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ARTE IN GONDOLA - LA ROSA BRUCIATA DI PISTOLETTO, LA GRANDE ODALISCA DI TANO FESTA: AL GUGGENHEIM DI VENEZIA “L’IMMAGINARIO” DELL’ARTE ITALIANA ANNI ’60 - AL CENTRO DI TUTTA LA MOSTRA C’E’ SCHIFANO: “ENTRA NEL MIO OCCHIO PRIMA CHE NEL MIO SENTIMENTO”

tano festa odaliscatano festa odalisca

Gianluigi Colin per “la Lettura - il Corriere della Sera”

 

Talvolta incontri e addii assumono una misteriosa, poetica forma circolare. Forse per questo, Luca Massimo Barbero ha scelto per la «sua» mostra alla Collezione Guggenheim di Venezia ( Imagine. Nuove immagini nell’arte italiana 1960-1969 , sino al 19 settembre) due fiori a segnare l’entrata e l’uscita.

 

Un allegorico incipit e un altrettanto simbolico epilogo, quasi a voler definire la circolarità — appunto — di una stagione fondamentale per l’arte italiana. Solo 9 anni che hanno visto protagonista un manipolo di giovani artisti e due grandi città, Roma e Torino: sideralmente lontane per storia, stili di vita, architetture e anche galleristi, ma paradossalmente vicine per il bisogno di liberare energie vitali.

mimmo rotellamimmo rotella

 

Imagine appare come l’ideale prosecuzione della mostra del 2014, presentata negli stessi spazi veneziani della Collezione Guggenheim. Si intitolava Azimut/h .

 

LUCA MASSIMO BARBERO IMAGINELUCA MASSIMO BARBERO IMAGINE

Continuità e nuovo sempre a cura di Luca Massimo Barbero: esplorava principalmente il lavoro di Piero Manzoni ed Enrico Castellani intorno alla galleria milanese Azimuth e all’omonima rivista. Esperienze che hanno segnato un vero strappo con la poetica italiana del Dopoguerra. Al mito dell’impegno e dell’ideologia subentrava una nuova pratica dell’arte, carica di forza radicale, ironia e dissacrazione.

 

L’immagine non esisteva più per lasciar spazio a tagli, a estroflessioni, a nuove dimensioni dello spazio. Se a Milano era stato compiuto l’azzeramento dell’immagine (grazie anche a un artista come Lucio Fontana), a Roma e Torino prendeva invece forma l’idea di un nuovo sistema di rappresentazione.

MICHELANGELO PISTOLETTO MICHELANGELO PISTOLETTO

 

Questi i presupposti per avvicinarsi alla nuova, importante mostra veneziana che si presenta con un percorso inaspettato, dichiaratamente tematico ma anche asimmetrico, che procede, come lo stesso curatore ama ripetere, «per inciampi». Inciampi come occasione per creare dissonanze, offrire chiavi di lettura inattese: quasi un nuovo alfabeto rivelatore di segni e figure, che cerca di restituire il fermento della società e della cultura di quegli anni.

 

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E non è dunque un caso che ad accogliere il visitatore ci sia una margherita di ferro con vere lame di fuoco che nascono da una bombola di gas a vista (di Jannis Kounellis) per poi trovarsi alla fine della mostra la Rosa bruciata (di Michelangelo Pistoletto): due evocazioni alla natura, alla potenza visionaria dell’arte, a oggetti come immagini mentali. Ma, al tempo stesso, negazione, messa in discussione delle convenzioni sul vedere, invito a nuovi modi di pensare. Forse, proprio questo appare come l’invisibile filo di Arianna che percorre tutta la mostra.

 

giosetta fioroni schifanogiosetta fioroni schifano

Barbero, con rigore, ha inventato due parallele forme di scrittura che si muovono in modo contiguo e dialogante. Da una parte la mostra: essenziale, sofisticata, con pochi, selezionati lavori per ogni artista.

 

Dall’altra il catalogo (ma sarebbe meglio dire un vero volume autonomo): qui prevale la ricchezza dell’apparato storico e iconografico, tanto da diventare, per saggi, testimonianze, testi esplicativi e documenti (con contributi di Francesca Pola e Walter Guadagnini) un interessante completamento per chiunque volesse approfondire questa breve stagione oltre facili classificazioni.

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«La mostra intende superare le cosiddette “ortodossie”, liberando le ricerche visive da ogni appartenenza a movimenti ed etichette», suggerisce Barbero. E, in effetti, la struttura si articola per precise aree tematiche (accompagnate da utili testi di sala, non così scontati nelle mostre d’arte contemporanea) attraverso un percorso reso ancor più chiaro da una impaginazione scandita da un ritmo quieto, silenzioso, che grazie anche a un’illuminazione mirata a valorizzare le opere, avvolge il visitatore in un contrappunto tra luci e ombre restituendo una dimensione quasi sacrale.

meana12 nancy ruspoli ma schifano marinameana12 nancy ruspoli ma schifano marinaMARIO SCHIFANO E ANDY WARHOLMARIO SCHIFANO E ANDY WARHOL

 

Lo si coglie anche delle prime due sale unite dal titolo Materia e schermo in cui dialogano i Metalli di Lo Savio, un piccolo monocromo nero di Schifano, gli Schermi di Mauri. E ancora, le opere di Franco Angeli, quasi «illeggibili» perché velate da sovrapposizioni di calze di seta su figure e simboli della storia di Roma e della politica che ora appaiono drammaticamente profetiche: un’inquietante lupa, una svastica, un cupo stemma pontificio.

