansia dove anche il tema dell'innocenza perduta fa la sua parte. In "Emerging (2016) c'è un ineffabile avvoltoio in eterna attesa vicino al suo nido. "Capitalism Will Collapse from Whitin" (2003) è fatto da una scritta appoggiata ad un grande cassaforte chiusa. Bella idea, ma forse pecca per il fatto di essere troppo didascalico.

Il lavoro più forte dell'intero gruppo è invece di sicuro "Heritage" (2014): una semplicissima parrucca da giudice (come si usa in Gran Bretagna) appesa da sola alla parete. Un lavoro de-fi-ni-ti-vo e un monito perentorio. "Reversed Crucifix" (2016) ribalta il tema della crocifissione in modo molto astuto e provocatorio, ma si presta a ovvie speculazioni. Forse un pezzo fin troppo "facile". L'ultimo lavoro che si incontra prima di uscire è "Invisible" (2017) dove un trio (un ragazzino, una domestica visibilmente in cinta e un caminetto) cerca il suo equilibrio, che verosimilmente non troverà mai.

La visita richiede una bella oretta. Spesa davvero molto bene.

 

 Whitechapel Gallery

77-82 Whitechapel High St

ANTONIO RIELLO ANTONIO RIELLO

Londra E1 7QX

fino al 13 Gennaio 2019

 

 

ANTONIO RIELLO

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