 

Si tratta, appunto, delle prime indagini di cancellatura della realtà, di rimozione dell’identità. Una nuova idea d’immagine trova sostanza proprio nella visione stratificata, metabolizzata ma alla fine rimossa.

 

giosetta fioronigiosetta fioroni

«Si è voluto intenzionalmente evitare di fare una storia della nuova rappresentazione, associando gli anni Sessanta a una figurazione di natura popolare, che non rientra invece in questo percorso», scrive Barbero. E continua: «Quello che ci interessava era definire un immaginario».

 

mario schifanomario schifano

La mostra è dunque un preciso punto di vista. Ma è proprio questa dichiarazione a rendere Imagine interessante, perché afferma una scelta, una linea teorica, magari anche discutibile, ma dichiarata. Imagine è un viaggio tra le metamorfosi delle visioni, dentro i suoi molteplici significati, esplora la germinazione degli immaginari collettivi e le mitologie che vi s’insinuano.

 Michelangelo Pistoletto Michelangelo Pistoletto

 

E proprio il tema del mito, ancorato all’iconografia della cultura di massa, è affrontato nella seconda parte: lo dimostra l’intenso «argento» di Giosetta Fioroni che moltiplica la Venere di Botticelli (Particolare della nascita di Venere , 1965), oppure la Grande odalisca (1964), di Tano Festa che rilegge il quadro di Ingres, oppure, Nostalgia dell’infinito (Obelisco) sempre di Festa (1963) che evoca le visioni intorno al caffè Rosati in Piazza del Popolo a Roma, dove questi ragazzi un po’ ribelli, un po’ dandy, tutti comunque bellissimi, si ritrovavano, tra bevute, discussioni, corteggiamenti e autolesionistici stordimenti per ogni tipo di droga.

mario schifano franco angelimario schifano franco angeli

 

Emerge da questi lavori il costante riferimento alla tradizione della storia dell’arte. Presente e passato sembrano fondersi in un percorso naturale, identitario, tutto italiano, quasi fosse sempre qui, con i suoi silenzi, con i suoi legami alla classicità, l’anima metafisica di De Chirico.

mario schifano anita pallenbergmario schifano anita pallenberg

 

Anima che aleggia certamente nelle opere di Domenico Gnoli, che ha uno spazio estraniante da invito alla meditazione: lo scarto di dimensioni, la pittura accurata, maniacale, dedicata ai dettagli di vestiti, pantaloni, giacche, cravatte oppure ai ricami dei copriletti, come per i Due dormienti (1966) o Letto bianco (1968): una vera metafisica del quotidiano, appunto.

 

Un capitolo a parte spetta a Mario Schifano che ha una centralità come fosse, citando Battiato, il «centro di gravità permanente» di tutta la mostra. E anche qui colpiscono opere poco note e caratterizzate da secche scelte cromatiche, come L’inverno attraverso il museo (1965), oppure mosse da una delicatezza ironica, come il bellissimo Io non amo la natura (1964), in cui tracce di modelli di sartoria su fondo celeste dialogano con spazi bianchi come dichiarazioni di libertà.

Parise e Giosetta Fioroni in una foto di Mario Schifano Dal PIacere alla Dolce Vita Mondadori Parise e Giosetta Fioroni in una foto di Mario Schifano Dal PIacere alla Dolce Vita Mondadori

 

 

Ma arriva anche il momento dell’immagine mediata: Mimmo Rotella è stato il primo a strappare i manifesti per strada, ha inventato un nuovo modo di vedere ed è stato anche grande nel far dialogare pittura, fotografia, collage. Così, preleva le immagini dai giornali dell’incontro di Yalta o elabora materiali pubblicitari.

GIOSETTA FIORONI MADAME SOSOSTRIS GIOSETTA FIORONI MADAME SOSOSTRIS

 

La fotografia diventa strumento di connessione tra arte e verità. In una specie di corto circuito ci sono anche le visioni concettuali di Giulio Paolini che affrontano invece il tema del tempo, dello sguardo, della rappresentazione: «Ogni mia opera, tende a illustrare il momento di eternità dell’immagine», scrive lo stesso Paolini nell’accompagnare l’opera ( Autoritratto , 1968) che è sulla copertina del catalogo.

 

Il percorso si conclude con le stanze dedicate a La forma della metafora. Le forme della natura in cui viene indagato il percorso concettuale in cui l’oggetto diventa sostanza di un’idea, scrittura, anche ironica, di tanti mondi visionari: come La decapitazione del rinoceronte (1966) surreale rappresentazione di un bestiario contemporaneo degno di Julio Cortázar. E ancora, in un gioco di assonanze e antitesi, le rose di Kounellis: tracce di una natura come spaesamento.

 

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«Una mostra rivolta ai giovani», sottolinea più volte Luca Massimo Barbero, una mostra che è «macchina per conoscere e pensare». Sicuramente una mostra rigorosa, sofisticata, importante. E da cui resta impresso il ricordo delle parole di Mario Schifano per il titolo di uno dei suoi quadri più emozionanti, un provocatorio, poetico invito: «Entra nel mio occhio prima che nel mio sentimento».

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